Quella situazione ricordava a Malekith un vecchio detto di Espya: “Basta un sottile alito di vento per far tremare un castello di carta.”

Sempre che uno possa paragonare l’arrivo di una cazzo di ombra di Kell a un alito di vento.

Se ne stava nascosto tra due tronchi, a fissare la boscaglia, le orecchie tese al minimo rumore. Il ginocchio destro iniziava già a dolergli, lanciava piccole fitte dentro all’osso. Stava passando l’età in cui appostarsi all’umido per ore non gli dava nessun fastidio. Il tarlo che gli rodeva il cervello gliene dava uno diverso, più sottile. La voce di Calat non abbandonava le sue orecchie, continuava a ronzargli in testa.

Com’è che ti ritrovi un’ombra di Kell alle calcagna?

Cazzo, lo aveva pure detto con tono divertito.

 

***

 

«Com’è che mi ritrovo un’ombra alle calcagna? Fammi pensare» sbuffò Malekith. «Ah, già. Succede, quando quel fottuto di Kell decide che sgozzare un uomo non basta a farlo restare morto.»

Lo studio di Calat, con le decine di maschere lucide appese alle pareti, era reso ancora più tetro dalla fredda luce autunnale. Il padrone della montagna, infilato nel vecchio corpo di pezza di Ronac, aveva ricevuto lui e Cale con la sua solita, inossidabile calma. Se ne stava a giocherellare con le dita metalliche del golem, muovendole piano davanti alla maschera, come se esistessero solo quelle e i suoi due ospiti non ci fossero neppure.

«E immagino che tu l’abbia sgozzato perché sapeva troppo.»

«Aveva scoperto cose che non…» Mal lanciò un’occhiata a Cale, che teneva i pugni stretti lungo i fianchi. «Che non doveva scoprire.»

Il cassadoriano digrignò i denti.

«Era nostro amico, Malekith…»

Nel cuore dell’alfnar, una spina di ghiaccio iniziò a punzecchiare il cuore. Non poteva perdere anche Cale, ora. Meglio tenersi buoni lui e i suoi sensi di colpa.

«Cale, sapeva troppo. Una parola di troppo, e saremmo stati fottuti. Lo sai anche tu.»

L’uomo annuì, ma non sembrava affatto convinto. Calat si voltò, aprì un cassetto nel mobile dietro la scrivania e ne trasse un pugnale. Lo appoggiò sul tavolo.

«Una delle opzioni è ucciderlo.»

L’arma aveva una spessa lama a sezione triangolare. Pareva d’avorio, ma rifletteva la luce come l’acciaio, e risplendeva appena di un bagliore arancione.

C’era da immaginarselo. D’altronde chi non tiene un pugnale per fare secche le ombre, nel suo stipetto personale?

Il bagliore del pugnale pareva provocarlo. Gli diceva: “Hai fatto la cazzata, ora rimettila a posto.” Lo prese, sotto lo sguardo amareggiato di Cale.

«Oppure…» Dopo anni passati a lavorare per lui, Malekith aveva imparato a capire quando Calat sorrideva dal tono di voce.

E sapeva già dove voleva andare a parare.

«Potrei portarlo alla Legione.»

Il golem non disse nulla, ma l’alfnar lo immaginò sorridere.

«La Legione?» Cale fece un passo avanti. «Quella… della storia con Fern?»

«Sì» disse Mal.

«E Ronac come lo sa?»

Calat congiunse le punte delle dita.

«Ho aiutato Malekith più di una volta, giovane Cale.»

L’alfnar alzò una mano.

«È perfetto. Io ripago il mio debito, e Thiago si salva.»

Il cassadoriano lo prese per un braccio.

«Cosa vuol dire “si salva”?»

«Le ombre perdono i ricordi del loro passato.» Calat aveva il tono di un insegnante nel pieno della lezione. «Se Malekith lo ha ucciso così tanto tempo fa, il vostro amico deve avere già iniziato a perdere i suoi ricordi. E se la Legione—»

«Sì, lo so» lo interruppe Mal, brusco.

Meglio risparmiare i dettagli a Cale. Se avesse saputo… Gli era sempre stato accanto, e l’idea di mentirgli così gli dava la nausea. Ma lo conosceva. Cale non avrebbe mai accettato se avesse saputo davvero cosa sarebbe successo a Thiago.

«Va bene, è un buon piano. Gli parlerò, e… se non mi ammazza prima, lo convincerò.»

Calat mimò un applauso, le dita d’acciaio tintinnarono.

