Autunno, 1239 A.D.

 

Berry si era rigirato nelle coperte. Mal rimase a osservare ancora per un momento la curva del suo sedere che veniva nascosta dal lenzuolo. Sorrise e lo coprì di nuovo. Le notti iniziavano a farsi fredde. Scese dal loro carro senza far rumore e tirò la tenda che copriva il retro. S’infilò la tunica pesante e inspirò a fondo l’aria della notte. Dentro faceva un caldo tale da sudare, aveva bisogno di un po’ d’aria fresca. Il resto dei carri si era fermato una decina di metri più in là, accanto a delle grosse rocce. Mal passeggiò nell’erba alta, aguzzando la vista per vedere se c’era qualcuno sveglio. Una lucina, a sinistra, attirò la sua attenzione. Si avvicinò. Ai piedi del grande ulivo che sorgeva sul margine di uno strapiombo, Cale fumava la sua lunga pipa sottile. Guardava giù, sbuffava piano il fumo e teneva la spada appoggiata di traverso fra le gambe.

«Non riesci a dormire?»

«No. Non ci riesco da tanto.»

Il cassadoriano fece vagare lo sguardo sulla pianura sotto di loro. Mal si sedette davanti a lui.

«Da Forge?»

Cale strinse la mano sull’elsa della spada. Annuì.

«Quando penso a cosa ho fatto quella notte a Forge, io…»

Strinse i denti. Attraverso la camicia aperta si vedeva una lunga cicatrice che gli attraversava il pettorale sinistro. Invece di essere bianca, era scura. L’alfnar la indicò con lo sguardo.

«Ti fa male?»

«No. Non è a questa che penso. Penso a quello che ha detto Bazachel.»

«Te l’ha guarita lui, vero?»

Cale annuì. Mal si massaggiò la radice del naso.

«Sai bene che, qualunque cosa ti abbia detto, è probabile che mentisse, vero?»

«Conosceva mio padre!» Il giovane si passò le dita sulla cicatrice. «Sa di chi era questa spada. L’ha riconosciuta.»

«Magari si sono affrontati. Cosa ti ha detto?»

«N-non ho voluto sentirlo. Lui… ha detto che era la sua spada, i-io non volevo ascoltare. Sono scappato.» I suoi occhi si riempirono di lacrime. «E adesso, ogni notte, io mi chiedo…»

Mal gli si avvicinò, strisciando il culo per terra, e gli posò la mano tra la spalla e il collo.

«Cale, va tutto bene.»

«No! Non va bene niente! Non sono nemmeno stato capace di ascoltare.»

«Ascolta me adesso.»

Fece scivolare la mano sulla nuca e appoggiò la fronte alla sua, guardandolo dritto negli occhi.

«Tu non hai nulla che non va, Cale. Sei solo diverso da tuo padre.»

«Ma io—»

«Va bene così. Tu sei Cale Vitby, non Samwhaine.»

Il cassadoriano aprì la bocca, ma non emise un suono. Chiuse gli occhi e due grosse lacrime gli scesero lungo le guance. La pipa giaceva fumante nell’erba.

«Quando Berry mi ha baciato, Cale, io… mi sono sentito diverso. Ho cercato di essere qualcun altro per tutta la mia vita. Non so chi sono, non ancora, ma so che non potrei essere più diverso da mio padre. E va bene così.»

Cale si asciugò il naso, lo sguardo basso.

«Io non sarò mai un eroe.»

In un lampo, il volto di Valadier gli passò davanti agli occhi. Storse le labbra.

«Meglio così. Nella mia esperienza, gli unici eroi decenti sono quelli morti giovani.» Si accorse di quanto era duro il suo tono e scosse la testa. «È inutile aver paura della verità, Cale. Se Bazachel e tuo padre si conoscono, forse devi scoprire perché.»

«Ma… e se lui…»

«Magari quel klyn c’entra con la malattia di tuo padre. O magari, Kell non voglia, ha una cura.»

L’uomo si asciugò gli occhi col dorso della mano.

«Tu credi davvero?»

Mal fece spallucce e gli diede un buffetto sulla guancia.

«In ogni caso, non è una decisione da eroe. Devi solo mettere un piede davanti all’altro e andarlo a cercare. È una decisione solo tua, Cale.»

Per la prima volta, dopo mesi, Cale si lasciò sfuggire una specie di sorriso.

«Grazie, Mal. Sei un amico.»

«Figurati. Non stare qui a sprecare lacrime, forza. È meglio che tu parta prima possibile.»

