Nalevh alzò lo sguardo sulla costruzione fatiscente che si stagliava cupa contro il cielo sereno. Il Teatro di Colton. Ancora gli sembrava impossibile che Brita se ne fosse andata di nascosto in quel luogo. A incontrare un uomo, per di più.
Theodora non oserebbe mentirmi.
L’angoscia gli torceva lo stomaco, provocandogli un dolore sordo. Si strofinò gli occhi arrossati dalla mancanza di sonno e il suo viso pallido si contorse in una smorfia. Era come se centinaia di spilli gli trafiggessero le orbite. La piccola piazza era deserta, proprio il momento giusto per entrare: spinse con forza le porte del teatro e rimase sorpreso nel trovarle socchiuse. Scivolando all’interno, portò la mano destra all’elsa della spada. I suoi occhi stanchi ci misero un po’ ad abituarsi all’oscurità. Notò le orme di diverse paia di piedi, impresse sul pavimento lurido di polvere.
Il pulviscolo danzava in un raggio di sole pomeridiano. La luce filtrava tra le tegole divelte del tetto e cadeva proprio sul palcoscenico, come a illuminare la scena. Nalevh notò che, ai piedi del palco, era seduta una figuretta bionda, parzialmente nascosta dal sipario che pendeva sghembo fin sul pavimento.
Ti ho trovata.
Il sollievo gli fece quasi girare la testa.
— Brita! — chiamò. La sua voce profonda rimbombò sonoramente, amplificata dall’acustica del teatro.
— Maestro Nalevh! Siete qui!
La ragazza si alzò in piedi e Nalevh si affrettò verso di lei, quasi correndo attraverso il corridoio che separava le due file centrali di panche. Il pavimento di legno gemette sotto i suoi stivali. Appena l’uomo l’ebbe raggiunta, Brita gli si gettò tra le braccia, lasciando che lui la stringesse a lungo contro il proprio petto.
Sono qui.
Nalevh la sciolse dall’abbraccio per guardarla in viso.
— Che ti è successo? Sei ferita?
Brita scosse la testa e gli posò sulle labbra un rapido bacio. Abbassò subito lo sguardo celeste, timorosa e col viso in fiamme. L’uomo, trascinato dall’euforia del momento, la baciò a sua volta, con passione. Avvinghiato a lei, la sentì rispondere con crescente trasporto.
All’improvviso Brita si staccò dall’amato e, con un balzo di una rapidità innaturale, si arrampicò sul palcoscenico.
— Avanti, Maestro, seguitemi!
L’uomo tentennò la testa, confuso:
— Ti cerco da tre giorni. Dobbiamo tornare a casa.
Senza aggiungere altro, la ragazza sparì dietro alla scenografia scolorita. In tutto il teatro echeggiò la sua risata roca e impertinente, quella che Nalevh tanto amava ascoltare.

Appena la risata di Brita si spense, la scenografia logora cambiò con un cigolio di ingranaggi arrugginiti: al posto del Quartiere dei Filatori era apparsa una città in fiamme. Nalevh trasalì riconoscendo la Torre dell’Alba e la Torre del Tramonto, raffigurate sullo sfondo con dovizia di particolari: Arvika.
Ma che cosa…?
La voce del mago tremò leggermente:
— Brita?
Una figura alta sgusciò fuori dalle ombre e avanzò fino al bordo del palcoscenico, fermandosi proprio dove la luce del sole poteva colpirla.
Per gli Dèi!
Soren Winton era esattamente come l’ultima volta in cui lo aveva visto, con gli abiti ridotti a brandelli e i capelli biondi appiccicati al cranio insanguinato. Il suo viso sembrava essere stato dilaniato a morsi. Un occhio era stato cavato fuori dall’orbita e parte dell’arcata dentale superiore era scoperta, là dove il labbro era stato stappato via.
Non è possibile.
Nalevh, che stava quasi per issarsi sul palco, balzò istintivamente all’indietro. Un brivido gelato gli corse lungo tutta la spina dorsale.
Il vecchio amico lo osservava dall’alto, con l’unico occhio celeste. Fece schioccare più volte la lingua sul palato, scuotendo la testa in segno di biasimo.
— Sei proprio un vecchio porco, Haynes — gli disse, con una smorfia addolorata e assolutamente ripugnante — Ti affido la mia famiglia e tu che fai? Lasci morire Miya in un luogo dimenticato dagli Dèi. Sogni di scoparti Brita, la mia Brita, che ha la metà dei tuoi anni.
A Nalevh si spezzarono le parole in gola:
— Io non…Come fai a…?
