Estate, 1259 A.D.
Era parecchio che Malekith non vedeva un altro alfnar di Espya, specie lì ad Ainbad. Per dirla tutta, era meglio così. Non gli andava mai di ripensare a casa, e ci era comunque fin troppo vicino. Ma questo era uno con i soldi, e a uno con i soldi si concede anche di rievocare ricordi spiacevoli. L’alfnar tamburellò le dita sul tavolino della stanza di Malekith, il suono ovattato dai guanti di pelle che portava.
«E così voi siete il famoso Manonera.»
«In carne e ossa.»
Mal alzò un sopracciglio e sbirciò con la coda dell’occhio Harren e il suo cugino più scemo, Doyle, entrambi a braccia incrociate, fermi sull’uscio. I suoi due guardaspalle sogghignavano troppo quel giorno. Non gli piaceva.
Avranno trovato una troia ancora un po’ stretta al Fiore del Fiume.
Nascose il fastidio dietro al suo solito sorrisetto.
«Allora, mi dite cosa vi serve o stiamo qui a fissarci?»
Il suo cliente batté due volte gli occhi dalle lunghe ciglia.
«Me l’avevano detto che siete uno che va dritto al punto.»
«Già.»
Nella strada sottostante qualcuno lanciò una bestemmia, subito coperta dal rumore cigolante di un vecchio carro. I due imbecilli alla porta, mani sulle daghe e sorrisi spianati, gonfiarono il petto, come se le risposte taglienti del loro capo potessero farli sembrare meno stupidi.
Pensano che sia già tutto fatto, non hanno idea di quanto si debba essere prudenti.
Se li era scelti bene, però, facevano la loro porca figura. Doyle era più alto di lui di una spanna, e quello che Harren non aveva in altezza lo compensava con la dimensione dei bicipiti.
Di sicuro non col cervello.
«A me invece scoccia parlare di affari prima di una tirata.» Il bellimbusto si spazzolò degli inesistenti granelli di polvere dal farsetto di seta.
Trasse da una tasca un sacchetto di pelle sbiancata, e a Mal tornarono in mente i cari vecchi ricordi, assieme a una strizzata alle budella. Lo aprì e glielo porse.
«Volete favorire?»
Dentro, cristalli rossi come chicchi di melograno, tagliati perfetti.
Roba di lusso.
«Perché no?»
Accesero la pipa e se li spararono in un attimo. L’atmosfera divenne in un istante molto meno tesa. L’alfnar ridacchiò in direzione di Malekith, come se avesse appena fatto una battuta che conoscevano solo loro due. «Allora, andiamo al dunque. Mi serve la vostra mano per un lavoro. Un lavoro di recupero molto importante.»
«Un ipogeo?»
Malekith appoggiò la schiena alla sedia e intrecciò le dita. Aveva come fuoco vivo nelle vene, ma quella richiesta lo mise di malumore. O forse erano i due idioti che ridevano, qualcos’altro, qualche dettaglio stonato che non riusciva ad afferrare.
Erano anni che nessuno chiedeva di un’esplorazione.
Il bellimbusto sbuffò fumo rosso dalle narici, e quello si spanse nell’aria come una goccia di sangue nell’acqua.
«Precisamente. Al mio padrone interessa molto un oggetto che, ahimè, non è facile da prendere.»
«Bene, parliamone con lui, allora. Sono sicuro che—»
Un trillo nei timpani lo costrinse a fermarsi. Scosse la testa e si premette con la mano l’orecchio per farlo passare.
«Oh, sono venuto qui apposta.»
Il suo cliente tolse i guanti. Eccolo, quel dettaglio stonato. Le mani erano solcate da lunghe cicatrici bianche come il latte, un arabesco di spine candide. Le stesse che avrebbe avuto lui, se dopo la Predisposizione non gliele avesse guarite Ven. Il trillo si fece più forte.
«Ma il mio padrone è una persona discreta.» Le parole dell’alfnar vibravano. «Chiede di vedervi in un posto tranquillo. E quando si tratta con lui, si seguono le sue regole.»
Malekith si aggrappò al tavolo. Fece forza con la mente, come gli avevano insegnato, contrastando il peso sempre maggiore che aveva nella testa. Il bastardo contava di sopraffarlo prima che potesse capire che stava accadendo, ma aveva fatto i conti senza l’oste.
Beccati questo, bastardo.
«Harren, Doyle…» la frase gli si piantò in gola.
La sua mente scivolò in avanti e trovò il vuoto, tutta la sua spinta psichica finì nel nulla. Si sentì stanco tutto in una volta, così stanco che gli si chiudevano gli occhi. Aveva i muscoli tramutati in piombo.
«Una bella mossa, ma prevedibile. Mi avevano detto che eravate un Predisposto, ma pensavo meglio. Re Dargar potrebbe esserne scocciato.»
La voce di quel figlio di puttana gli aleggiò attorno come un fantasma. Crollò sul pavimento, e attraverso le palpebre semichiuse scorse due paia di piedi, ancora fermi sulla porta. sopra di loro, due bei faccioni sogghignanti.
Cazzo…
Ecco perché quei due imbecilli ridevano tanto.
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