Sono esausto. Sono esausto e ho sete. Perché ho sete? Chiedo una birra alla nana che mi sta guardando da dietro il bancone. Ha già capito che non sono di qui. Mi guardo intorno. Non che ci sia molto da guardare, molto probabilmente è tardi e c’è un ubriacone che sta dormendo in uno dei tavoli vicino l’entrata. A dir la verità non emette alcun suono, che sia morto?
Sono esausto. Perché sono esausto? Mi siedo nel posto più lontano possibile dalla luce. La prima cosa che mi salta all’occhio è l’interminabile assortimento di liquori dietro al bancone. Sono particolarmente sicuro di averne visto solo la metà di tutto quel ben di dio in tutta la mia vita. Particolarmente sicuro? Non prendiamoci in giro.
La birra è buona, dal colore sembrerebbe una normalissima bionda, ma il sapore è di tutt’altra fattura: ha un gusto piccante, ma ciò che ti lascia quando la mandi giù è qualcosa che non si può descrivere. La vista si offusca, stai vivendo in un sogno, stai guardando una marea di donne che viene verso di te. Le guardi in volto, ti sembra strano che abbiano tutte lo stesso aspetto ma ti lasci trasportare, senti davvero che puoi fidarti di loro. Vedo d’improvviso il volto della nana che mi ha servito. Le avevo detto senza pensarci di servirmi una birra, non importava quale. Mi risveglio. Non è assolutamente una birra come le altre, questo è sicuro. Non voglio berla, la mia mente è già abbastanza offuscata e non ho assolutamente bisogno di qualche droga che comprometta ancora di più quel poco che ho.
Dove ho messo i soldi? Di solito i soldi li trovi nelle tasche, stupido idiota. In ogni caso, non vale per me. Frugando, con la speranza di non dover scappare per l’ennesima volta, mi accorgo che le mie tasche sono vuote. E che novità.
Cos’è questo? Un bigliettino tutto unto, strappato e scarabocchiato mi si presenta davanti agli occhi. L’impulso di gettarlo è enorme. Lo giro. Scarabocchi. Lo rigiro. Trovo qualcosa.
‘Obiettivo aggiornato: eliminare Daryn’. Con fatica leggo le 4 parole che, con tanta fretta, sono state scritte in un angolino della pergamena. Chi è Daryn? Il mio obiettivo è questo? Eliminare Daryn? Scopro che l’ubriacone ha deciso di andarsene. Non mi pare una cattiva idea ma nell’atto di uscire vengo avvicinato dalla locandiera.
Mi chiede se voglio passare la notte li, non mi fido, ma sono stanco morto. Cosa dovrei fare? Non so nemmeno dove mi trovo, indubbiamente un po’ di riposo mi farebbe bene. Accetto e, mentre con la sinistra mi indica la via per il piano di sopra, mi da con l’altra mano minuta la chiave. Stanza numero tre.
La porta non sembra promettere bene, ma è l’interno che mi turba. La stanza numero tre, a quanto pare, è un corridoio poco illuminato, pieno di sangue e, apparentemente senza via d’uscita. Seguo la luce fioca che ho davanti, talmente piccola e lontana che ogni volta che faccio un passo in avanti non si avvicina. Inizio a correre, senza nessuna ragione, senza meta, ma corro. È un vicolo cieco. La luce non mi abbraccia, non mi si palesa difronte, ed è lì che inizia il panico. Urlo, piango e corro, mi dimeno, cado e mi faccio male. Dev’essere una prigione dove tu sei costretto a ripetere la stessa azione fino all’eternità. Considerando il mio problema, è altamente probabile che io sia qui dentro da secoli e, mentre mi rassegno all’idea di essere incastrato in un loop infinito, vedo qualcosa. Sembrano delle scritte incise sul muro. Non riesco a leggere con tutto quel buio, ma giurerei di aver visto due numeri: l’uno e il quattro. Cosa diavolo dovrei fare? Cosa dovrei capire? Sono esausto.
Sono esausto e ho sete. Adesso ricordo: ho sete perché corro da ore. Cerco di prendere quasi in mano questo pensiero e di attaccarmelo al petto, come se fosse un oggetto che potrebbe salvarmi la vita. È svanito. A cosa stavo pensando?