«Bravo, Malekith. Forse stai capendo il senso della metafora del melograno.»

Il cassadoriano incrociò le braccia al petto. Gli lanciò uno di quei suoi sguardi, a metà tra il mesto e l’accusatorio. Mal tirò fuori il suo sorrisetto, il più rassicurante che poteva. Gli diede un pugno leggero sulla spalla.

«Risolverò tutto, Cale, parola. Non si farà male nessuno.» Gli strizzò l’occhio. «Da quando ci conosciamo, quand’è che ti ho deluso?»

 

***

 

Un fruscio leggero di foglie e arbusti attirò la sua attenzione. Mal smise di pensare a Calat e al dannato dolore al ginocchio. Thiago era silenzioso, nonostante l’armatura. Avanzava piano tra le piante, l’ascia salda in mano. Lasciò che si avvicinasse. Con calma, tastò il retro della cintura, per sicurezza. Il pugnale che gli aveva dato Calat era ancora lì.

Non si sa mai.

Sfiorò con le dita l’impugnatura metallica, con l’altra mano si assicurò che il coltello dalla lama nera fosse pronto a uscire dal fodero, alla bisogna. Si alzò dal suo nascondiglio e uscì, prendendo alle spalle Thiago.

«Sei venuto a tenermi compagnia o cercherai di ammazzarmi, finalmente?»

L’ombra si voltò di scatto e sollevò l’ascia. Non abbastanza in alto per scattare a colpire, però, solo quanto bastava per difendersi. Mal nascose il nervosismo con un sorrisetto.

«Davvero, mi aspettavo lo facessi prima. Cosa ti ha trattenuto? In fondo in fondo, forse ti piaccio?»

Ridacchiò. L’altro restò in silenzio. L’alfnar rimase con le mani sui fianchi, ostentando sicurezza. Guardò dentro le fessure dell’armatura, ma non c’era altro che tenebra.

«Perché?» bofonchiò Thiago.

«Perché ti ho ucciso? Aspettavi di sapere questo?»

Gli venne da ridere. Dovette controllarsi per non scoppiare in una risata isterica.

Quanto puoi essere ingenuo se fai questo lavoro?

Probabilmente tanto quanto lo era stato lui all’inizio.

«Sì. Eri… eri un principe. Lo sei ancora.»

L’ombra non si mosse. Restò immobile a fissarlo dal buio dentro il suo elmo.

«Un principe non farebbe queste cose. Un vero principe…»

La voglia di ridere gli passò in un istante. Lo stomaco prese a fargli male, un dolore sordo, come quando si ha fame.

«Ti ho ammazzato perché hai scoperto chi sono. Tu, maledetto ingenuo del cazzo. Sai che fine fa chi scopre chi sono? Cerca di fregarmi e io lo uccido.»

«Io non avrei mai cercato di—»

«Fidati, Thiago.» Sfoderò di nuovo il sorriso, come fosse un’arma. «Se non tu, qualcuno che lo avrebbe scoperto da te. Non posso rischiare.»

Si concesse un momento di melodramma, incupendo i tratti del viso e distogliendo lo sguardo.

«È una vita che non posso permettermi di rischiare.»

Lasciò passare qualche istante di silenzio, per far penetrare a fondo il colpo.

Le ombre provano sentimenti?

Ci sperava, o quel suo teatrino non sarebbe servito a niente.

«Quindi… ora che facciamo? Ti lasci uccidere?»

La voce di Thiago pareva quella di un bambino che prova a fare del sarcasmo per la prima volta. Mal tornò a sogghignare.

«La prassi vorrebbe che ci saltassimo addosso, e non ti nego che so come ucciderti.»

Si godette il fremito che attraversò il suo avversario, ma s’impose di non scoprire il fianco. Non era ancora finita. La parte difficile arrivava adesso.

«Ma io sono di un altro avviso, Thiago.»

«Vorresti che ti lasciassi andare?»

Le dita dell’ombra cigolarono stringendosi ancor di più sull’ascia.

«No, vorrei solo partire da una domanda. Che volto aveva tuo padre?»

Thiago si curvò un poco in avanti.

«T-tu… cosa?»

«La faccia di tuo padre.» Malekith fece un passo, la voce che pareva lo schiocco di una sferza. «I suoi lineamenti.»

Sapeva già d’aver centrato il bersaglio.

«Hai già iniziato a dimenticarlo, eh?»

«Tu come fai a saperlo?»

L’ombra alzò l’ascia, ma fu più un gesto di paura che di minaccia.

«Lo so. Non sei la prima ombra di Kell che mi capita davanti.»

