Aveva atteso fuori dalla porta, nelle viscere delle segrete del palazzo, che Alarie parlasse con il suo mago. Era stato lì senza tremare, preoccupandosi solo di respirare.

Inspira, espira. Calma.

L’alfnare emerse dalla cella. Gli occhi di rubino lo scrutarono da capo a piedi.

«Entra.»

Obbedì. La cella era un cubo di tre metri per tre, un giaciglio di paglia in un angolo e un secchio nell’altro. Qualcuno aveva portato anche un tavolino, su cui era poggiato un lume, e una sedia, che stavano schiacciati contro una delle pareti nere come ossidiana. Erano così scure che pure la luce della fiamma vi si rifletteva appena sopra, come se la stessero assorbendo. La porta gli si chiuse alle spalle con un tonfo metallico. Venice stava con la mano sul battente. Gli occhi arancioni scintillarono. Lo stomaco di Malekith si torse, il vecchio istinto della fuga. Oramai la porta era chiusa, però. E non era il momento di scappare. La barba del suo vecchio amico era grigia, ma pareva d’argento in contrasto con il nero delle pareti. Se ne restò lì, muto, a fissarlo. Mal aveva la netta sensazione che il suo piano stesse per andare in fumo. Come anche lui, del resto. Ven batté le nocche su una parete.

«Allo Château d’Yene ero rinchiuso in una cella del tutto simile a questa, sai? Ectoprismobasanite. Cervello di drago fossilizzato, per te. La rarità delle rarità. Un metro più piccola e mi imploderebbe il cranio, un metro più grossa e potrei strapparti il cuore dal petto senza toccarti. Poi esploderei anche io, s’intende.»

Il mago strinse il pugno.

«Suppongo di doverti ringraziare, dev’essere una cosa di famiglia chiudermi in queste gabbie del cazzo. Alarie almeno lo fa per nascondermi dal Cremisi.»

«V-Ven, io… mi dispiace.»

«Ti dispiace?» Venice sbuffava. «Ti dispiace, eh?»

Gli si gettò addosso con tutta la forza che aveva e riuscì a sbatterlo al muro, tenendolo per il bavero. Mal vide meglio il suo volto. Era coperto da una ragnatela di cicatrici e rughe, pareva invecchiato di cinquant’anni. Gli occhi, però, erano ancora quelli furenti del Venice che aveva tradito.

«Dimmi perché sei qui. Dimmelo, cazzo, sai che posso strappartelo da dentro la testa. Qui dentro mi ci vorrà tutta la notte, ma—»

«Voglio uccidere il Cremisi!»

«Cazzate!»

Le mani ossute del mago lo stringevano così forte che tremavano.

«Te lo giuro, Ven.» Malekith lo fissò dritto negli occhi. «Te lo giuro.»

«Me ne faccio un cazzo dei tuoi giuramenti.»

Venice esitò. Lo lasciò andare e fece un passo indietro.

«Alarie non vuole nemmeno sapere se sei una spia, l’hai già circuita. Vuole solo che le dica se sei il principe Malekith. Crede che tu sia suo cugino.»

L’alfnar deglutì.

«È… è vero.»

Il mago distolse lo sguardo, le labbra arricciate dall’ira.

«Alarie non me ne aveva mai parlato, ha sempre evitato l’argomento. Era da qui che venivi, allora?»

Non lo sapeva. Ven non lo ha mai saputo.

«Ti prego.» Malekith si inginocchiò davanti a lui. «Non dirle chi sono. Non deve saperlo.»

«Oh, lo saprà eccome.»

«Puoi dirle tutto quanto, dille che sono un bastardo e un traditore, ma non che sono il principe.»

Venice si bloccò.

«Perché?»

«Perché non lo sono. Non sono chi si aspetta lei.» Mal chinò il capo. «Non ci sono nemmeno venuto di mia volontà, qui. Non ci sarei riuscito. E non ci riesco, ora, a ritornare il principe che dovevo essere. Preferisco non essere nessuno e, per una volta… fare la cosa giusta.»

Il mago rimase a lungo in silenzio.

«Sai perché sono qui, io?» Le sue spalle si rilassarono, come se si fosse liberato di un grande peso. «Sono qui perché, più di un anno fa, tua cugina mi ha tirato fuori dalla cella allo Château d’Yene. Il mondo si è dimenticato di me, dei Chastaine. Alarie mi sta dando una possibilità per far brillare quel nome ancora una volta, ma io sono solo uno strumento. Uno strumento.»

Mal si massaggiò la gola.

«Ti ha salvato lei?»

Il volto di Ven assunse di nuovo un’espressione feroce.

«Che bella coincidenza, eh? Tu mi cacci in gabbia, tua cugina mi libera e mi porta te. Si vede che il destino esiste davvero.»

Il mago si sedette sul letto.

«Ma perché?» L’alfnar restò in ginocchio. «Perché proprio tu?»

Lo stregone gli rivolse uno sguardo tagliente. Lo fissò per alcuni secondi, le labbra ritratte. Respirava piano, immobile come una statua. Uno sbuffo secco interruppe il silenzio.

«Aveva bisogno di un mago che il Cremisi non tenesse sotto osservazione. Io ero sparito da anni, nessuno si curava di me. Ero il candidato perfetto.» Indicò il soffitto con un dito. «Meno di un mese fa ha trovato il modo di nascondermi qui. Io sono la chiave del piano.»

Venice ridacchiò, scuotendo la testa.

«Di solito li progettavo io i piani, ero io a…»

Guardava dritto davanti a sé, come perso a osservare qualcosa che non c’era.

«E guardami adesso. Una pedina.»

