Autunno, 1253 A.D.

 

Il vespro stava calando alle spalle di Thiago, divorando quel che rimaneva del pomeriggio. Le sue scarpe d’acciaio cigolavano appena sulle foglie. La sua armatura non pesava nulla. Da quando era morto, muoversi in essa era diventato facile. Come se fosse la sua nuova pelle. Scavalcò una radice e proseguì tra gli alberi. Non li ricordava così fitti. Non che ricordasse molto bene, oramai. La porta azzurra del rifugio, un poco sbiadita, era ben visibile nonostante la poca luce che rimaneva del giorno. Entrò nella radura, accompagnato solo dal cigolio sottile delle sue giunture.

Immagina quanto sarà sorpreso di vedermi.

Se Thiago avesse avuto la bocca, l’avrebbe storta in un sogghigno amaro, pieno di odio. Voleva capire che faccia avrebbe fatto Manonera nel vederlo tornare. Immagini sbiadite e suoni lontani di stoviglie gli riportarono alla memoria le loro vecchie “riunioni”, in quella stessa casetta. Si trovavano lì dopo ogni colpo. Tre anni di lavori assieme, quasi quattro. I volti di Alfie, Vancha, e… nulla. Non li ricordava più, erano scivolati via assieme a tutti gli altri ricordi. Restava solo quello di Manonera. Se lo ricordava bene, l’alfnar che l’aveva ucciso. Bussò due volte, con rabbia. Il guanto corazzato produsse suoni secchi contro il legno. Aprì la porta senza aspettare. Erano tutti seduti al tavolo. Un uomo dai capelli neri e unti portò la mano alla sciabola.

«Ma chi cazzo…»

Il nome di quel volto asimmetrico, con l’occhio destro appena più grande di quello sinistro, ricomparve nella mente di Thiago.

Vancha.

La klyn accanto a lui si sporse un poco avanti, per guardarlo meglio. Il suo volto si illuminò con un sorriso.

«Thiago?»

Alfie.

«Sì, sono io.»

Era sempre stata così profonda, la sua voce? I suoi occhi, da dentro l’elmo, si posarono sugli ultimi due suoi compagni. L’uomo che stava sempre accanto a Manonera aveva i capelli lisci e castani, gli occhi di un azzurro penetrante, il naso affilato. Era un volto gentile, il suo, che Thiago aveva pensato di non dimenticare mai. Cosa che, invece, era successa. A rivederlo, però, anche il suo nome tornò a galla.

Cale.

Manonera era seduto a capotavola, la posizione migliore per tenere d’occhio la porta. Se Thiago avesse voluto piantare l’ascia nel suo maledetto cranio, avrebbe dovuto saltare il tavolo per il lungo. I capelli bianchi dell’alfnar erano più corti, ma la sua espressione era sempre la stessa. Aveva aspettato per gustarsi il suo sgomento nel realizzare che un’ombra di Kell era tornata per lui. Lesse il panico nei suoi occhi bruni, e si sentì invincibile. La vittoria era lì, a portata d’ascia. L’odio che gli pulsava nel petto, al posto del cuore, accelerò i battiti. Manonera sfoderò il suo sorriso sornione, e Thiago si irrigidì.

Cosa?

Cale, seduto al suo fianco, lanciò all’alfnar un’occhiata sospettosa. Quello rispose con un lieve cenno del capo. Thiago si trovò nell’assurda condizione di cercare di deglutire senza avere una gola. Rimase imbambolato a fissarlo, sull’uscio, senza muoversi d’un capello.

«Vuoi star lì a prendere freddo o ti decidi a sederti, amico?»

Il tono di Manonera era ironico, ma anche spaventoso. Non c’era altro che potesse leggere, nessuna emozione o sfumatura di paura che potesse tradirlo. Gli venne voglia di girarsi e andare via. L’odio pulsò più forte e lo costrinse a venire avanti, come se Manonera fosse una dannata calamita. Vancha chiuse la porta alle sue spalle e Thiago si sedette su un robusto sgabello, facendo stridere il metallo che lo ricopriva. Alfie sbatté i grandi occhi perlacei.

«Non ti togli—»

«No.»

La interruppe con troppa forza. Sul viso della klyn passò un’ombra, e si tirò un poco indietro.

«No, io… preferisco di no. Grazie.»