Era vero, anche se il tono con cui l’aveva detto faceva sembrare che ne avesse ammazzati altri, di esseri come lui. Thiago sembrò gonfiarsi, come se avesse preso un gran respiro.

«Dove vuoi arrivare?»

Sotto il tono cupo, Malekith percepì altro. Qualcosa di molto simile a una preghiera, forse?

Povero piccolo disperato.

Anche se era così grosso, con filamenti di tenebra viva che filtravano dalle giunture dell’armatura, Malekith lo vide per com’era. Un sussurro sempre più sottile dentro una corazza vuota.

Vuoto. Così mi vedeva Fern. Così mi vedevano tutti. Posso davvero fargli questo?

Non si diede il tempo di attaccarsi ai rimorsi. Fece un sorriso che avrebbe fatto invidia a Fern.

«Io conosco un modo per salvarti. Devi solo fidarti di me.»

 

***

 

Malekith sbuffò e sollevò gli occhi al cielo.

«Perché fai così? È da quando ci è comparso in casa che mi guardi come se—»

«Perché non è giusto, Mal.» Cale teneva i pugni serrati, gli occhi puntati nel fuoco. «Tu l’hai ucciso.»

«Per evitare che lo facesse a me, porca puttana!»

Malekith gettò uno sguardo attorno, conscio d’aver urlato troppo. Thiago non si era allontanato molto, se avesse continuato a starnazzare così l’avrebbe sentito di certo.

«Thiago non ti avrebbe ucciso. È una persona buona.»

«Oh, andiamo, Cale. Sai cosa cazzo voglio dire.»

Il cassadoriano si alzò in piedi.

«Non avrebbe fatto niente, e lo sai. La prova è che sei qui, con me, vivo. È ingenuo, probabilmente non pensa nemmeno che adesso potresti saltare in sella e scappare.»

Mal scosse il capo e scrollò le spalle. Il chiarore del mattino iniziava a insinuarsi tra i rami.

«Sono qui solo perché l’ho convinto. Altrimenti ora mi staresti scavando la fossa.»

«Ti dico che è una persona buona. Se tu l’avessi—»

«Cale, è questo che succede alle persone buone, dannazione.»

Malekith avrebbe voluto urlare per l’esasperazione, ma si sforzò di mantenere il sorrisetto. L’amico sapeva davvero sfinirlo coi suoi maledetti discorsi da idealista, ma stavolta non gliel’avrebbe data vinta.

«Le persone buone lo prendono nel culo.»

Gli si avvicinò, inclinando appena la testa e allargando le mani, come a dire “non è colpa mia”.

«Lo sai quanta gente che conosco ci ha lasciato la pelle solo perché era buona? Sì che lo sai, Cale. E io ho rischiato di essere assieme a loro.»

Un’ombra passò negli occhi azzurri dell’uomo.

«Quindi vuoi usarlo come scambio per la vita che devi alla Legione?»

«Se non avessi fatto quell’errore del cazzo ora non dovrei rimediarci. Se non avessi salvato Fern…»

Contrasse i muscoli della mascella. Se non avesse salvato Fern non avrebbe dovuto prendere il suo posto. Non avrebbe dovuto fare un sacco di cose. Scosse la testa.

«Sono due errori che si annullano, Cale, e una possibilità del genere non succede così, per caso.» Mal schioccò le dita. «E se avesse dubbi, tu aiutami a convincerlo, d’accordo?»

Il cassadoriano si chiuse nel silenzio dal muso lungo che negli ultimi tempi era solito assumere. L’alfnar sorrise ancora di più e lo prese per le spalle.

«Fratello, quante volte ti ho chiesto di fidarti da quando ci conosciamo? Quante volte, alla fine, è andato tutto bene?»

Cale aprì la bocca per rispondere, ma il passo sferragliante di Thiago si introdusse nella discussione. L’Ombra entrò nella radura, conducendo il suo cavallo per le briglie.

«Andiamo?» mormorò.

Malekith rise.

«Bravo. Questo è lo spirito. Visto, Cale? Forza, gambe in spalla.»

Tirò un calcio di terra sul fuocherello per soffocarlo e andò al cavallo, già pronto a partire. Cale sbuffò, ma lo seguì.

Come al solito.

Balzò in sella. Thiago, già in arcione, gli girò attorno e andò dal cassadoriano.

«Io di te mi fido, quantomeno, più che di lui. Tu garantisci che la sua promessa…»

Cale annuì, grave.

«I morti non mentono, Thiago. Non quelli da cui andiamo noi.»