Primavera, 1240 A.D.
Mal si chinò a prendere un altro ramo secco buono per il fuoco, e lo infilò nella fascina che aveva già stretto con le corde. Il sottobosco, illuminato dal sole quasi al tramonto, era costellato di macchie di luce dorata. Qualcuno si schiarì la voce alle sue spalle.
«Ti hanno messo a portare i legnetti?» ridacchiò Fern.
«Ho fatto di peggio, sai? Una volta mi sono fatto coinvolgere in una rapina da un vecchio mezzo cieco. Un vero stronzo.»
«Ho come l’impressione di conoscerlo, sai? Uno stronzo fatto e finito.»
Mal rise e lo abbracciò.
«Cosa ti porta qui, amico? Tutto bene?»
Fern si sistemò il mantello da viaggio sulle spalle. Era pieno di polvere, gli orli macchiati di fango.
«Tutto a posto, volevo solo farvi visita. A voi e a Ven.»
«Potevi avvisare, vecchio furfante. Ti avremmo fatto una bella festa.»
«Non sarebbe stata una sorpresa, Mal.» Lo spadaccino fece un sorriso furbo. «E le sorprese piacciono a tutti. Come stanno Berry e Cale?»
«Cale è partito. Sei mesi fa, oramai.»
Lo spadaccino fece cenno a Mal di seguirlo tra gli alberi.
«A fare cosa?»
«Doveva parlare con Bazachel.»
«Di cose non proprio belle, immagino.»
«Immagini giusto.»
Fern raggiunse un cavallo legato al ramo di un albero, e armeggiò col nodo che aveva fatto alle redini.
«A quanto so, invece, Berry sta più che bene, eh?»
Mal avvampò.
«E tu come fai a saperlo?»
L’altro fece spallucce.
«Non sarei la migliore spia di sua maestà se non fossi capace di tendere bene le orecchie e ascoltare le voci.»
«Ma…»
Fern gli strizzò l’occhio.
«Tranquillo, Mal. Per quel che vale, avete la mia benedizione.»
L’alfnar si scoprì sollevato da quelle parole. Non ci aveva mai pensato, ma in quel momento l’approvazione di Fern contava eccome. Era stato un po’ il suo maestro, dopotutto, come suo padre. Scosse la testa e gli sorrise.
«Vieni, avanti. Gli altri saranno felici di vederti.»
Lo spadaccino tirò il cavallo per le briglie e sfoderò il suo, di sorriso, quello che Malekith non riusciva ancora a imitare bene.
«Ne sono sicuro, ragazzo.»
***
Mal cercò lo sguardo di Berry, e, per l’ennesima volta quella sera, lui gliene restituì uno falso. C’era un falso calore, una falsa calma, in quegli occhi. Sapeva riconoscere quando il suo amante mentiva. Ora non stava mentendo, si stava nascondendo. Le sue occhiate erano rapide, come a volerlo tenere buono. Dopo un momento, però, tornavano su Fern.
Era cominciato tutto da quando lo aveva visto arrivare assieme a Malekith. Il signor Larue, che di solito aveva l’incredibile capacità di girare non visto per il suo circo, era spuntato di colpo in mezzo al campo, e vi si era piantato come una statua. Lui e il mezzo-morag si erano scambiati uno sguardo, avevano salutato Fern ed erano spariti per mezz’ora. Era tutta la cena che Larue si accarezzava i baffetti e che Berry faceva schizzare lo sguardo da Mal allo spadaccino. Questi si passò due dita sulla benda che gli copriva l’occhio sinistro, come per massaggiarlo.
«Buona questa zuppa. Ceci?»
Nessuno, di tutta la compagnia, gli rispose. Equilibristi, giocolieri, mangiafuoco e tutti gli altri saltimbanchi avevano smesso di essere il solito, festoso gruppo, e avevano assunto gli sguardi della loro vita precedente. Sguardi taglienti, adatti a spie, tagliagole e assassini. Jana fece un brusco cenno di sì con la testa. Larue si arricciò un baffo con una lentezza esasperante.
Mal buttò giù l’ultima cucchiaiata.
«Domani sera saremo ospiti di Venice. Ci fermiamo sempre da lui, di quando in quando.»
Fern ridacchiò.
«Spero che vorrà offrire una seggiola anche a me.»
Larue sollevò una delle sue cespugliose sopracciglia.
«Ma certo. Perché mai non dovrebbe?»
«Sono arrivato di sorpresa. Sembrava che nemmeno voi mi aspettaste.»
«Non ti aspettavamo, infatti.» Gli occhi neri di Larue si spostarono su Malekith. «Non ce l’aveva detto nessuno, ma un rappresentante di sua maestà è sempre ben accolto. Manderò a dire a Venice di preparare un posto in più.»
Fern sorseggiò una cucchiaiata di zuppa.
«Sono sicuro che ha sedie per tutti, non c’è bisogno di disturbarsi. E poi, immagino che mi veda più come un caro, vecchio amico, che come un rappresentante in incognito della corona. O sbaglio?»
«Certo.» Larue non sorrideva mai, i suoi sorrisi erano smorfie. «Avrebbe motivo di dubitare della vostra amicizia?»
Mal si alzò e passò accanto a Berry.
«Seguimi.»
Si fermò dietro a un carro, lontano dal grande falò attorno a cui erano seduti tutti, e si voltò di scatto.
«Mi dici cosa succede?»
La luce del fuoco arrivava appena, lì dietro. Le ombre rendevano il volto di Berry più duro, e questo gli faceva gorgogliare lo stomaco.
«Mal, non—»
«Non lo vediamo da mesi, quasi un anno! E voi lo accogliete così, come se…»
Sbuffò e lasciò la frase in sospeso. Abbassò la voce.
«C’è qualcosa che devo sapere?»
Berry deglutì.
«Sai che non voglio che ti succeda nulla.»
«Cosa mi deve succedere? È Fern, Berry, il nostro Fern. Ci siamo conosciuti grazie a lui. Non ti fidi più?»
Il mezzo-morag era interdetto, come se non sapesse cosa rispondere. Sul suo viso affiorò un sorriso timido.
«No, è che… lui e Larue non sono mai andati molto d’accordo. Siamo solo stanchi, tutto qui.»
«Non sono stupido, Berry. Questa non è stanchezza.»
Lui gli prese le mani, e Mal si accorse di starle stringendo a pugno. Le dischiuse e si lasciò trascinare avanti. Berry lo abbracciò.
«Sai che non ti mentirei mai. Sono solo questioni loro, e tu… tu sei tanto legato a Fern, stai ingigantendo la cosa.»
L’alfnar sospirò.
«Sì, forse… forse è così.»
«Tranquillo. Domani Ven sistemerà tutto.»
C’era qualcosa di strano in quelle parole. Si lasciò ricondurre al falò, ma continuavano a ronzargli in testa. Era stato il tono, o qualcos’altro?
Suscitavano una domanda, però.
Cos’è che Ven deve sistemare?
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