 

***

 

Cale era già andato a dormire da un pezzo. Solo Mal era rimasto a guardare la pianura che si stendeva ai piedi del colle, finché il vento non gli aveva dato i brividi. Si era girato e aveva visto suo padre. In piedi, a pochi passi dal carro, il volto contratto dalla solita smorfia. Mal sbuffò e attraversò il prato. Gli abiti di re Dimas erano immobili, come se il vento non osasse toccarlo.

«Adesso sei pure un invertito. Un codardo che scopa con altri maschi. Cosa ho fatto per—»

«Niente» sibilò Mal. «Non hai fatto niente. non voglio che tu faccia niente. Voglio solo che tu te ne vada.»

«Pensi che sia contento di stare qui ad assistere ai tuoi fallimenti?»

«Non mi interessa cosa ti fa contento.»

Suo padre sollevò un sopracciglio.

«Cosa?»

«Mi hai sentito. Non mi interessa. Non mi interessa essere come tuo fratello, non mi interessa il tuo stupido trono del cazzo.»

Sul volto del monarca si dipinse un sorriso beffardo.

«Abbandoni tutto per quell’altro invertito?»

«Ho ucciso Valadier. Uno dei tuoi grandi esempi di eroismo era un pazzo sadico.»

Re Dimas fece un’altra smorfia, ma non ribatté.

«Se tu fossi un buon padre, te ne andresti e mi lasceresti in pace.»

«Io non sono tuo padre.»

Fu una coltellata al cuore, ma Mal non lasciò trasparire niente.

«Perfetto. Dimenticami, allora, e lasciami in pace.»

«Non hai capito…»

«Ho capito benissimo.» Lo superò e si diresse al carro. «Addio.»

Il re rise alle sue spalle.

«Non mi stai dicendo addio davvero, Malekith. Un giorno lo capirai anche tu. Io sarò sempre con te.»

Si voltò, ma di suo padre non era rimasto nulla. Aveva freddo, tanto freddo, adesso.

Sono solo.

Tornò da Berry col solo desiderio di cacciare via quel gelo.

 

***

 

«Io ero il Mal del trono di Espya. Mal Malekith Callidras Kitessar Secondo, e mio Padre era Re Dimas Avkar Kitessar Primo. Fu ucciso in una congiura dei nobili, che posero suo fratello minore, mio zio Varran, al suo posto. Ma quello non è zio Varran. Quello è il nostro vecchio stregone di corte, lo chiamavano il Cremisi. Ha preso la sua pelle con la magia, e finge di essere lui. C’è una taglia sulla mia testa.»

Non era come con Valadier. Raccontare tutta la sua vita a Berry non era come togliersi un peso, ma al massimo come leggere un brano noioso in un libro. Non gli sembrava nemmeno la sua vita, quella. Aveva dato tanto peso a quelle cose, ma ora erano lontane, piccole, solo parole su una persona che non esisteva più.

Il mezzo-morag, seduto a gambe incrociate con la coperta avvolta attorno alle spalle, sbatté i suoi grandi occhi dorati.

«Io… capisco. Ora cosa farai?»

Malekith sapeva cosa volevano dire quelle timide parole.

«Nulla. Questo è quello che ero. Ma io non sono più un principe, né un fuggitivo.»

«Mal, ma il trono…»

«Non mi interessa più del trono.» Gli accarezzò il viso. «L’ho voluto per tanto di quel tempo, e non sapevo nemmeno come tornare. La verità è che lo facevo per mio padre.»

Il calore del volto di Berry gli si spanse dentro le dita.

«Ho sempre voluto che mi guardasse come mi guardi tu. Essere un eroe, per lui. Ma non sono fatto per fare l’eroe.»

Il mezzo-morag gli prese la mano tra le sue.

«Non devi essere un eroe. Non per me.»

«È per questo che non voglio più tornare.»

Si protese in avanti e lo baciò. Dischiuse le labbra e intrecciò la lingua con quella di lui, si staccò e rimase lì, a un paio di centimetri dal suo viso.

«Non ho bisogno di un posto dove tornare. La mia casa, ora, sei tu.»

Berry aprì la bocca, le labbra gli tremarono. Provò a dire qualcosa, ma gli venne da ridere e si fece rosso, deglutì.

«Ti amo, Malekith. Che tu sia un principe o meno.»

Lo baciò, ma nei suoi occhi passò un’ombra di preoccupazione.

«E non permetterò a nessuno di farti del male.»