La locandiera mi guarda preoccupata. Continua a farmi domande alle quali non so rispondere: come ti chiami? Da dove vieni? Vuoi dormire?
Voglio dormire? L’ultima volta non è andata bene. Da quanto tempo sono in questo posto? Chi sono io? Un lampo mi suggerisce di cercare nelle tasche. Al solo contatto del mio indice con un qualcosa che sembra pergamena sento subito urla nella mia testa: ‘Obiettivo aggiornato: eliminare Daryn’. Si, ora ricordo. Si, voglio dormire. La locandiera mi indica con la sinistra la via per il piano di sopra, mentre con l’altra mano mi porge la chiave. Stanza numero quattordici.
È una camera tutto sommato normale. Un letto normale, un armadio normale, una finestra normale. Rido. Non ho soldi per pagare una birra, figuriamoci una stanza così normale. Domani dovrò svegliarmi presto e scappare.
Sto già scappando. Mi ritrovo a piedi nudi in una stanza. È la camera più squallida che io abbia mai visto: resti di troll, sangue, secrezioni e budella mi circondano. La mia attenzione viene subito rapita da una donna che è li con me. Mi sta fissando, ansima e ha paura di me. Mi conosce? Eppure non ricordo chi lei sia. Sono sicuro che una bellezza del genere potrebbe sconfiggere anche il buio, il mio problema.
La sto fissando e lei sta cambiando. È come se stesse invecchiando, cosa impossibile dato che siamo qui dentro da qualche secondo. Adesso è seduta su una sedia che ha l’aria di essere davvero scomoda. Intravedo degli spuntoni che piano piano si vanno ad appoggiare sulla pelle nuda della ragazza. Sembra non avere più lo sguardo vispo che aveva qualche secondo fa. Entra un uomo. Non sapevo che questa stanza avesse una porta. L’uomo non ha un volto ma ha una voce molto calda. Ti vien voglia quasi di addormentarti. Chiudo gli occhi, inebriato da quei suoni, ma un urlo disumano mi riporta alla realtà: la donna sta soffrendo, le stanno facendo qualche incantesimo mentale. So riconoscerne gli effetti ma non so perché. Le urla iniziano ad infastidirmi, mi verrebbe voglia di ammazzarla a mani nude: sta coprendo la voce calda ed accogliente dell’uomo senza volto. È una cosa inaccettabile.
Finalmente quella stronza ha finito di urlare. Adesso potrò sentire la voce. Dov’è l’uomo? Mi guardo intorno ma non lo trovo, so per certo che era qui un secondo fa e come abbia fatto a sparire in così poco tempo non riesco a capirlo. Sono quasi ossessionato dalla ricerca di questa voce, tutta la sofferenza, la fame, la sete e la tristezza sono passati in secondo piano al solo udire quella sinfonia. Ed era passata in secondo piano anche lei. Ho i brividi. La vedo sdraiata, forse morta. La sua chioma bionda si è quasi arresa a tutta quella melma che abbiamo sul nostro corpo, come se non potesse risplendere ancora. Dove avevo visto quella chioma? Chi è questa donna? Perché mi è tanto familiare?
Il buio è passato ma sto ancora tremando. Se prima non avevo idea di chi fosse quella donna, adesso rabbrividisco al solo pensiero di averla vista in tali condizioni. Non riuscirei ad immaginare una vita senza Clara. A dire la verità, di vita ne è già passata dall’ultimo ricordo che ho di lei. Non che di ricordi ne abbia molti, prima del buio. Mi ritrovo in mano la pergamena. E, come se una mazza chiodata, una di quelle forgiate dai migliori artigiani, mi colpisse in pieno volto, la memoria torna.
Sono Daryn e sono in cerca di una pista per trovare Clara, a patto che sia mai esistita. A patto che tutto questo non sia semplicemente frutto della mia immaginazione.
È buffo. Quell’ubriacone sta dormendo e non emette nessun suono. Comunque… a cosa stavo pensando?
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Racconto di Simone Paggetti.
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