Inverno, 1253 A.D.

 

Erano tornati al rifugio con la porta azzurra. Avevano gettato le bisacce sulla cassapanca e acceso il focolare. Le sue fiamme erano l’unica fonte di luce in quella stanza buia. Mal aveva unito quanto restava della carne secca e delle razioni a un brodo fatto su alla bell’e meglio. Si era messo a tavola assieme a Cale, lasciandosi avvolgere dalla penombra della casa in mezzo al bosco. L’amico gli allungò l’otre col vino.

«E vuoi farmi credere che con quella ragazza di Port Sainte-Jacques tu non hai fatto niente?»

Malekith si riempì la tazza e rise di rimando.

«Ma taci tu, che ti sei fatto scappare le più belle fighe di mezzo regno.»

Cale fece spallucce e tirò su una cucchiaiata di brodo.

«Che ti devo dire, non sono un uomo per tutte.»

«Se continui così sarai l’uomo di nessuna.»

«E da quando questo è un problema?»

Mal scoppiò a ridere di nuovo e alzò le mani in segno di resa. «Touché

Il cassadoriano si fece un ironico applauso.

«Io che ti batto in una prova d’oratoria? Bisogna festeggiare.»

«Magari mi sono fatto battere, che ne sai?»

Mal sfoderò il suo miglior sorrisetto alla Fern e si portò alle labbra la tazza col vino.

«Ultimamente sarebbe da te, sai?»

«Che vuoi dire? Non mi pare di aver fatto—»

«Non parlo dell’esplorazione di quei maledetti cunicoli. Anche se ammetto che perdi la cognizione del tempo, dopo un mese lì dentro.» Il cassadoriano appoggiò il mento al pugno. «Parlo di prima, della storia di Thiago.»

«Ah. Sì, beh, pensavo avessi ancora dei dubbi, sai…»

«Li avevo, ma alla fine è la cosa più giusta. E dimostra che Thiago ha fatto bene a fidarsi di te. Sono certo che non rivelerà il tuo segreto.»

Malekith rimase interdetto, ma lo nascose subito dietro a un sorriso. Oramai era un’abitudine indossare quella maschera. Il sorrisetto si mutò quasi in un ghigno.

«Eh, ne sono sicuro anche io.»

Sentì le sue parole e capì che aveva sbagliato. Tono troppo malizioso, troppo compiaciuto.

Idiota.

Era presto per iniziare a commettere gli stessi errori di Fern. Un’ombra attraversò gli occhi di Cale. Rimase con la bocca dischiusa a fissarlo, in silenzio, le sopracciglia aggrottate. Mal avrebbe voluto alzare gli occhi al cielo e bestemmiare tutti i Santi Draghi uno per uno. Il suo amico aveva la pessima abitudine di diventare troppo sveglio nei momenti meno adatti.

«Perché l’hai lasciato vivo, Malekith?»

«Faceva comodo a entrambi.» L’alfnar fece spallucce. «E poi sai anche tu che non sono così stronzo.»

Stupido idiota. Era proprio la frase da non dire.

La frittata era fatta, oramai.

Porco Kell.

Il labbro inferiore di Cale fu scosso da un tremito appena percettibile.

«No. Tu non lo avresti lasciato vivere, non ti saresti fidato. C’è qualcosa in più del debito.»

Malekith non perse il sorriso.

«Cale, dammi retta. Ti arrabbierai se te lo dico, lasciamo perdere.»

Con i gesti consumati di un vecchio attore si portò di nuovo la tazza alle labbra e bevve.

«La serata è splendida, siamo entrambi stanchi. Il lavoro è andato bene…»

Il cassadoriano si alzò in piedi di colpo.

«Che cosa gli hai fatto?»

«Fatto? Nulla. Davvero, fratello, io non—»

«No, Mal. Me lo devi dire.»

L’alfnar sbuffò.

«Cal—» s’interruppe. «Ronac me lo spiegò quando gli raccontai del Mont Noire e di Planchet. La Legione ha tanti ricordi, come dire, persi, ecco. Persi nella loro nebbia. Non sanno, non ricordano. Le ombre che entrano nella Legione ricordano per loro.»

Il viso di Cale divenne ancora più cupo.

«E questo cosa vuol dire?»

«Semplicemente, che ci sono troppi ricordi nuovi. Planchet si ricorda a malapena come mi chiamo, ma sa tutto di tutti i suoi compagni morti. Thiago—»

L’uomo sbatté un pugno sul tavolo. Il legno tremò, le stoviglie tintinnarono. Il suo volto era sgomento.

«Thiago perderà i suoi ricordi… per prendersi quelli della Legione?»

Maledetto bastardo, quando voleva era sveglio.

«In gran parte, sì. Si vedrà in maniera molto diversa, ma non impazzirà. E dimenticherà tutto quello che—»

«Hai idea di cosa hai fatto?»

Malekith alzò gli occhi al soffitto e scosse la testa.

«Oh, andiamo, non c’è bisogno che t’incazzi. Dopotutto, l’ho salvato.»

«Tu l’hai usato.»

Cale inspirò, come se volesse vomitargli addosso chissà quale fiume di insulti, ma restò zitto. Si voltò e andò alla cassapanca, con uno strappo del braccio tirò su la sua roba.

«E io ti ho aiutato.»

