«Tu… tu hai ucciso Slantern da Forge, Tanissarre il Vile e—»

«Me la ricordo la mia vita, Malekith.»

Calat tolse il panno che copriva la teca, accanto alla scrivania di Venice. Le fiamme nelle lanterne e nel camino gettavano sulla sua maschera scintillii minacciosi. Sotto alla cupola di vetro, adagiata sul sostegno, il cuore che aveva visto giorni dopo l’intervento per la Predisposizione era ancora lì. Pulsava, librandosi a mezz’aria, fresco come se lo avessero appena strappato dal petto di un uomo. Un pensiero agghiacciante gli attraversò il cervello.

«Q-quel cuore non sarà… quello del padre di Ven?»

Mal spostò gli occhi sul quadro che stava sopra il camino.

«Remias Chastaine? Neanche per idea. Non sai le volte che ho sentito Venice piangere davanti a quel camino. Uno spettacolo pietoso.»

«Piangere?»

«Piangere. Così come l’ho visto starsene qui a sibilare parole di odio a questo cuore. Un furto di cuore, eseguito con questa precisione, non lo vedevo da più di cent’anni. Ammetto che ha del talento, dev’essere una persona che odia parecchio.»

«Odiava.»

Calat fece segno di no con l’indice di pezza.

«Il furto di cuore chiude l’anima del morto nel cuore, appunto. Una tortura unica, che rende lo spirito estremamente violento. Per questo ci serve.»

Il golem fece scattare la spada e il cristallo si disintegrò in una raffica di schegge. Afferrò il cuore al volo e quello iniziò a spruzzare sangue, inzuppandogli la stoffa del braccio. Buttò la spada sul tappeto.

«Bene. Dammi i cristalli lunghi, quelli della cassa. Vedi di attirare Venice qui.»

Malekith gli porse quanto chiesto con mano tremante. «Attirarlo qui? E quello a cosa—»

«Credimi, non capiresti. Per farla breve, gli toglierà i poteri per un po’, meno di un minuto. E, con ogni probabilità, mi metterà fuori combattimento, quindi sarete solo voi due.»

L’alfnar si strinse le tempie e respirò a fondo due, tre, quattro volte.

«Va bene. Va bene.»

«Lo aspetterai all’imbocco della biblioteca. Cerca di colpirlo subito con un pugnale. Se avremo fortuna, non dovrò nemmeno fare questo trucchetto. In ogni caso, fatti inseguire e usa le librerie come scudo. Se cercasse di “tracciarti”, beh… sbrigati a levarti.»

«Perché mi aiuti?»

Mal frantumò il primo cristallo sul ripiano della scrivania, pestandolo con il manico del pugnale, e lo sniffò in una tirata sola. Gli calmò i nervi, rallentò i battiti e il suo respiro. Una scarica elettrica gli attraversò le ossa, i punti dove ci sarebbero dovute essere le cicatrici della Predisposizione formicolarono. Fece scrocchiare il collo, sgranchì la schiena. Calat si rigirò in mano il cuore pulsante, che continuava a spruzzare sangue, punzecchiandolo con uno dei cristalli.

«Due motivi. Il principale è che, come avrai notato, Venice non è più qualcuno con cui si possa ragionare. Crisi isteriche davanti al ritratto del paparino, accessi d’ira, manie di persecuzione. Il re si è accorto che qualcuno faceva la cresta sulle quote di Sangue di Drago e… immagino che tu conosca il resto della storia.»

Il golem voltò la testa verso il quadro di Remias.

«Forse il tuo amico voleva qualche soldo in più per riscrivere meglio il nome dei Chastaine. Ma ho preso accordi con Fernar. La gestione di questo posto sarà affidata a me.»

«Volevi di nuovo la tua stramaledetta miniera?» sibilò Mal.

Calat fece spallucce.

«Anche.»

Si diresse davanti al camino, lasciando una scia rossa, e si inginocchiò. Prese uno dei cristalli e lo piantò come un chiodo dentro al cuore, facendolo contorcere.

«Se vuoi Ven morto, perché non hai fatto entrare Fern e gli altri? Ti avrei riferito cosa avevo scoperto su di lui e avremmo—»

«Questo ci porta al secondo motivo.» Un altro cristallo scavò dentro al cuore. «Principe Malekith di Espya.»

Figlio di puttana.

«Tu… come lo sai?»

«Ven aveva intuito che tu fossi un nobile di rango, Guldan’rree mi ha detto il resto. Mi ha riferito tutto quello che sapeva il tuo amico Stan. Tutto.»

Mal gli si avvicinò con la sensazione di avere una lama appoggiata alla gola.

«E allora?»

«Era un esperimento, in realtà. Mi chiedevo se anche a una persona come te sarebbe capitata la stessa cosa che avevo passato io. Noi due siamo simili, te l’ho già detto. L’ho capito appena ti ho visto.»

Il cuore ormai pareva un puntaspilli, il sangue era dello stesso rosso scuro dei cristalli. Calat si alzò, le mani di pezza gocciolanti.

«Mi chiedevo se anche tu avresti fatto di tutto per non cambiare.»

«Non cambiare? Ma cosa cazzo stai dicendo?»

«È una cosa mia, Malekith. Forse un giorno capirai.»

Il golem gli prese il volto con le mani e l’alfnar sentì il tocco ruvido della stoffa intrisa di sangue.

«Sento che hai qualcosa da chiedermi, mio giovane amico.»

Una cosa c’era. Percepiva già la voce nello specchio prepararsi a frustarlo, ma doveva sapere.

«È vero… è vero che Ven…» qualcosa gli si arrampicava in gola, stringendola, impedendogli di parlare. «Fern ha detto che lo aveva scoperto. Che si è voluto liberare di Berry, del circo…»

Forse erano le luci delle lanterne e del camino, forse il riflesso del sangue o anche l’armonia del cristallo, ma a Malekith parve che, mentre si voltava per andare alla scrivania, la maschera di Ronac stesse sorridendo. Ammiccò col capo alla scrivania di Ven.

«Lì potrebbe esserci qualche lettura interessante, principe Malekith. Per ammazzare il tempo mentre aspettiamo che Venice ritorni.»