Il vento freddo sferzava le fessure dell’armatura di Thiago. Si insinuava dentro alla corazza da una parte e usciva dall’altra.
«Questo Palanchet…»
«Planchet» lo corresse Cale. Il suo cavallo era nervoso, continuava a mordere il freno e ad agitarsi.
«Questo Planchet è il capo, qui?»
Dalla cima della collina su cui si trovavano, il campo della Legione pareva un grande banco di nebbia azzurrina, da cui spuntavano i profili di palizzate e tende. Che bisogno avessero dei fantasmi di tende per dormire, Thiago non ne aveva idea. Cale tossicchiò.
«Non lo so, ma immagino di sì. Era uno di quelli che erano con Mal quando la Legione è nata.»
I soldati spettrali si muovevano a passo lento, in ronde infinite attorno al campo. Passò un lungo momento di silenzio. L’erba ingiallita che ricopriva la china ondeggiava appena nel vento, l’unico blu del cielo veniva da uno squarcio tra le nuvole grigie, simile a una ferita. Thiago inspirò a fondo, l’aria attraversò sibilando le fessure dell’elmo. Immaginò che odore potesse avere quella giornata. Anche i profumi iniziavano a sbiadire, oramai.
«T-tu… ti fidi di lui? Di Manonera.»
La sua pareva la voce di un bambino, ma non riusciva a mantenerla più salda di così. Si sentiva a un passo dal precipitare, e la scelta era se portare l’alfnar con sé o accettare la mano che gli tendeva, forse per farlo cadere più in fretta. Cale tenne gli occhi fissi davanti, come se non volesse guardare Thiago.
«Io… mi fido di Malekith. Mi voglio fidare. Mi sono sempre fidato.»
«Come fai? Sei suo amico, lo so, ma lui… come puoi?»
Il cassadoriano scosse la testa.
«Ci credi se ti dico che io non so quello che hai scoperto tu? Non so chi è, cosa nasconde, e non mi è mai importato. Lo conosco da quando era solo Malekith, da quando nessuno lo chiamava Manonera. Abbiamo iniziato assieme, ed è stato come un fratello.»
Cale alzò gli occhi verso l’orizzonte, la bocca semiaperta che cercava altre parole.
«La prima volta che combattemmo assieme mi salvò la vita, e per poco non restò ucciso per difendermi. Riesci a crederci?»
«No.» Thiago scosse la testa. «Non riesco nemmeno a pensare a Manonera che rischia la vita per qualcosa che non siano soldi.»
«Al tempo non era Manonera, te l’ho detto. Era solo Malekith. Ma forse era troppo difficile essere Malekith. O non gli andava di esserlo.»
Il cavallo dell’alfnar uscì dall’accampamento, seguito da un altro destriero scuro. I due cavalieri risalirono la china giallastra e arrivarono al loro fianco. Dietro a Manonera stava un uomo enorme, chiuso in una corazza dalle linee affilate. L’elmo non aveva buchi per gli occhi, ma una serie di sottili forellini che lo facevano sembrare un po’ una enorme mosca di metallo. Il cavallo dell’uomo-mosca si fermò senza alcuna reticenza al suo comando.
«E così, tu devi essere Thiago. A quel che dice il mio amico sangue di re, sei molto più interessante di lui, eh?»
La voce che proveniva dall’armatura era aspra, più di quanto si sarebbe aspettato dalla sua stazza. I guanti corazzati culminavano in creste dai bordi taglienti. L’intera corazza pareva fatta per far male al solo tocco. Thiago aveva di nuovo le vipere che gli si agitavano nel petto, ma si impose di parlare e soffocare quella sensazione.
«Manonera dice che tu puoi salvarmi. Che puoi evitare che i miei ricordi—»
«Ma certo, ma certo.» L’uomo-mosca si girò verso l’alfnar. «Il nostro amico furfante mi ha spiegato ogni cosa. Se può rassicurarti, io ero diverso da così, prima di, beh… morire.»
Fece una risata acida.
«Immagino avrai già mangiato qualcuno, no?»
Le mani di Thiago ebbero un tremito. Annuì, secco.
«Oh, non vergognarti. Pensa che io sono diventato come te e il mio vincolo si è sfracellato giù da una montagna pochi secondi dopo.» Esplose in una seconda, grassa risata. «E senza qualcuno da odiare, ci dissolviamo molto più in fretta, sai?»
«Io… davvero tu sei come me?»
L’uomo-mosca fece cenno di sì, il metallo di cui era rivestito cigolò.
«Avevo una voce diversa. Ero diverso. Ma sono ancora qua. Ancora fatto di ombra.»
Batté un pugno sul petto, e la corazza rimbombò cupa. Le vipere si agitarono ancora di più dentro Thiago.
«La Legione ti ha conservato?»
Manonera scoccò un’occhiata furtiva all’uomo-mosca. Come se si aspettasse un’altra battuta acida, o qualcosa di peggio. Planchet fece una cigolante alzata di spalle.
«Sì.»
«Cosa mi succederà?»
«I ricordi della Legione fluiranno dentro di te. Noi saremo te, e tu noi. Non ti sentirai più svanire, te lo assicuro. È tonificante.»
L’alfnar fece il suo solito sorrisetto, meno strafottente del solito, però.
«Questo è tutto quello che posso offrire, Thiago. Dovrai fidarti di me.»
Cale teneva gli occhi su di lui, e Thiago vide tante domande in quell’azzurro. Domande che non voleva sentire. Non aveva tempo.
Chi eri prima, chi sarai poi?
Sarebbe cambiato, come quel Malekith che non aveva mai conosciuto era cambiato in Manonera? Se lo ricordava, l’alfnar, di essere stato un principe? Di aver avuto un altro nome? Thiago strinse le briglie. Il suo, di nome, cominciava già ad assumere la consistenza della nebbia. Cosa sarebbe successo, se si fosse ricordato quello di Manonera e non il suo? Non lo voleva scoprire.
«Accetto.»
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