«Lo fai per il nome di famiglia? Solo per questo?»

«Lo faccio perché è quello che sento di dover fare. Come te, del resto. Alla fine, forse, il nome dei Chastaine brillerà ancora, ma non mi interessa se sarò lì per vederlo, a essere sinceri.»

«Tu… non glielo dirai?»

Ven prese un profondo respiro, gli occhi incandescenti sempre piantati su di lui.

«Tu perché lo fai?»

«Perché lo devo fare.»

Il mago si alzò, lo prese per il farsetto e lo tirò in piedi.

«Per come la vedo, tu sei un bastardo infame che non esiterebbe a venderci.» Un sorriso amaro gli tagliò le labbra. «Ma vaffanculo. Caradoc il Cremisi avrebbe potuto farmi bollire il sangue anche quando ero giovane, figurati adesso. Dimostrami che mi sbaglio, Malekith.»

Gli piantò la mano sulla spalla e strinse, i volti a un palmo l’uno dall’altro.

«Dimostrami che non sei Fern. Dimostrami che…»

Mal fece per rispondere, ma Venice lo lasciò. Fece una risata amara.

«O tradiscici, e non cambierà niente. Non me ne frega più un cazzo. Gli stronzi alla fine muoiono esattamente come gli eroi, solo che nessuno si ricorda di loro. Siano questi maghi» Chastaine si toccò il petto, poi indicò lui, «o principi.»

 

***

 

Alarie gli si piantò davanti. Il lume sul tavolo della camera di Mal le disegnava ombre nette sul busto. Lui le sorrise.

«Contenta?»

Dall’espressione pareva proprio il contrario. Le indicò con un cenno del capo la sedia accanto al letto. La cugina non si mosse, ma la sua voce tremò.

«Perché non sei…?»

«Non sono cosa?»

Lei scosse la testa.

«Niente. Mi sembravi un altro.» La sua bocca si contrasse in una smorfia amara. «Ma come faccio io a riconoscere qualcuno? Le voci si somigliano tutte, a volte.»

Le palpebre ibride, fatte di carne e metallo, si chiusero piano.

«Ma se penso a quello che dici, a quello che fai, allora—»

Mal si affrettò a interromperla.

«Che ti ha detto Ven?»

«Che vi conoscevate. Che non sei un principe, e questo è sicuro.»

Alarie si abbandonò sulla sedia. Parlava proprio come una che è più abituata a far andare la lama che la lingua.

Che ti hanno fatto?

«Sembri delusa.»

«Lo sono. Ma non sei una spia, a quanto dice Ven. La cella lo lascia quasi privo di poteri, ma serve a nasconderlo. Se si sbaglia…»

«Faremo la fine del topo.»

Alarie si passò una mano sui capelli rasati.

«Ho rischiato di farla talmente tante volte che non dovrei neppure essere nervosa. Io… speravo che tu fossi qualcun altro.»

«Cosa ti hanno… come sei diventata…?»

Un ghigno amaro le sfregiò le labbra secche.

«Un’assassina? La sua arma?»

«Non volevo dire—»

«Sì invece. Le sento le bugie.» Sua cugina fece scrocchiare il collo con un movimento lento. «Sapevo che mio zio non era davvero mio zio sin da quando ci presero. Lo sentivo. Tentai due volte di accoltellarlo con le posate.»

Chinò il capo. Le dita seguirono il profilo dell’orecchio e scesero sulla tempia, dove i capelli erano divisi da una serie di cicatrici dritte.

«Disse che se volevo così tanto ammazzare qualcosa, era giusto che lo facessi con i suoi nemici.» Picchiettò con un dito il rubino nell’occhio destro. «Questi non si usavano più da settant’anni. Li ha tirati fuori apposta per me. Un regalo, diceva. Niente più bambole o vestiti, niente più balli per me. Niente—»

«Basta.»

Mal si accorse solo allora della mano che gli doleva. Le unghie erano piantate a fondo nel palmo. Gli occhi iniziavano a bruciare.

«Smettila. Ti prego.»

Alarie ridacchiò. Una risata bassa, quasi un singhiozzo.

«Hai lo stomaco debole per la fama che ti porti dietro. Ho ammazzato per vent’anni, per lui. Sono arrivata a pensare che fosse giusto così, il mio dovere verso il regno. Ma il pensiero che non fosse davvero zio Varran non mi ha mai abbandonata del tutto. Quando ho sentito il modo in cui parlava Dargar, però, ho realizzato che aveva preso anche lui. Quindi» si alzò e gli tornò di fronte, «è difficile che mi sbagli a capire chi sei.»

«Ha importanza, adesso?»

«Potrebbe.»

Un’ombra le attraversò il viso, ma lei distolse lo sguardo.

«Ma suppongo che in fondo non ne abbia. Lo sapremo tra un paio d’ore se sei un vigliacco, no?»

«Due ore?»

«Sì. È stata opinione comune, tra gli amici che hai incontrato nella biblioteca, di non darti tempo di comunicare con il Cremisi. Nel caso fossi una spia, s’intende. Abbiamo anticipato la festa, chiamiamola così.»

C’era un gorgo, davanti a lui, un vortice di tenebre che trascinava il suo corpo nella corrente. Alarie gli fece un cenno.

«Ti spiegherò il piano mentre andiamo.»

Ho davvero una scelta? Se è questo il momento che aspettavo, posso davvero alzarmi e dire di no?

Forse, allora, era meglio non averla. Come aveva detto Venice?

Sono solo uno strumento.

Mal chiuse gli occhi e si arrese alla corrente.

«Andiamo adesso, allora.»