Mal stuzzicò la quaglia con la punta del coltello. Il suo stomaco era serrato, ma si costrinse ad assaggiare. La riduzione al vino rosso era stata dosata alla perfezione, la carne era così tenera che si scioglieva in bocca.
Nonostante quello, gli si trasformò in polvere insapore sul palato. Inghiottì.
Ven si schiarì la gola. Mangiava posato, dal volto era sparita ogni traccia di nervosismo. I suoi occhi, però, rimanevano fissi sull’alfnar.
«So che è stato difficile, per te… tutta questa faccenda, tutto quello che è successo.»
Mal lasciò cadere nel silenzio le sue parole. Il mago era bravo, aveva una gran faccia tosta, ma non era Fern. Era troppo gentile, esagerato nel volerlo ascoltare. Lo stratagemma della cena tra loro due soli, oltretutto, puzzava di imbroglio lontano un miglio. Voleva condurlo da qualche parte, era palese.
Che faccia pure. Vediamo dove finiamo.
Lasciò vagare lo sguardo sul mobilio della sala da pranzo. Non era il salone che ospitava di solito il circo, due livelli più in basso, ma la sala da pranzo privata adiacente allo studio di Venice. Il suo padrone di casa gli versò il vino nella coppa d’argento. Nel riflesso distorto del metallo, Mal si vide più vecchio, il volto incattivito come quando era allo specchio.
Pugnalalo adesso! Vendicati!
Era una parola. Non era venuto a cena armato. Cosa poteva fare, tirargli il coltello? Il tavolino era per due, ma a Ven bastava uno schiocco di dita per disintegrarlo. E non sapeva nemmeno cosa gli fosse successo. Non sapeva neanche se fosse stata colpa sua.
Dubiti anche di Fern, adesso?
Sorrise al mago nel modo più naturale che poté.
«Grazie.»
Prese la coppa e bevve piano. Del vino sentì solo l’alcol che gli grattava la gola. La appoggiò e chinò il capo, fingendosi scosso, lo sguardo perso nel vuoto.
«Io non so come sia potuto accadere… chi abbia potuto…»
Riuscì a incrinare la voce quel tanto che bastava per essere convincente. Ven sollevò il sopracciglio, ma solo per un momento.
«Hai detto che non hai visto Fern.»
«No. Lui… è morto anche lui, nell’attacco.»
«Ma non hai visto il suo corpo.»
«No. No, sono scappato via, sono corso subito qui.»
Il mago annuì, comprensivo.
«Ma certo, ma certo. Dovevi essere terrorizzato. Per questo sei scappato.»
Codardo!
«Non sono scappato.»
Ven scosse appena il capo.
«Ma lo hai detto tu stesso. Sei scappato.»
Mal serrò i denti così forte da farli scricchiolare. L’altro tamburellò le dita sul tavolo.
«Vuoi sapere una folle teoria, Mal? Una che spieghi perché tu non hai trovato il corpo di Fern?»
«Dimmi.»
«Forse all’attacco ha partecipato anche lui. Ti ha sfiorato questa possibilità?»
Il suo riflesso sul bicchiere d’argento ringhiò.
Tu dubiti di lui!
«No.»
Questa volta il sopracciglio di Ven si alzò per bene.
«No? E Perché?»
«Perché Fern è mio—» si interruppe un istante. La parola padre gli sfiorò la lingua. «Amico.»
Il suo tono era stato troppo secco. Anche un sordo l’avrebbe capito. La voce del mago si fece fredda.
«Anche io credevo fosse mio amico, Malekith.»
«Credevi? Hai fatto qualcosa per perdere la sua amicizia?»
Stava giocando col fuoco, ne era conscio. Ma così, almeno, la voce nello specchio non parlava. Ven si leccò le labbra e sfoderò un sorriso tirato, quasi un ghigno di sfida.
«Cosa te lo fa pensare? So che tu avevi sviluppato molto più di un’amicizia con Berry, a proposito. Non mi sono mai chiesto il perché.»
Qualcosa nel cervello gli esplose, gli inondò il cranio di fiamme. Serrò la mano sul coltello da tavola. La porta della saletta si spalancò di botto. Ronac entrò a passo svelto.
«Mio signore.»
«Cosa vuoi?» sibilò Chastaine.
«Gli uomini che avevate inviato fuori dicono di avere un rapporto per voi. Un rapporto esclusivo, a quanto mi è parso di capire. Non me ne hanno voluto comunicare alcunché.»
Venice si alzò di colpo.
«Hallton e i suoi?»
Il golem annuì. Gli occhi del mago si piantarono su Malekith, e l’angolo della bocca si alzò in un sorriso soddisfatto. Una morsa stritolò lo stomaco dell’alfnar.
Hanno beccato Fern?
«Perdonami, Mal. Se vuoi aspettarmi qui, amico mio, al mio ritorno continueremo la nostra chiacchierata.»
Il suo tono era mieloso, ma sotto c’era una punta di soddisfatto sadismo. Il mago non aspettò una risposta. Si voltò e si diresse alla porta.
