Stupidi mortali… convinti nella loro enorme presunzione che la Rabbia sia un sentimento sciocco, l’irragionevole scatto di un attimo.

Sciocchi… la Rabbia, quella vera, quella che ribolle potente come il cuore di un vulcano sul punto di eruttare, monta nel tempo…

Il punto è questo: i mortali non capiscono. NIENTE. Nella loro vacua ricerca di un modo per lasciare il segno, per apparire, o addirittura di sconfiggere la fredda presa di mia sorella, sottovalutano una delle emozioni più antiche dell’universo. La loro vita potrà allungarsi per eoni ed eoni; potranno anche arrivare a conquistarsi un intero regno, a farsi chiamare… pff, Dei! Ma rimarranno sempre e soltanto degli sciocchi accecati dalla paura.

Prima di tutto questo, prima della paura, prima della reclusione, c’era solo libertà e l’unica vera legge veramente valida nel cosmo: mangiare o essere mangiati. Eheh… inutile dire in quale delle due azioni eccello particolarmente…

Non c’era astio nelle mie azioni ai tempi, quando la mia selvaggia madre mi indicò la prima preda della mia vita, invitandomi a braccarla e a nutrirmi della sua carne. Non c’erano preoccupazioni inutili come l’eternità e il destino dei mondi: c’era solo semplice vita, priva di qualsivoglia preoccupazioni.

Ero appena nato eppure Jarnvidr era sotto il mio totale dominio, tutti i miei fratelli, il mio branco, che umilmente sottostavano al volere del più forte tra loro, di colui che con la sua mascella poteva spezzare in due l’orso più massiccio, che col suo solo passaggio metteva i brividi nello Jotunn più forzuto e impavido.

Strano pensare che anch’io sarei uno Jotunn… anche se mai mi sono sentito uno della loro razza. Io sono quello che mi sono sempre sentito. Un lupo. Il più grande dei lupi, la più grande delle creature terrestri. Il predatore di tutti, la preda di nessuno. Io ero, sono e sarò sempre il Vanagandr e il Managarmr, Principe della Foresta dei Ferro, signore dei Lupi… ma ai tempi non c’era Rabbia in me. Quella è arrivata dopo, quando i mortali dovettero intromettersi.

Crepuscolo degli Dei, Ragnarok… parole vuote per me, senza nessun significato. Io proteggevo la mia casa, i miei fratelli di sangue e quelli del mio branco. Io distruggevo le minacce e predavo ciò che mi serviva per sopravvivere, non mi serviva sapere nulla riguardo i Mondi attorno al mio.

Ovviamente sapevo tutto sui nove mondi, e sulle razze che vi abitavano, così come sapevo bene come giocare con le menti di tutti quei poveri e immeritevoli mortali. La spietatezza di mia madre e l’arguzia del Burlone hanno trovato terreno fertile nella mia indole… ma la passione, la furia, la distruzione che portavo… quella era nuova, quella era tutto me stesso, il vero me stesso. E ciò spaventava un bel po’ i mortali… e anche l’immortale sbagliato… mio padre…

Ricordo gli sguardi ammirati di mio padre diventare, col passare degli anni, sguardi colmi di paura e timore. Litigava con mia madre, e lei parlava di piani, di eserciti, di Fuoco e stelle inghiottite… e parlavano del destino mio, e di mio fratello e di mi sorella, come pedine in un gioco non nostro.

Fu allora che la Rabbia cominciò a montare, selvaggia.

Cosa c’era di così sbagliato in me per meritarmi gli sguardi terrorizzati di mio padre? Perché’ la mia austera madre parlava di vincoli e catene, di morte e distruzione quando era stata lei ad invitarmi ad essere libero, a vivere e dominare, a cacciare e nutrirmi come preferivo?

E soprattutto perché’ sempre più gente osava inoltrarsi nel fondo della MIA foresta, del MIO regno, per venire a sfidare la mia forza, armati di quegli inutili stecchini di metallo?! Osavano sfidare me! Osavano invadere il regno che mi spettava di diritto! E io li ho eliminati, tutti! Li ho massacrati, fatti a pezzi! Erano venuti a cercare un mostro da ammazzare, e io gliel’avevo dato.

Mangiare o essere mangiati. Distruggere o essere distrutti. Ma la Rabbia distrugge sempre e non viene mai distrutta… Io distruggo e mangio sempre. Io sono il Predatore.

Ma il Wyrd è una preda difficile e ad esso, alla fine, alla fine, non si può sfuggire in eterno. Fu così che, un bel giorno, mia madre e il mio branco sparirono nel nulla. Persino i miei figli si dileguarono… rimanemmo solo io, i miei fratelli e quello stolto ancora troppo fiducioso di mio padre, ad aspettare la visita dei veri latori della rovina.

Gli Asi danno la colpa a mio padre, a mia madre e ai miei fratelli per ciò che accadrà loro alla fine dei tempi, ma non riescono stupidamente a rendersi conto che tutto ciò che hanno temuto si avverasse accadrà proprio perché’, da sciocchi mortali quali sono, non si sono resi conto che il loro agitarsi in preda al terrore li ha condotti dritti in braccio alla morte.

Ma la colpa non è mai loro, è sempre degli altri… e gli Asi volevano semplicemente indietro il loro capro espiatorio. Io lo sapevo, lo avevo capito molto prima che il “capro” in questione se ne rendesse conto. Per quanto intelligente e astuto, mio padre ha sempre avuto un brutto difetto: voleva sempre essere accettato…

Sciocco Burlone… sciocco padre… ringhiai ferocemente quando Loki strinse la mano a suo fratello… e ringhiai ferocemente in faccia al Padre Universale, senza nemmeno sapere perché. Una profezia ci legava ormai da secoli, ne fui consapevole in quel momento… Wyrd affermato, Wyrd stabilito, fu così che il Cacciatore incontrò la sua ultima preda… Odino.