«Oh, non fare il melodrammatico. Ho fatto quello che andava fatto. Se tu fossi stato in me…»

Cale lo fulminò con lo sguardo.

«Se io scoprissi chi sei, mi ammazzeresti?»

Mal sorrise.

«Non mi pare di avertelo mai detto. E sei ancora qui. Lo siamo entrambi.»

Fu come se l’uomo si fosse preso un cazzotto alla bocca dello stomaco. Boccheggiò e fece un passo indietro.

«Dopo tutto questo tempo, tu…»

L’alfnar allargò le braccia.

«Non le faccio io le regole, Cale. Il mondo è una merda, e se devo scegliere se stare dalla parte di quelli come Thiago o quelli come Fern, preferisco… non farmi fregare.»

Il cassadoriano sbiancò, e Mal si preparò a sentirlo urlare. Invece, quello si voltò, afferrò il chiavistello e spalancò la porta.

«Addio, Malekith.»

«Cale…»

Lo schianto del battente contro lo stipite soffocò la sua frase. Sbuffò e roteò di nuovo gli occhi, come per sopprimere il sottile bruciore che sentiva nel petto.

Tornerà, come sempre.

Ritornò al suo vino e al suo brodo. Bevve ancora, l’aroma fruttato gli accarezzò il naso per un istante. I ciocchi nel camino scoppiettavano piano. L’unico rumore era quello. La casa era buia e silenziosa. Prese una cucchiaiata di brodo e la portò alla bocca. Una striscia di salatissima carne secca fece da contraltare alla povera zuppa. La masticò per un minuto buono prima di riuscire a inghiottirla. Inspirò, cacciò con un moto di stizza il cucchiaio nel brodo, di nuovo. Fece un rumore così sottile che nemmeno riuscì a rompere il silenzio. I rumori svanivano subito, come se la casa stessa se li stesse mangiando. Mandò giù un’altra cucchiaiata, la posata di legno stretta tra le dita. Uno scoppiettio fine. La minestra pareva un pozzo scuro, in quella penombra. Loro, tutti loro, lo guardavano dal buio.

«Fatela finita, cazzo!»

Scagliò il cucchiaio tra le ombre. Attraversò il cranio di Stan, dritto in mezzo agli occhi, e rimbalzò sul muro.

«Non ci provare, maledetto stronzo, non stavolta!» Mal balzò in piedi e gli puntò il dito contro. «Non ci provare nemmeno a guardarmi così. Che dovevo fare? Se tu non ti fossi fatto ammazzare come un coglione non starei qui, adesso. Sarei a casa, a casa mia! Mi dovevi portare a casa, l’avevi promesso, cazzo!»

L’intera pletora dei suoi fantasmi personali era assiepata negli angoli bui della casupola.

Che vadano a fare in culo tutti.

«Con che diritto venite qui, eh? Con che diritto continuate a farvi vedere?»

Si aggirò tra di loro come un lupo rabbioso, girando in cerchio, sfidandoli con lo sguardo, le spalle incurvate.

«Perché continuo a vedervi?»

Andò muso a muso con Lize e il suo volto mezzo sbriciolato, quasi volesse darle una testata.

«Tu sei una fottuta idiota. Colpa mia se ti sei fatta saltare? No di certo, puttana d’una drogata. E tu?»

Venice stava seduto sulla poltrona, le gambe accavallate, il volto illuminato dal fuoco. Malekith si piantò con le mani sui braccioli, il viso a un centimetro dal suo.

«Il grande mago, vero? Non potevi parlare, tu? Non potevi farti uscire la cazzo di voce e dirmelo, che sospettavi di Fern? Dovevi…»

Le parole gli si incastrarono in gola. Gli occhi pizzicavano. Si girò e drizzò la schiena. Per un attimo assunse un portamento regale, il collo e la testa slanciati in alto, il petto in fuori. Le ombre lo avevano reso simile a Fern, ma a guardarlo bene era più basso, la pelle era nera e la barba bianca. E non aveva nessuna benda sull’occhio.

Papà.

«Tu, maledetto coglione. Sei un maledetto coglione, e io due volte più di te, perché ti stavo ad ascoltare.»

Si sforzò di ignorare il calore bagnato che gli scivolava sulle le guance.

«Tu, con tutti i tuoi discorsi del cazzo sull’onore, sul coraggio, sull’aiutare e su zio Malekith. Nel mondo non si va avanti da soli. Beh, guarda un po’ qui, invece, papà. Io sono quello che ha le mani in pasta nei commerci di mezzo continente, tu il coglione che si è fatto ammazzare dai suoi stessi vassalli. Ti è servito, il tuo cazzo di onore?»

Gli voltò le spalle, ma si girò subito e tornò da lui, il volto contratto da una smorfia d’ira.

«E io ti venivo dietro come un demente a dire che il popolo ti amava, ad ammirarti, a cercare di essere come mi volevi tu. Ammirarti, fottuto Kell!»

Il pianto gli spezzò la voce, la rese un rantolo.

«Tu che nemmeno mi guarderesti più, adesso, se fossi qui!»

Chiuse gli occhi, prima di vedere Berry. Prima di crollare. Si voltò verso il fuoco e si sedette a terra, le mani nei capelli e fissò dritto nelle fiamme, per non vedere più nessuno.

«Lasciatemi solo e andate a fanculo, tutti.»