Il vento schiacciò Phileas contro il parapetto e gli rubò il cilindro, che balzò verso le prime stelle della sera… e poi giù nel vuoto.
Una torma di gentiluomini e signorine imbellettate lo superò come se neanche esistesse. Cinguettavano imperterriti in quel loro francese parigino, stretto e incomprensibile.
Phileas si avvinghiò al gelido corrimano della torre. “W-Wilkins!” boccheggiò, ma le parole scivolarono giù dalle labbra deboli e tremanti. Sollevò il piede e lo appoggiò su un gradino più alto. Perché, perché aveva accettato di salire? Aveva cose ben più importanti da fare!
Un’altra gelida folata fece sbatacchiare gli orli del cappotto. Si tappò le labbra con la mano per trattenere un grido. Puzzava di ferro.
“Forza, Relish” l’esile figura di Wilkins si sporse da dietro l’angolo “Ormai manca poco!”
Phileas sbuffò. La faceva facile, lui.
Si morse le unghie dal sapore metallico. Non doveva guardare di sotto, non doveva pensare a quanto era in alto. Meglio… meglio concentrarsi su qualcos’altro. La ricerca, la sua ricerca.
A ogni passo sulla scala risuonava un tintinnio metallico. Non poteva mancare molto, e una volta sceso nulla gli avrebbe impedito di andare all’esposizione etnografica. Il professor Ross sarebbe stato orgoglioso della sua intuizione.
Strascicò i piedi lungo la scalinata. Era davvero così sicura? Maledetta Parigi, maledetto Eiffel e maledetto Wilkins che lo aveva convinto. Ah, ma se fosse riuscito a rimettere i piedi per terra non gli avrebbe mai più dato retta, mai più!
Ancora un ultimo sforzo. Poi avrebbe potuto andare al padiglione Les Invalides. Se era ben curato come dicevano ci sarebbero state decine, macché, centinaia di individui in una perfetta ricostruzione del loro habitat naturale. Il terreno di studio perfetto per uno studente di antropologia!
Ecco la cima. Si issò sulla piattaforma. Il gruppetto di francesi gli bloccava il passaggio. Una signorina si sporse oltre il parapetto ed emise un gridolino deliziato. “Permesso” disse Phileas, scorbutico, e si fece spazio tra loro. Gli rivolsero contro qualche sbuffo e qualche commento in lingua d’Oltremanica.
Ecco Wilkins. Si sporgeva nel vuoto con i gomiti appoggiati alla ringhiera. Pazzo! Lo afferrò per la spalla e lo tirò indietro “Ma che fai? Così rischi di cadere!”
L’amico gli rivolse un sorriso radioso e scosse il capo “Oh, Relish. Non cambia mai. Guardi qui sotto, piuttosto, e mi dica se questo spettacolo non è cento volte meglio del suo zoo.”
Phileas incrociò le braccia “In primo luogo, Wilkins, non le permetto di sminuire in questo modo la disciplina che studio. Il folklore dei popoli rappresenta la colonna portante del mondo contemporaneo, non se lo dimentichi. In secondo luogo…” le parole gli morirono sulle labbra.
Sotto di loro si stendeva l’intero parco dell’Esposizione Universale, anzi, tutta l’immensa distesa di tetti grigi della città. I lampioni illuminavano le vie come un secondo firmamento, ancora più luminoso di quello che si stagliava di sopra. La città era un cuore pulsante, ed ogni uomo al suo interno era una goccia di sangue pompato. Eccoli che gremivano il parco e le strade, formichine operose intente nelle loro faccende.
E lui, da quella torre, li sovrastava come un uccello in volo, e non poteva far altro che tremare di fronte alla magnificenza di quella celestiale visione, così potente, così diversa da tutto ciò che avevano potuto contemplare gli uomini del passato.
Si afferrò la camicia all’altezza del cuore. Quanto a lungo era rimasto cieco su tutto ciò che poteva offrire il presente perché la sua attenzione era rivolta ad un mondo che non esisteva più? Che senso aveva discutere ancora di popoli estinti e delle loro sciocche superstizioni quando il futuro era così radioso da spazzare via ognuna di quelle menzogne?
Wilkins gongolò “Allora? Che ne dice? Potrei sbagliare, ma direi che è piuttosto convinto. Vuole ancora che la accompagni al Les Invalides?”
Di solito Phileas avrebbe cercato un modo per strappargli via quel sorrisetto compiaciuto, ma… non stavolta. