Primavera, 1239 A.D.
Shar si rimise la camicia, dandogli la schiena. Malekith aveva freddo. Era come se lei si fosse presa tutto il suo calore e se lo tenesse dentro. Allungò la mano. Emanava calore, sì, come un fuoco, gli bastò avvicinarsi perché le punte delle dita si scaldassero. Si alzò anche lui, con un groppo alla gola. La voleva, e al contempo non voleva che stesse lì. Era come avere qualcosa nel petto che scavava, un verme che si dimenava per uscire. Lei cercò il suo sguardo. Lo cercava sempre più spesso, ma Mal lo tenne basso.
Santo Kell, basta…
Non la voleva guardare. Il verme gli si agitò nello stomaco. Shar sospirò, ma non era come al solito. Era un sospiro triste, come se stesse per mettersi a piangere. Si alzò, prese la sua sacca e uscì dalla tenda. Qualcuno deglutì. Mal si voltò e trovò Berry all’ingresso con la bocca semiaperta che cercava qualcosa da dire per dissimulare l’imbarazzo. Lo salutò con un cenno del capo.
«Ehi.»
«I-io non volevo… è tutto a posto?»
«No, non lo è.» Scrocchiò il collo e si rimise sdraiato. «Vieni, dimmi tutto.»
Il sorriso del mezzo-morag gli regalò un po’ di calore.
«Ero venuto solo per dirti l’itinerario. Si parte domattina all’alba, andiamo verso nord.»
«Che informazioni vuole, stavolta, re Levon?»
«Che io sia dannato se lo so. Sapere se c’è dissenso tra i contadini, immagino.»
Berry prese uno sgabello e si sedette accanto al letto. I suoi occhi indugiarono sul petto nudo di Mal, scesero a sbirciare fino al cavallo. Le sue guance si colorarono di una sfumatura rossastra. L’alfnar agguantò i calzoni e se li rimise.
«Oh, Kell, scusami. Non mi ero nemmeno reso conto…»
Berry si grattò la nuca e alzò gli occhi al soffitto della tenda, ma Mal lo colse a dare un’altra sbirciata. Gli sorrise, e il mezzo-morag ricambiò, ormai più rosso d’imbarazzo che verde. L’alfnar tentò di cambiare discorso.
«Pensavo che tra gli agenti dei servizi segreti regi ci fosse più… affiatamento, verso il sovrano.»
«Ah, sì?»
«Sì. Invece qui tutti quanti sembrano, non lo so, ostili. Ma lavoriamo tutti per lui.»
«Qui molti sono stati soldati sotto suo padre. Re Levon non ha fatto granché per rendersi simpatico. Guarda cos’ha dovuto fare Venice…»
Mal s’infilò anche la camicia.
«Perché, cos’ha dovuto fare?»
«Beh, sai… tutto il lavoro che deve fare. Il lavoro in più, intendo. Lo hai visto, no?»
L’alfnar annuì, grave.
«Ho visto.» Sbuffò dal naso. «Se devo dire la mia, amico, i re mi hanno proprio rotto i coglioni.»
***
Estate, 1239 A.D.
Malekith sollevò la mano. Il pugnale da lancio si librò in aria a una spanna da essa. La folla fu percorsa da un oooh d’ammirazione. Anche se a Caliman si parlava una lingua diversa, lo spettacolo suscitava sempre la stessa reazione. Jana, appoggiata al bersaglio dipinto sul legno, con le braccia spalancate, gli fece un minuscolo cenno col capo. Il corpo dell’alfnar formicolava dall’attaccatura dei capelli alla punta delle dita. Le cicatrici della Predisposizione non si vedevano, ma si sentivano eccome. Era come avere delle unghie che gli graffiavano la pelle, su ogni linea delle incisioni. Sentiva il manico del coltello sul palmo, come se lo stesse stringendo in mano. Piccolissimi glifi dorati scintillavano per un istante e svanivano sulla sua superficie, rapidi come un battito di ciglia. Flesse le dita, la lama danzò nell’aria. Sbuffò una boccata di fumo rosso sangue e diede uno scatto secco col polso. Il pugnale roteò nell’aria e si piantò un dito sopra il cranio della donna. Jana mollò un sospiro. Il pubblico scoppiò in un’ovazione. Mal aspettò che la sua compagna staccasse i coltelli piantati nel bersaglio e si inchinò assieme a lei.
Ti inchini a una torma di straccioni. Tu, l’erede al…
«Vaffanculo» sibilò a denti stretti.
Berry lo aspettava dietro al palco.
«Il lancio dei coltelli stupisce sempre, eh?»
«Oh, io continuo a trovarlo un numero facilissimo.»
«Sei tu quello che impara in fretta, Mal.»
Cale passò loro accanto con una cassa sulla spalla. La appoggiò a terra e gli oggetti che c’erano dentro tintinnarono. Mal gli batté una mano sulla spalla.
«Andiamo a berci qualcosa?»
Mise più calore possibile in quella frase, ma il cassadoriano lo guardò con i soliti occhi bassi, come faceva da mesi.
«No, non sono dell’umore. Andate voi.»
Da quando erano con il circo, Cale non era mai stato dell’umore, nemmeno una volta. Era diventato una specie di automa, come quelli alla miniera di Calat. Gli dicevi di spostare una cassa, lui spostava la cassa, sempre guardandoti a malapena in faccia.
Se ne andò, a capo chino, e Mal si morse la lingua per non bestemmiare. Berry gli sfiorò un braccio.
«Beviamoci qualcosa noi, forza. Offro io.»
***
Camminarono lungo il fianco della collina, al limitare del capo dove avevano allestito la fiera. Il vento era più fresco. L’estate stava finendo. Alla luce della luna, l’erba alta del prato ondeggiava al ritmo della brezza. Mal sentiva tutto così distante, così lontano. C’erano solo lui, Berry, il vento e la speziata birra di Caliman. Il mezzo-morag si schiarì la gola, tre colpetti di tosse. Lo faceva sempre quando voleva aprire un argomento scomodo.
«L’hai… l’hai più vista? Saputo nulla di lei?»
«Shar?»
L’altro annuì.
«No. Non ci scrivevamo, e anche adesso, come avremmo potuto?»
«Già, hai ragione. È che io ho sentito storie…»
Malekith sbuffò.
«Berry, ne abbiamo già parlato.»
«Sì, ma questa volta è diverso. Si parla di un mago scomparso. Tu—»
«Io non ne voglio sapere nulla.»
Diede un’ultima sorsata alla birra. Il suo sapore amaro e speziato gli sciacquò il palato. Si sedette a guardare l’erba e appoggiò il boccale di coccio accanto a sé. Addolcì il tono.
«È una così bella serata, Berry. Non la voglio passare a parlare di lei.»
Gli fece segno di sedersi. Il mezzo-morag esitò, mordicchiandosi il labbro inferiore. Si decise e si piazzò di fianco all’alfnar.
«Mi spiace che vi siate lasciati così male.»
Mal gli diede un pugno leggero sulla spalla.
«Non essere triste anche tu. Bastiamo io e Cale a fare i musi lunghi.»
«Tu… sei triste per lei?»
«No. Non so nemmeno cosa volevo da Shar.»
La mano di Berry scintillò alla luce della luna, stretta attorno al boccale. Fu come se una vecchia ferita si fosse riaperta un poco, quanto basta per fare male, per ricordarsi che c’è.
«Sai cosa mi rende triste? Quella.» Accennò alla mano d’argento con la testa. «Ogni volta che la vedo, ripenso che è colpa mia, anche se dici di no. Non sono tagliato per fare l’eroe, è evidente. Ma allora perché mi importa tanto?»
Si massaggiò le tempie. D’improvviso, gli era salita una gran voglia di piangere. Un tocco freddo sulla pelle. La mano di Berry gli risalì l’avambraccio e prese la sua. I suoi occhi dorati lo guardavano fisso, ma non come quelli di Shar. C’era un calore diverso, negli occhi del mezzo-morag, un calore che Mal non riusciva mai a reggere per molto. Quella sera, però, restò a guardarli. Berry sorrise, timido.
«Questa a me ricorda che mi hai salvato. Te l’ho già detto, e te lo dico ancora. Questo basta a renderti un eroe.»
Mal non si era accorto di essersi avvicinato tanto all’altro. Il mezzo-morag si allungò appena, chiuse gli occhi e premette le labbra sulle sue. Rimase con gli occhi sgranati, una scossa gli passò dalla bocca alla nuca, come se un fulmine gli avesse centrato il cranio. Berry si allontanò di scatto, il panico nello sguardo.
«S-scusami, io… n-non…»
Si tirò in piedi e Mal lo seguì, gli agguantò un braccio.
Non andare via.
Lo strinse a sé. Berry tremava, ma non c’era tutto quel freddo. Anzi, Mal aveva ancora caldo, si sentiva andare a fuoco, ma non riusciva a lasciarlo andare. Si sentiva leggero. L’altro singhiozzò.
«I-io…»
L’alfnar lo strinse più forte, come d’istinto, e lo lasciò piangere. Sapeva di fumo, di birra, di sudore, ed era il miglior profumo del mondo. Le sue lacrime erano calde, bollenti, scaldavano anche Malekith. Quel calore, quando Shar piangeva, non l’aveva mai sentito. Lei era potente. Lei gli serviva. Berry, invece, era così… indifeso. No, non avrebbe potuto lasciarlo, nemmeno se avesse voluto.
Non voglio che tu vada.
Fece scorrere le mani lungo la sua schiena. Oltre il tessuto, la pelle era solcata da lunghe linee irregolari. Berry gli prese i polsi e si staccò un poco da lui, gli occhi ancora umidi.
«Ho sempre sperato che tu mi abbracciassi così. M-ma avevo paura del giorno in cui tu le avessi toccate.»
«Chi te le ha…?»
«Mio padre. Quando ha scoperto come sono.»
L’alfnar fece scorrere ancora le dita sulle cicatrici, in maniera più delicata.
«Berry, io—»
«E mia madre.» La sua voce s’infiammò di rabbia. «Mia madre lo guardava e non diceva niente. Era grossa due volte lui, lei poteva…»
Singhiozzò ancora, come per ingoiare la rabbia. Tirò su col naso e gli accarezzò il viso con la mano argentata.
«Fidati quando ti dico che so cosa è, o non è, un eroe.»
Mal si chinò su di lui e lo baciò ancora. Aveva freddo, adesso, e lo strinse più forte per sentire di nuovo quel calore. Rimasero lì, lasciando che il vento passasse loro addosso.
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