— A saperlo? — concluse per lui Soren Winton — Oh, io so sempre distinguere le maschere dai volti, Arcanista! È il mio dono.
Mentre parlava, Soren si passò la mano davanti al viso. L’uomo sfigurato scomparve in uno sbuffo di fumo: al suo posto era apparso un elfo dalla pelle turchina, vestito con un appariscente giustacuore variopinto. La sua vera faccia era coperta da una maschera d’avorio che sorrideva sorniona. Appese alla cintola, sui pomposi pantaloni a sbuffo, spiccavano altre maschere bianche bordate d’oro. Più Nalevh le osservava, più sembravano assumere connotati umani. Ce n’era una in particolare, una maschera di donna, che assomigliava tanto a…
Brita!
Lo sgomento cedette subito il posto alla furia.
— Dov’è Brita? Cosa le hai fatto? — ruggì.
Se le ha fatto del male…
— Non le ho fatto alcun male — lo anticipò il mascherato, come leggendogli nella mente — Piuttosto, sei stato tu a fargliene.
Nalevh si arrampicò rapidamente sul palcoscenico e fissò l’elfo con gli occhi ridotti a due fessure. Le maschere sembravano quasi ricambiare il suo sguardo d’odio.
Dannato pagliaccio blu.
— Non ho tempo per i giochetti! — gridò, girando attorno al nemico come una belva pronta ad attaccare — Dimmi dov’è!
Poiché l’elfo si limitava a sorridergli, beffardo, Nalevh estrasse la spada con un gesto fluido, assumendo la posizione di guardia. Nel pugno sinistro del mago si accese una fiamma bluastra: la scagliò contro l’elfo, che la evitò piroettando su se stesso, come un ballerino.
Nalevh gemette. Nella fretta di trovare Brita, non si era curato di stendere attentamente l’unguento che avrebbe dovuto proteggerlo dal fuoco. Sentì la pelle sottile del polso riempirsi di vesciche.
Fanculo.
— Tu mi ricordi il giovane Morgan! Impulsivo, forte, ardente! Mi piacciono gli uomini di carattere! — sospirò il mascherato.
— Morgan? Di chi cazzo parli? Perché hai quella? — ringhiò Nalevh, indicando con la punta della spada la maschera col viso di Brita.
Oh, Brita, che sei venuta a fare qui?
La gola di Nalevh produsse una specie di singhiozzo disperato.
— Mi ha portato in dono la sua verità — rispose l’elfo — Ma la tua, beh, è ancora più sorprendente!
La voce del mascherato era colma di gioia e di meraviglia.
— Il grande Arcanista singhiozza d’amore per una ragazzina! — proclamò, gongolando, in direzione della platea. Sembrava rivolgersi ad un pubblico invisibile.
Maledetto!
Nalevh scagliò una seconda fiamma contro la testa dell’elfo, per poi deviarla all’ultimo istante.
L’avorio della maschera si annerì sullo zigomo destro, là dove il fuoco di Nalevh l’aveva sfiorata. L’elfo la sostituì subito con una simile, con un rapido gioco di mano. Tuttavia, rimase a fissare la maschera danneggiata per qualche istante, come se fosse sorpreso. Non doveva essere stato colpito spesso.
Non ancora. Deve prima parlare.
— Le hai mentito proprio bene, alla tua giovane allieva — rise l’elfo. La sua nuova maschera aveva un ghigno diabolico.
— E’ una ragazza molto speciale, nevvero? Tuttavia, è convinta di non essere abbastanza per te, Nalevh Haynes, Alto Arcanista Imperiale — scandì con fare pomposo, inchinandosi quasi fino a terra — Non te lo hanno detto, Arcanista, quanto è pericoloso tradire la propria verità?
Perdonami, Brita.
Volevo proteggerti. Soltanto proteggerti.
Nalevh mulinò la spada per attaccare il nemico, mirando al suo fianco sinistro. L’elfo schivò agilmente e, con la destrezza di un prestigiatore, si sfilò la maschera ghignante per indossarne un’altra: il viso di un giovane uomo con occhi di ghiaccio e una cicatrice chiara sul dorso del naso. L’aspetto del mascherato mutò interamente: la sua figura si fece più alta e massiccia e gli abiti stravaganti divennero semplici e scuri. Tra le sue mani era apparso un lungo pugnale.
Come ci riesce?
Questa volta fu lui ad attaccare: con uno scatto sovrumano si scagliò contro Nalevh e gli segnò sull’omero un profondo taglio scarlatto. Il mago reagì assestandogli un calcio in pieno ventre, al di sotto delle costole, dritto nel fegato. Il mascherato si sbilanciò all’indietro, però riuscì a rimanere in piedi. Attaccò di nuovo, ma Nalevh intercettò il pugnale con la lama della spada e glielo fece schizzare via di mano. Il coltello pattinò sul pavimento e cadde giù dal palco, fuori dalla portata di entrambi. Il mascherato indietreggiò di alcuni passi, in modo da non essere più a tiro.
