Inverno, 1249 A.D.

 

Malekith lasciò il cavallo appena il bosco divenne un poco più fitto. Meglio proseguire silenziosi, il rifugio era vicino. Per fermare il tremore alla mano prese ad aprirla e chiuderla, stringendo il pugno. Gli unici guanti che gli andavano bene erano quelli di lana del vecchio a cui aveva tagliato la gola, ma erano fradici di fango. Visto il freddo, rischiavano di congelargli le dita, e quindi li aveva lasciati lì col carro e i cadaveri. Starsene a mani nude, però, era una gran bella merda.

Principino…

La taglia sulla sua testa, quella che aveva messo il Cremisi, era ancora valida. Quattordici anni, e nessuno l’aveva mai trovato. Come cazzo avevano fatto, proprio adesso? E se fosse rimasto qualcuno, nel Gardaire, che sapeva? Qualcuno dei vecchi servizi segreti, qualcuno che lui e Fern non avevano fatto fuori… Logico che volesse morto anche lo spadaccino, quindi. Due piccioni con una fava.

Il Cremisi. Sperava di esserselo scordato, ma dal momento in cui si era sentito chiamare “principino”, qualcosa gli era scattato nel cervello. La sua immagine si era fatta sempre più nitida, insinuandosi nei suoi ricordi. Una stretta di paura gli avviluppò il cuore.

Ha preso la pelle di zio Varran… e se l’è messa, come un vestito. Avrà preso quella di qualcun altro?

Sbirciò tra i tronchi mezzi coperti di neve. Non c’era nessuno, nessun alfnar con gli occhi rossi e il sorriso da iena.

Muoviti, dannazione.

Si concentrò, per impedire che la paura lo bloccasse, lasciandola fluire solo quanto bastava per spingerlo a muoversi più in fretta tra i rami. Era stato Ven a insegnargli come si faceva. Ricordò il modo in cui gli stringeva la mano, durante la Predisposizione, per fargli coraggio. Lui e Fern, assieme, che gli facevano coraggio e lo forgiavano in qualcosa di nuovo. La sua voce, Malekith se la ricordava bene, nonostante tutto il dolore e quelle urla tremende. Solo tre persone su dieci, tra quelli che provavano la Predisposizione, sopravvivevano. Eppure, Ven gli stringeva la mano e parlava tranquillo.

Ce la farai, Mal. Diceva. Ce la farai.

Mal rallentò, si acquattò tra gli alberi e guardò in cima alla collinetta nella radura innevata. Accanto al loro rifugio c’era un morag che faceva la ronda. Dal camino usciva un filo di fumo.

Il tizio era alto e con le corna grosse, curvate all’insù. Portava una brigantina consumata, mezza coperta da un mantello grezzo, e una bella sciabola sottile al fianco. Quello sbuffò una nuvola di condensa, e andò verso il fianco della casa. Non c’era nessun altro fuori, ma il rifugio non era facile da raggiungere senza essere visti. Fern lo aveva scelto bene, in cima a un piccolo rialzo del terreno, completamente spoglio. Per arrivarci, Mal si sarebbe dovuto fare quindici metri di corsa nella neve fresca, allo scoperto.

Neppure Calat tutto nudo passerebbe inosservato.

Sgattaiolò verso il margine degli alberi. Il morag gli dava il fianco. Si soffiò il fiato caldo sulle mani, slacciò i calzoni e tirò fuori l’uccello. Mal appoggiò a terra la balestra del ragazzino che aveva ammazzato. Infilò il piede nella staffa e tese piano la corda, che cigolò appena. Appoggiò il quadrello sulla guida scavata nel fusto dell’arma, la coda attaccata alla corda. Venti metri. Trattenne il fiato. Fern doveva essere nella casa, forse lo stavano torturando. Forse era già morto, lo avevano gettato nella neve ed erano rimasti per stare al caldo.

Se questo bastardo urla, sono fottuto.

Svuotò i polmoni. Premette il lungo grilletto di metallo. La corda esplose un suono sordo, il dardo sfrecciò senza rumore nell’aria. Uno schiocco appena accennato tradì l’impatto della punta con l’osso.

Ti prego…

Il quadrello si era piantato nella congiunzione tra cranio e collo, poco sotto l’orecchio. Il morag non emise un suono. Aprì la bocca, barcollò di lato e cadde, faccia avanti nella neve candida. Mal risalì la china, facendo crepitare appena la neve sotto ai piedi. Dentro al rifugio, qualcuno parlava. Non era la voce di Fern. Si avvicinò al morag e gli sfilò la sciabola dal fodero. Il lato del rifugio con il camino era privo di finestre e poteva concedersi un attimo di calma. La voce di Fern. Non capì cosa diceva, se era ferito o altro. Capì solo che era la sua voce, e si fiondò alla porta. Stava ancora pensando a come entrare che si trovò a stringere il pomello. Nel cranio gli martellava quella sensazione sgradevole. Era certo che qualcosa non andasse, era tutto troppo tranquillo.

Solo due persone per prendersi Fern? Il morag era bello grosso, ma…

O c’era qualcun altro, zitto, nella stanza, oppure…

Oppure Fern è praticamente morto. La taglia sulla sua testa non specificava “vivo”.

Non aveva tempo. Aprì la porta senza pensarci più.