Manonera continuava a sfoggiare quel suo sorrisetto strafottente. Sul suo volto, assieme alla cicatrice sul naso, gli dava un’aria che poteva anche sembrare minacciosa. Era il volto di un criminale consumato, quello, di uno lesto col cervello e ancora di più col pugnale. La gola di Thiago lo sapeva bene. Come aveva potuto essere un principe, un tempo?

«Stavamo giusto discutendo dei preparativi del nostro ultimo lavoro, Thiago. Sei arrivato al momento giusto.»

Manonera gli parlava come se fosse normale che uno che hai sgozzato più di sei mesi prima si ripresenti alla tua porta sulle sue gambe. Cale si spostò una ciocca di capelli dal volto, senza staccare da Thiago uno sguardo diffidente.

È decisamente meno bravo a dissimulare rispetto al suo amico.

«Vi preparavate senza di me?» Thiago si sforzò di inserire la stessa dose di ironia di Manonera, in quella frase.

A vedere i volti degli altri, il risultato non fu quello sperato. Alfie abbassò gli occhi sul piatto di minestra quasi vuoto.

«Ti abbiamo aspettato, ma tu non arrivavi…»

«Già, non arrivavi.» C’era una nota appena più dura nella voce di Manonera.

Non te l’aspettavi, eh?

«Beh, ora sono qui.»

«Immagino verrai con me, allora.»

La risposta dell’alfnar fu come un diretto alla mascella. Thiago scosse l’elmo, confuso, producendo un cigolio metallico.

«Come?»

Cosa diavolo passava nella mente di quella serpe?

Vancha fece una delle sue risate grasse, di pancia, che parevano del tutto inadatte a un tipo così smilzo.

«Cosa sei venuto qui a fare, se no? Non ci vuoi aiutare?»

«No. Assolutamente no, non pensarlo neanche.»

Di nuovo, un tono troppo duro. L’uomo sbatté due volte le palpebre, confuso, e nei suoi occhi asimmetrici Thiago vide spandersi il dubbio. Vancha non avrebbe mai tradito Manonera, ne era sicuro. Ne aveva troppa paura, e lui non era sicuro di riuscire a mettergliene di più.

Sono una maledetta ombra, per Kell!

Ma Vancha era suo amico. Meglio dare corda all’alfnar, e vedere dove andava a parare. Appoggiò con un tonfo la mano guantata d’acciaio sul tavolo.

«Che cosa mi sono perso? Qual è il lavoro?»

Il sorriso di Manonera si allargò.

«Solito mandante dell’ultima volta. Procedura diversa. Non saremo più tombaroli, amico mio, abbiamo tutti i permessi per unirci a una squadra di scavo con regolare licenza.»

Accennò col capo alla bolgia di carte che ingombrava il tavolo. Vancha tamburellò le dita pallide sul legno.

«Visto che il lavoro è legale, non dovremo aspettare un altro anno per la prossima riunione.»

«Di cosa dobbiamo occuparci?»

Thiago cercò di controllare quello che diceva, di prevedere le risposte dell’alfnar, ma aveva la netta impressione di scivolare su una lastra di ghiaccio.

«Ricognizione in avanscoperta» borbottò Cale. «La squadra di esplorazione ha trovato dei condotti non esplorati e ci dobbiamo andare noi. È uno degli ipogei di Calat.»

Manonera congiunse le dita.

«E tu capiti a fagiolo, amico mio. Pensavo proprio che sarebbe stato un bel bordello coordinarci, con un uomo in meno.»

Thiago rimase zitto per non dare all’alfnar altri appigli, ma la trappola oramai era scattata.

«Io devo andare a recuperare informazioni dal nostro mandante, e Alfie deve fare le sue compere. Vancha la accompagnerà, e tu verrai con me e Cale. Voglio avere il massimo vantaggio possibile sul mandante. Conosco una scorciatoia, ma dobbiamo muoverci subito.»

Bastardo. Vuole portarmi in qualche bel vicolo cieco e farmi la festa assieme al suo amichetto.

Manonera era una serpe in tutto e per tutto. Ma era meglio così, persino tutto l’odio che gli correva in corpo glielo diceva. L’avrebbe ammazzato lontano dagli occhi di Alfie. Non avrebbe mai potuto farlo davanti a lei.

Vedrà cos’ho in serbo per lui, aspetta solo che abbassi la guardia.

«D’accordo, amico. Nessun problema.»

L’alfnar intrecciò le dita e le scrocchiò.

«Sei pronto a partire adesso?»

