Nonostante la miriade di candele, il salone che Venice aveva preparato per il banchetto rimaneva buio. Tutti mangiavano piano e parlavano a voce bassa, come se fossero nella navata di una cattedrale. I servi si muovevano senza fare rumore.

Fern masticò un pezzo di salsiccia assieme a del pane, inghiottì. «Nemmeno a corte si mangiano salsicce così, Ven. Cinghiale?»

Il mago rispose con un secco cenno d’assenso. Rigirava il coltello nel piatto, punzecchiando la carne, scartando i grani di pepe come per gioco. Un gioco stupido, a giudicare dalla sua faccia. I suoi occhi arrossati scivolavano da Fern a Mal, a Berry, seduto accanto all’alfnar, e sorvolavano gli altri commensali per posarsi sul signor Larue. Se li sfregò per l’ennesima volta con la mano. Aveva la faccia di uno che non dorme da giorni.

Quella tensione stava logorando Malekith. Le salsicce alla panna e pepe erano sempre meno appetitose, il loro sapore svaniva nell’istante stesso in cui se le metteva in bocca. Come macigni, gli scendevano a fatica nello stomaco. Sfiorò il braccio a Berry, interrompendo quell’infinito gioco di sguardi tra lui, Chastaine e lo spadaccino che andava avanti dall’inizio della cena.

«Cosa succede?» bisbigliò.

«Mal… adesso non…»

Ven spostò gli occhi su di lui. In quello sguardo non c’era nemmeno un briciolo del Venice che l’aveva portato a casa sua, o che li aveva ospitati ogni volta che erano passati da lì i mesi prima. Mal si sforzò di sorridergli.

«Va tutto bene, Ven?»

Si gettò uno sguardo attorno. Kailegh, il klyn pelato che suonava il liuto nell’orchestrina, stava fissando intensamente il fondo del suo piatto, così come anche Jana e sua sorella Dilly. Dolgrane, l’altro alfnar, uno degli equilibristi, si grattava tra un canino e un incisivo con l’unghia e guardava altrove.

«Già, sembri a pezzi.» Fern sorrise al mago e gli posò una mano sul braccio. «Dormi bene, amico?»

Venice si irrigidì per un istante, come se l’avesse toccato del ghiaccio.

«Sì, sto benissimo.»

«Ma no, ma no,» insistette lo spadaccino, «guarda che occhiaie. Dev’essere il Sangue di Drago. Spedire in giro tutti quei carichi di cristalli, raffinarli, fare l’inventario…»

Berry teneva gli occhi sgranati piantati su di lui, come se si fosse messo a bestemmiare. Mal gli prese la mano sotto al tavolo.

Cosa cazzo sta succedendo?

Ven contrasse la mascella.

«Sto bene, Fern. Grazie.»

«Meno male. Per il resto, tutto a posto qui? Ho visto che alla fine ti sei sbarazzato di tutti quei costrutti, tranne di Ronac.»

«Sì. È utile.»

«Sì, è qui da parecchio.» Si voltò verso Mal e Berry. «Non eravate mica stati voi due a tirarlo fuori?»

Il mezzo-morag d’improvviso gli strinse la mano.

«Sì.» Malekith rispose in automatico.

«Beh, saprà un sacco di cose su come—»

«Berry, possiamo parlare?» Il sussurro questa volta divenne un sibilo.

«Mal…»

«Adesso.»

 

***

Il muro di pietra era gelido, il corpo di Berry caldo. Sotto le dita, appoggiata sul suo collo, Malekith gli sentiva il battito del cuore, forte come un tamburo.

«Vuoi spiegarmi cosa succede?»

«Non posso.»

«Perché?»

«Mal, non è il momento. Non devi preoccuparti, sono solo… è questa spedizione, il carico—»

Si bloccò, mordendosi la lingua.

«Carico? Spedizione?»

L’alfnar lo prese per le braccia, pronto a ringhiargli addosso. Il dolore negli occhi dell’amante lo bloccò. Lo lasciò andare. Non voleva dirglielo. Non voleva dirlo a lui.

«Berry, ti prego…»

«Mal, è per il tuo bene. Adesso non posso, capisci?» Il mezzo-morag gli accarezzò il viso con la mano. «Non posso metterti in pericolo.»

Mal lo baciò all’improvviso, per scacciare il peso che aveva dentro. Un bacio lungo, che zittisse tutti i suoi pensieri.

Berry non mi tradirà.

Berry si staccò.

«Dobbiamo… dobbiamo tornare, o…»

Mal gli fece il sorriso più incoraggiante che poté.