«Resta qui con lui» ordinò a Ronac, con un cenno della mano.
Cazzo. Siamo fottuti.
Il golem attese che i passi di Venice si fossero spenti nel corridoio e andò a chiudere i battenti di legno.
«Ronac, che cosa—»
«Se ti stai preoccupando per Fern e i suoi uomini, Malekith, non devi. Nessuno li ha ancora scoperti.»
Una scossa gli attraversò i muscoli. Si alzò, il coltello da tavola stretto tra le dita.
«E tu che ne sai?»
«Seguimi.» La voce di Ronac mutò, si fece più rilassata, più bassa. «Abbiamo un po’ di tempo prima che Venice si accorga che Hallton non è tornato affatto, e che gli ho raccontato una palla.»
Si diresse verso lo studio di Chastaine, e gli fece cenno di seguirlo con le dita metalliche.
«C’è una cosa che devi vedere.»
***
Mal si legò i capelli in una coda, i palmi delle mani gli sudavano.
«Cosa stai facendo?»
Ronac fece scattare la serratura della cassa con un abile movimento delle dita metalliche.
«Cerco di evitare che Venice ti faccia esplodere. Come avrai capito, non è molto in sé, di questi tempi.»
Si sfilò i guanti d’acciaio e slacciò le fibbie della piastra di metallo assicurata al petto. Li lasciò cadere a terra. Mal strinse il pugno.
«Lui… è stato lui a ucciderli?»
Ronac si voltò verso di lui.
«Nel sacco dietro all’armadio, lì, ci sono le tue armi. Preparati.»
L’alfnar non se lo fece ripetere. Lo aprì e agguantò la cinghia con i pugnali da lancio, se la assicurò al fianco e prese il suo pugnale nero.
«La mia corazza?»
«Non ti serviranno due lamelle d’acciaio se Venice ti colpisce. È meglio che tu sia più mobile.»
Mal prese il sacchetto di pelle sbiancata con i cristalli di Sangue di Drago.
«E questi?»
Il golem si mise in piedi e gli venne incontro.
«Sai come si combatte un mago esperto, Malekith?»
La sua voce aveva una sfumatura scherzosa, come se lo stesse prendendo in giro.
«E tu?»
L’alfnar non cedette nemmeno di un millimetro, il fuoco gli ardeva ancora nel cervello.
«Non puoi batterlo. Non da solo. Puoi scappare per un po’, al massimo. Ti serviranno astuzia e agilità.»
Malekith fece un ghigno di sfida.
«Ma senti! E queste cose le hai imparate facendo il leccapiedi di Calat?»
«Apri la cassa.»
Ronac accennò col capo allo scrigno, largo quanto la scrivania. La sua voce era piatta.
«Prendi i cristalli lunghi e—»
«Apritela da solo.»
Mal gli voltò le spalle e cercò di trovare il punto migliore per colpire di sorpresa Ven. Se fosse tornato indietro avrebbe dovuto passare la saletta con il loro tavolo e poi la biblioteca, un corridoio dritto e ingombro di pesanti librerie strapiene di carte e tomi. Se si fosse messo lì…
La voce del golem lo interruppe.
«Capisco, non ti fidi della mia competenza.»
Gli passeggiò davanti. Il suo corpo, oramai solo un pupazzo nero con una maschera, si muoveva sinuoso.
«Vediamo se ti faccio cambiare idea così.»
Staccò dalla parete la spada con i due serpenti incisi sulla lama, quella che aveva fatto impazzire Stan. Menò un taglio a destra. Mal schivò verso sinistra, allungando il manico del pugnale per parare il colpo, ma non incontrò nulla. Era una finta. La punta della lama gli si appoggiò sul collo da sinistra. Era gelida. L’immagine della gola squarciata di Stan gli balenò davanti agli occhi. Ronac lo spinse contro l’armadio.
«Questa è Guldan’rree. Nella lingua antica, significa “la spada dei vermi”. Sai perché?»
Mal lo fissò con gli occhi sbarrati, pietrificato.
«Era l’ultima difesa dai vermi che sarebbero venuti a rubare le mie cose, i frutti di decenni di ricerche. Avrebbe scavato nella mente di chi l’avesse toccata, e avrebbe usato ogni informazione per ammazzare i suoi compagni. Ma questo tu lo sai già, no?»
Premette ancora un poco e l’alfnar serrò le palpebre. Sudore ghiacciato gli imperlava la fronte.
La sua voce era divertita. «Dimmi, com’era casa mia?»
Mal riaprì gli occhi. Il golem era più basso di lui di una spanna abbondante, ma ora aveva un portamento solenne. Senza più i guanti e la piastra d’acciaio sul petto, pareva solo un’ombra nera con una maschera.
«T-tu sei—»
«Calat. Calat il folle, secondo voi. Calat il visionario secondo altri.»
«Ci sei riuscito…» Malekith scosse la testa, ma era tutto così ovvio. «Tu ci sei riuscito! Hai preso il corpo… il corpo di Ronac!»
Il golem di pezza annuì e abbassò la spada. «Pensi ancora che non sappia come si ammazza un mago?»
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