Prima era, meglio era. Faceva già fatica a sopportare lo stare seduto lì, a guardarlo sorridere. Era snervante. Tutti quei mesi a pensare a come ucciderlo, a cosa gli avrebbe detto, per poi farsi cogliere alla sprovvista così. Due frasi, un sorrisino, e lo aveva disarmato.

Gli darò quel che si merita.

Immaginò di averlo tra le mani, di sentire il suo collo sotto i guanti dell’armatura, ma non ci riusciva. Più si sforzava, più l’immagine diventava evanescente, come i suoi ricordi. Meglio farlo davvero, e alla svelta. Si alzò.

«Andiamo.»

Il sorriso di Manonera non vacillò neppure.

 

***

 

Cavalcavano spediti nella valle, Manonera al centro, Cale da un lato, Thiago dall’altro. Era il momento perfetto. L’ombra abbassò la mano corazzata sul manico dell’ascia. Nella sua mente, tutto continuava a succedere. Sfoderava l’ascia, alzava il braccio, piantava l’acciaio nella schiena dell’alfnar. No, nel collo, così forte da staccargli la testa. O meglio ancora, un bel fendente che gliela spaccasse a metà. L’odio gli pulsava al posto del sangue, dentro al suo guscio d’acciaio. Era la stessa sensazione di quando aveva mangiato quel soldato, quel Lambert. Era piccolo e magro, ma Thiago si sentiva tanto vuoto. Aveva bisogno di qualcosa, qualcosa che riempisse quell’armatura, assieme all’ombra. La corazza gli si era chiusa addosso come un’enorme fauce metallica, e si era sentito meno vuoto. Il suo vero corpo, quello che Manonera aveva sgozzato, si era dissolto troppo in fretta; nemmeno un mese dopo il suo risveglio. Era stato come chiudere gli occhi per un attimo, sdraiato a terra ai piedi dell’alfnar. L’odio gli era strisciato dentro in un secondo interminabile. Aveva riaperto gli occhi e non c’era più nessuno. Solo una pozza di ombra liquida che si incollava alle foglie cadute.

Concentrazione. 

Chiuse le dita sul manico dell’ascia. Era sempre stata così pesante? Una vocina gli strisciò nella testa.

E Cale?

Cosa avrebbe fatto il cassadoriano, una volta che la sua ascia fosse calata? Thiago strinse le briglie del cavallo con la sinistra. Non voleva ucciderlo.

Se lo merita. È suo complice, questo basta e avanza.

Lo sguardo del cassadoriano si spostò nella sua direzione, e Thiago tolse di scatto le dita dalla sua arma. Tornò a fissare la schiena di Manonera, a pensare come calare il colpo. Chissà perché, anche nei suoi pensieri, ora, l’ascia era pesante.

 

***

 

Sei un idiota. Ti sei fatto fregare come un principiante.

Thiago camminava in cerchio nella stalla, i piedi corazzati che pestavano la paglia. I cavalli nitrivano, nervosi, ogni volta che si avvicinava. Se l’era fatto scappare. Aveva come una matassa di serpi che gli si dimenava nei polmoni e gli toglieva sempre più il fiato.

E adesso?

Erano arrivati all’ingresso di una specie di fortezza, alla base di un monte. Una grande caverna si apriva nella roccia, tutto fremeva di attività, con carrelli da miniera che entravano e uscivano, operai con ceste e sporte cariche di sassi e di cristalli rossi. Thiago era rimasto a guardare, impressionato, un attimo di troppo. Guardie armate di lance l’avevano subito scortato verso le stalle. Manonera gli aveva rivolto quel suo maledetto sorriso e aveva detto:

«Aspetta qui.»

E lui, come un imbecille, ci era rimasto, lì. Ci stava ancora rimanendo, a dirla tutta. Mollò un pugno a una delle travi della stalla, incidendo profondi solchi nel legno.

Avrei dovuto…

Persino con tutto l’odio che gli pulsava dentro, con tutte le immagini di lui che squartava Manonera, non riusciva a fare niente. Avrebbe dovuto fare a pezzi le guardie, Cale e anche quel maledetto alfnar, aprirlo in due a colpi di ascia.

Non sono un assassino.