— La piccola Alice ha mostrato a Brita la nostra verità.
L’aspetto e la voce erano ancora quelli dell’uomo con gli occhi glaciali. Mentre parlava, aveva estratto un pugnale più piccolo dallo stivale destro e lo faceva roteare abilmente tra le mani.
— Ha deciso lei di aiutarci — proseguì — Potresti farlo anche tu. Unisciti a noi, come ha fatto la tua Brita. Abbiamo bisogno di uomini come te, di guerrieri.
Guerrieri? Che cosa vuole fare?
Che cosa vuole da me?
I due continuavano a muoversi in cerchio, studiandosi come predatori, ma Nalevh era estenuato dalla stanchezza e dalla preoccupazione. Il braccio ferito gli pulsava dolorosamente. Qualche goccia di sangue filtrava attraverso la manica del giustacuore e picchiettava sul pavimento.
— Dimmi dov’è andata, ti prego — si trovò a scongiurare — E ti lascio in pace.
— Oh, ma io non voglio affatto che tu te ne vada, mio caro — rispose l’avversario, sostituendo nuovamente la propria maschera con una dall’espressione più mite — Io voglio aiutarti, davvero.
Il mascherato riacquistò all’istante la sua forma di inquietante giullare e il pugnale sparì dalle sue mani. Si avvicinò a Nalevh di qualche passo, cautamente, poi staccò la maschera di Brita dalla propria cintura e gliela porse con un gesto aggraziato.
— Indossala — sussurrò, mellifluo — Lascia che sia lei a risponderti.
Nalevh rinfoderò la spada, senza mai distogliere dall’altro gli occhi nerissimi. Prese l’oggetto dalle mani dell’elfo e lo rigirò tra le proprie. L’avorio sembrò trasformarsi sotto il suo tocco: l’uomo percepiva la pelle di Brita, calda, lentigginosa, di una morbidezza impossibile. Il cuore prese a galoppargli nel petto ad un ritmo intollerabile.
Oh no, no.
— Andiamo, Arcanista. Non vuoi sapere cosa prova per te? — domandò l’elfo, sempre più incalzante — Non vuoi sapere dov’è andata? Se sta bene?
È una trappola. Un fottuto inganno.
Nalevh gettò la maschera ai piedi dell’elfo.
— Che razza di mostro sei?
L’altro la raccolse da terra e la indossò, per poi sfiorare con la punta delle dita i tratti delicati del nuovo viso.
— Ti sembro un mostro? — chiese con voce rotta, come se fosse sul punto di piangere.
No! Non la sua faccia!
— Eppure ti è piaciuto tanto infilarmi la lingua in bocca, Maestro Haynes!
La magia esplose dalle dita di Nalevh così all’improvviso che il contraccolpo lo sbalzò all’indietro facendolo cadere dal palcoscenico, tramortito. Le fiamme divorarono il sipario con un boato, un grosso trave piovve dal tetto e si schiantò dritto sul palco, sollevando una nube di scintille e nascondendo il mascherato alla sua vista. Non gli capitava di perdere il controllo in quel modo da prima dell’Accademia.
Brita.
Il vecchio teatro bruciò fino alle fondamenta.

Nalevh, al riparo della rientranza di un uscio, osservò le fiamme levarsi alte fin sopra alle case. Dal vicolo in cui si era rifugiato, poteva vedere il fuoco tingere la sera di bagliori rossastri, scrosciando e crepitando. Normali cittadini, Cappe Blu e chierici di tutti e quattro gli Dei si affollavano attorno al teatro, cercando di arginare l’incendio, mentre nell’aria rintoccavano le campane, in segno di allarme. Non poteva fare nulla per aiutarli: la magia lo aveva lasciato così esausto da essere praticamente incapacitato a muoversi. Era stato un miracolo che fosse riuscito a trascinarsi fuori da quella trappola.
Sei un idiota, Nalevh Haynes.
Abbassò lo sguardo sui palmi delle proprie mani. In alcuni punti la pelle si era completamente consumata, esponendo la carne viva: rossa, lucida, trasudante liquidi. Provò a muovere le dita della destra, provocandosi una fitta di dolore che gli annebbiò la mente. Appoggiando l’ampia schiena contro il legno, riuscì a scivolare lentamente a terra, cadendo in un oblio più profondo del sonno.

Racconto di Melissa Negri.