Schinieri, corazza, elmo. L’armatura completa che portava sferragliava e cigolava a ogni movimento. Era troppo tempo che Mal non ne indossava una. Gli veniva il mal di testa.

L’alabarda picchiava a terra a ritmo con quelle degli altri quattro congiurati, tutti travestiti da guardie come lui. A due passi avanti, lord Tristram, l’unico che ci aveva messo le palle ed era venuto di persona. Certo, non avrebbe mai lasciato Alarie da sola. Gli altri due facevano il loro mestiere meglio del dovuto, rendevano la loro farsa credibile. Probabilmente erano guardie per davvero.

Il Cremisi deve aver governato proprio di merda se pure i suoi soldati lo vogliono morto.

Lo stregone, nel corpo di suo cugino, camminava in mezzo a loro, massaggiandosi la tempia, gli occhi semichiusi.

«È arrivato a corte qualche… stregone di cui non sono stato informato?»

Il cuore di Mal mancò un battito.

Cazzo, Alarie sta portando qui Ven.

Darent, la prima guardia del corpo del Cremisi, si piegò appena verso il sovrano.

«No, vostra maestà.»

Mal pregò che Venice avesse controllato anche la sua, di mente. Alle volte anche un borsello molto pieno non basta, specie se dall’altra parte hai un cazzo di re. La voglia di calare la mano sul pugnale nero, nascosto alla cintola, era irrefrenabile. Ma, d’altronde, aveva in mano una fottuta alabarda.

Quattro punte, una andrà per forza a segno, e che cazzo.

Magari fosse stato così semplice. Bastava un gesto della mano allo stregone per far di loro carne trita. Anche Venice aveva paura di lui. Il Cremisi gemette tra i denti. Avvolto nella porpora regale, i lineamenti sottili contratti dall’emicrania, pareva un bersaglio facile. Se non si fosse accorto della punta, allora…

L’essere che si fingeva il re si voltò e gli scoccò un’occhiata tagliente, gli occhi a fessura. Il cuore di Mal congelò, ma lui non smise di camminare. La sala del trono era deserta. La luce del primo mattino entrava dalle vetrate alle spalle del podio con lo scranno reale. Il cuore di Malekith riprese a battere. Lì, a dieci passi, stava nello stesso esatto punto in cui era quando suo padre lo rimproverava.

Malekith!

Il fantasma di un grido riverberò per le pareti. O era solo la sua testa? Lo stregone non si accorse del suo movimento rigido, troppo preso dalle fitte alla tempia per badarci. Incespicò in avanti e si guardò la mano, come se non gli paresse più sua.

«Oh, santissimo Kell…»

La voce mutò sulle ultime sillabe, incise stilettate di panico nel petto di Malekith. Alarie sbucò da dietro al trono, trascinando Venice, che fissava il Cremisi con lo sguardo di fuoco. Accadde in un momento. Uno stridio acuto, la paura che si scioglieva nei muscoli per dargli forza. Il Cremisi agitò le mani. Mal fece in tempo a sollevare l’alabarda. Qualcosa lo sollevò in aria e lo lanciò via, fu come prendere un calcio nel petto. Macchie bianco sfocato gli danzavano negli occhi, lo stridio gli trapanava il cranio.

Kell fottuto…

L’impatto del marmo contro l’acciaio dell’armatura gli strappò l’aria dai polmoni. Rotolò con il clangore di una rastrelliera che crolla a terra, l’alabarda sfuggì dalle sue mani.

In piedi, subito!

Ven e il Cremisi erano a una manciata di passi l’uno dall’altro, braccia spalancate e schiene curve, come due lottatori. Il suo vecchio amico aveva l’espressione di un lupo con le zanne snudate. L’aria tra di loro vibrò all’allacciarsi delle loro menti. Si dimenava e scricchiolava come un’enorme serpe di vetro, smorzava ogni altro suono. Una delle finte guardie caricò, l’alabarda alta sulla testa.

«Questo è per Alarie, bastardo!»