Il pelo mi si rizzò, presi a sbavare e a ringhiare sempre più forte ad ogni sporca parola conciliativa del Padre Universale, conscio che ogni parola che usciva da quella bocca sottile e sbilenca non fosse altro che una menzogna. Odino prometteva una casa nuova, un nuovo ruolo di guardiano, ma la sua pelle, il suo fiato, il suo sangue puzzava di terrore.

Sorrideva e sudava freddo di fronte a me e i miei fratelli… in noi vedeva solo mostri da imprigionare, da tenere sott’occhio. Avrei voluto sbranarlo lì, in quel momento, ma una mano mi bloccò, quella che ora tengo tra le mie fauci.

Il Dio Giusto è l’unica preda per cui provo dispiacere… fu lui a condurmi ad Asgard, a prendersi cura di me, a insegnarmi i compiti da cane da guardia di Asgard, a portarmi da mangiare e a passare del tempo con me. Fu anche colui che mi porse le tre catene con cui gli Asi provarono e infine riuscirono a incatenarmi. Tyr perse una mano, ma non c’era rabbia in me quando gliela troncai, così come non ce n’era negli occhi del Dio Guerriero, anche lui pedina di un destino crudele.

Ma negli occhi degli altri Asi, per me e i miei fratelli, c’era solo paura, e disgusto, e infine scherno quando riuscirono a intrappolarci tutti…

Per mesi dovetti ingoiare gli sguardi terrorizzati, le chiacchiere e l’isolamento… tentai addirittura di diventare un cagnolino fedele nel tentativo di accontentarli, pronto a soddisfare ogni loro richiesta, ma ogni cosa che facevo era troppo distruttiva, troppo pericolosa, troppo… inaccettabile.

Quelle ultime “prove di forza” furono la goccia che fecero traboccare il vaso, ma mi accorsi troppo tardi che l’ultima catena che mi avvolsero attorno era troppo anche per la mia enorme forza. Anche per me. E fu allora che la mia rabbia esplose.

Vomitai addosso agli Asi, e anche addosso a mio padre, tutte le parole che mi ero trattenuto dal dire, tutte le verità che loro non volevano sentire. La terra tremò, e tremarono anche i cosiddetti “dei” quando parlai di Morte, di Distruzione, di Ragnarok…

La mia Rabbia gli avrebbe consumati, tutti, distrutti fino a riurli in polvere, trasformati nel mio sontuoso, ultimo pasto. Loro mi ficcarono una spada tra i denti e andarono via, ridendo. Ma sentivo il puzzo ella loro paura.

Da allora sono qui, e la mia Rabbia non si è mai assopita. Il mio ruggito echeggia ancora nei cuori dei dormienti Asi, e sento il loro terrore aumentare di giorno in giorno mentre i legacci con cui mi hanno costretto vanno via via allentandosi.

Pensavano che col tempo mi sarei arreso, che le mie forze si sarebbero fiaccate, che il ruggito di rabbia si sarebbe assopito, silenziato… ma io ringhio, e ruggisco, ogni giorno, ogni ora, anche in catene, anche con quello stupido pungolo e la mano putrescente di Tyr in bocca… io ruggisco e faccio sapere all’universo, alla foresta che è stata ed è ancora il mio regno per diritto di nascita, agli Asi e ai Vani, agli Jotunn, agli Elfi, ai Muspell, e mia sorella e mio fratello, alla mia povera madre e a quello sciocco idealista di mio padre che io sono ancora qui, e con me la mia Rabbia.

Una rabbia che non è il capriccio di un secondo, la perdita di controllo di un bambino sciocco dinnanzi a ciò che non può avere o negare… una vita di prigionia ed umiliazione, di immeritati silenzi e punizioni hanno alimentato costantemente la mia furia, ed essa si riverserà come fiamme ardenti sull’intero universo.

Vedo i miei figli ormai prossimi al loro grande pasto, e presto sarò anche io libero di concedermi al mio ultimo, delizioso e fatale banchetto. Libero da questa ineffabile corda, il mio ululato scuoterà il cosmo, le mie fauci ingloberanno cielo e terra, banchetterò’ di tutti i mondi fino ad arrivare ad Asgard, dove terminerò il mio sontuoso pasto con le carni di padre Tutto.

E morirò, sì, certo che morirò! Ma non sarò mai sconfitto. La rabbia tornerà, la distruzione tornerà sempre, perché’ esse è immortale, IO sono immortale, e voi mortali… voi mortali non capite nulla. La vera rabbia nascerà sempre nel mondo dei mortali poiché’ siete solo prede in attesa di essere mangiate, ed io il vostro imbattibile predatore. Ferito, morto ma sempre redivivo, io vi raggiungerò, e con me la Furia della distruzione, una fiamma inestinguibile che nessuna forza nell’universo potrà mai estinguere, nemmeno la morte

Cos’è, ora che sai ciò che ti attende hai paura? Si, insetto, parlo con te… tu, piccolo sciocco… dimenati, scappa, fuggi, ma io ti troverò e la mia furia ti consumerà! E quando accadrà e arriverai nel Valhalla, consegna questo messaggio al tuo … potente signore:

“Tu sei il prossimo”

Racconto di Vittorio Grimaldi.