Tirò un altro pugno alla trave, ma più debole. Non era assassinio, era giustizia. Ma tutte le guardie che avrebbe dovuto uccidere? Avrebbe voluto piangere, ma l’elmo era l’unico volto che aveva, ed era solo un pezzo di ferro. L’odio poteva stare lì a pulsare e a sobbollire quanto voleva, ma non riusciva nemmeno a fargli versare una lacrima. Si sedette, la schiena contro la trave. I ricordi sbiadivano sempre più in fretta, l’unica cosa nitida nella sua testa era Manonera. E se fosse stato per quello, che non riusciva a…?

Il volto di Alfie si mischiava con quello di sua sorella.

Ce l’ho davvero, una sorella?

La stringeva forte a sé, in alcuni momenti era un pargoletto e in altri era già adulto, in armatura, ma lei era sempre bambina.

Agatha. A-agathe? Agave?

Una ridda di panico gli esplose nel cuore, quel cuore che sentiva suo, anche se non lo era.

Ti prego, ti prego, non posso dimenticarmelo, non il suo nome…

Avrebbe dovuto prendere l’alfnar, gettarlo da cavallo e ammazzarlo. Ma se, facendo così, avesse perso tutto quello che lo teneva in vita? Nelle leggende, le ombre di Kell che uccidevano il loro vincolo non finivano mai bene.

Mesi e mesi passati a sbiadire. Cosa rimarrà di me, se…?

Passi. Si alzò, pronto a difendersi. Manonera era sull’ingresso, lo sguardo scocciato. Sbuffò.

«Forza, muoviamoci.»

Indicò col capo il cavallo di Thiago e prese per le briglie il suo, conducendolo fuori.

Cosa?

Thiago non riuscì a capacitarsi di cosa stesse succedendo. Lo seguì e basta, senza fare domande. Se ne concesse solo una, nella sua testa.

Ci sarà un momento giusto per ucciderlo?

 

***

 

Si inoltrarono nella macchia che costeggiava la via che avevano preso all’andata. Con l’incupirsi della luce diventavano più foschi anche i ragionamenti di Thiago.

Deve essere venuto a chiedere aiuto, e lo hanno ascoltato. Non lo aiuteranno.

Un colpo di fortuna, alla fine? Immaginò ancora una volta di piantare la sua ascia in quel cranio, il colpo secco delle ossa che si separavano…

E poi?

Fermarono i cavalli in uno spiazzo tra gli alberi, al lato della strada. Manonera saltò giù di sella e tirò giù la sua sacca. Prese il cavallo per le briglie e andò a legarlo al fusto di un albero.

«Ci accampiamo qui per la notte.»

La vegetazione si infittiva poco più avanti, dove il sottobosco diventava un intrico di fronde, arbusti e tronchi. Il posto perfetto per nascondersi.

O per uccidere qualcuno.

Forse c’era un’altra opzione. Forse i suoi alleati non gli avevano negato il loro aiuto, in fondo. Forse gli avevano insegnato qualche trucco su come ucciderlo. Thiago strinse il manico della sua arma. Non pareva più così pesante, adesso.

«Vado a fare legna, prima che sia buio» borbottò Cale.

I bei lineamenti affilati del viso erano corrucciati in un’espressione cupa. Attraversò la strada battuta e s’inoltrò nel sottobosco dalla parte opposta a dove si erano fermati, l’accetta in mano. Thiago sbirciò attorno a sé. Non un fruscìo, non un’ombra in agguato. Manonera raccattava foglie secche e rametti come se nulla fosse.

Cosa gli dico? Lo affronto, lo prendo di petto e…

«Accendi tu il fuoco, Thiago.» La voce dell’alfnar lo colse alla sprovvista. «Vado a pisciare.»

Senza aggiungere altro, il massiccio alfnar si inoltrò tra gli alberi, i passi che frusciavano appena sul tappeto erboso. Thiago lo guardò senza capire. Era una trappola anche quella? Forse l’ennesima in cui cascava. Lasciò cadere i legnetti e si guardò le palme delle mani. La sua nuova pelle era quella consunta che rivestiva i guanti dell’armatura, la sua nuova carne era l’ombra. Questo lo rendeva diverso da ciò che era prima. Un’altra persona. Per quanto si dicesse che non era un assassino, forse, alla fine, lo era. Non aveva forse ucciso, e in un modo raccapricciante, quel Lambert? E per cosa? Per avere ancora tempo per vendicarsi. Per tirare avanti e raggiungere Manonera.

Andargli dietro mi è già costato un assassinio.

Rabbrividì, le piastre di metallo tintinnarono. Si alzò in piedi e si diresse verso la selva buia. L’ascia, più pesante che mai, era ben salda tra le sue dita morte.