«Me lo dirai dopo, quando saremo soli. Va bene? Risolveremo tutto quanto.»

L’altro si irrigidì.

Kell benedetto…

«Noi… dormiremo in camere separate» pigolò Berry. «Per essere più… per sicurezza.»

Approfittò dello stupore di Mal per superarlo e andare via, quasi stesse scappando. Lui tese una mano, lento, come per chiamarlo a sé. Ma Berry era già andato via.

 

***

 

Cosa mi aspettavo? Che mi sussurrasse “va tutto bene, amore”?

Sì, o almeno l’aveva sperato. Si era pentito di non averlo seguito, ma quella palla di fuoco che gli vorticava nel petto l’aveva spinto a continuare a camminare dalla parte opposta.

Cosa cazzo ha? Cosa cazzo succede?

Venice aveva gli occhi di un pazzo. Berry non parlava. E Fern, come se non bastasse, faceva finta di niente. Perché era ovvio che facesse finta, non poteva non aver capito a che gioco giocavano. L’unico che non aveva ancora capito un cazzo era lui. Tirò un pugno all’aria e svoltò a destra, ritrovandosi nello studio di Venice. Ronac stava facendo scorrere l’indice metallico lungo una riga di un libro mastro. Sollevò il capo e puntò le sue orbite vuote verso di lui.

«Malekith, buonasera. Che bella sorpresa, passeggiavi?»

«Oh, Ronac. No, io…»

I due fori neri al posto degli occhi davano all’alfnar la stessa impressione degli occhi dei klyn: un prurito alla nuca, e la sensazione che potessero leggere i suoi pensieri.

«Ti vedo teso, amico mio.» Ronac passeggiò verso di lui. Le sue mani ticchettarono sulla scrivania di Chastaine. «Se è per questo, ho avvertito parecchia tensione tra tutti voi, a cena.»

«Io non ti ho visto, invece.»

«Vi ho guardati per un momento da uno dei camminamenti superiori.» Accennò con la testa al librone sulla scrivania. «Il mio lavoro non si ferma mai. Vuoi sederti?»

Mal annuì e si piazzò sulla prima sedia che trovò.

«Io non sto capendo più nulla, Ronac. Tu… tu sai qualcosa? Perché Ven è così? Perché Berry…»

Gli bruciavano gli occhi, se li strofinò con i palmi delle mani.

«Tu lo ami, vero?»

Mal si grattò la barba ispida, nella sua testa un turbine di pensieri.

Io lo amo, ma lui? Perché nascondermi le cose?

«Sì, Ronac. Io lo amo.»

Il golem gli si inginocchiò davanti, il volto di metallo a due dita dal suo.

«E allora andatevene. Prendilo con te e portalo via.»

Non l’aveva mai sentito parlare così. Nei mesi in cui era rimasto in quella montagna, l’aveva visto mutare la sua antiquata parlata in una più moderna, ma non era mai stato così secco. C’era urgenza nella sua voce.

«Perché? Cosa sta succedendo, qui?»

«Non te lo posso dire. Così come non lo ha fatto Berry.»

Mal si alzò di scatto, ribaltando la sedia.

«Allora qualcosa c’è!»

«Stai calmo.» Anche Ronac si tirò su, ma più lentamente. «Lo faccio per rispettare la volontà di Berry. Se non te lo ha detto, è evidente che non voglia coinvolgerti.»

Mise le mani dietro la schiena. Era una spanna e mezza più basso di Malekith, ma non pareva affatto intimidito dalla stazza dell’alfnar.

«Tu mi ricordi me da giovane. Sin dal primo momento che ti ho visto, quando il tuo amico Cale si è fiondato da me, e Berry si è messo sotto la porta. Tu pensavi più di loro, forse anche troppo. Non lasciare che i pensieri, adesso, ti fermino. Non pensare. Prendi Berry e scappate.»

«No.»

Mal fece un passo indietro. Brividi gli corsero lungo le braccia, serrò i pugni per scacciarli.

«Io ho promesso che non sarei più scappato. Io voglio—»

«Vuoi fare l’eroe?» La voce di Ronac era dolce, ma rassegnata. «È questo?»

«No,» ringhiò. «Non voglio essere un eroe.»

«Capisci questo: Berry vuole solo proteggerti.»

Mal gli voltò le spalle e andò alla porta, a passo pesante. Il fuoco nel petto si era riacceso, e lui non sapeva su chi sfogarlo. Ma Ronac non c’entrava nulla.

«Mi spiace averti interrotto. Addio, Ronac.»

Il golem fece un verso che poteva quasi essere un sospiro.

«Arrivederci, Malekith. Arrivederci.»