L’urlo di Tristram era come sbiadito, ma il Cremisi dovette sentirlo. Fece appena un gesto con le dita. Mal se ne accorse vedendolo muovere appena la testa. Un fiotto di terrore gli spaccò il petto, ma non riuscì a urlare. Tristram piantò la punta dell’alabarda in gola allo stregone. Un singulto. Il Cremisi lanciò una risata, la punta d’acciaio che gli trapassava il collo. Non c’era sangue.

Perché ride? Perché sta ridendo?

Un altro suono umido, il rumore di qualcosa che bagnava il pavimento. Il sorriso dello stregone guidò il suo sguardo e quello di Tristram alla gola di Venice. Un secondo fiotto di sangue spruzzò dallo squarcio comparso dal nulla. L’uomo cercò di tamponarlo, stringendosi la gola con le mani. Il Cremisi spostò di scatto il collo, facendo uscire la punta, e il collo di Ven si squarciò ancora di più. La vibrazione nell’aria tra loro svanì. Tristram tentò di alzare di nuovo l’arma. Il sovrano gli soffiò un getto di fiamme diretto sulla faccia, con la stessa naturalezza di quando si soffia per spegnere una candela, liquefacendo l’elmo e il cranio. L’urlo stesso di Tristram parve uscire dalle voragini dell’inferno. Il Cremisi diede una sferzata di polso, come un ceffone all’aria. Corazza e carne divennero un unico trito, si spalmarono con uno sciacc umido sulla scalinata del podio. Frammenti d’acciaio tintinnarono sul marmo. Mal prese il pugnale e iniziò a correre. Lo stregone voltò il capo verso Venice e con un buffetto dato all’aria gli scardinò la testa dalle spalle. Una marea rossa eruttò dal collo. Alarie era ancora lì, il volto imbrattato di sangue. A due passi dalla schiena del sovrano, dalla parte opposta rispetto a Mal, Darent stava per calare una falciata d’alabarda. Il Cremisi schioccò le dita, l’acciaio scricchiolò, si deformò ed esplose.

«Ah, è così che mi ripaghi, cane traditore?»

Darent si ritrovò in mano solo un inutile pezzo di legno. Lo stregone gli strappò gli intestini con uno svolazzo delle dita, colse lo scintillio degli occhi di rubino nel momento stesso in cui lo colse Mal. Alarie gli era addosso. Le tirò contro il cadavere di Darent.

È fottuta.

Era veloce, ma o rallentava per schivare il morto o continuava a correre e veniva centrata. In entrambi i casi, il Cremisi l’avrebbe fatta secca con un gesto. Cinque passi. Troppi, tra lui e il bastardo. Non avrebbe mai potuto…

Codardo.

No. Stavolta lui non era Malekith.

«Ehi!» Abbaiò con tutto il fiato che aveva in corpo, per farlo voltare. «Ehi! Sai chi sono io?»

Il pugnale nero si estese, un prolungamento del suo corpo. La lancia di Espya. Balzò in aria, il bersaglio perfetto.

«Io sono—»

Il Cremisi fece un gesto svogliato con l’indice. Il petto di Mal esplose di dolore, nei polmoni fuoco puro. Il grido gli morì in gola, l’impatto col pavimento gli strappò il respiro. I timpani gli si riempirono del suono del metallo che taglia muscoli, ossa e cartilagini. Sangue che sibila fuori dalle vene. Riuscì ad alzare lo sguardo sul Cremisi, ancora voltato verso di lui. Alarie divorò la distanza che li separava e gli piantò il pugnale in gola, lo torse e afferrò i capelli di quello che era stato suo cugino. Strattonò all’indietro e scavò col coltello, fino a strappargli il cranio dalle spalle. Mal lasciò andare il fiato, e il suo corpo fremette di dolore. Tossì sangue, sulla lingua il sapore metallico e l’amaro della cenere. Trovò la forza di sorridere. Alarie comparve in alto, sopra di lui. Muoveva la bocca, ma le sue parole non si sentivano.

Non le ho detto…

Aprì le labbra, ma si fermò.

… chi sono.

Non aveva più importanza, no? Chiuse gli occhi e lasciò che il dolore lo abbandonasse.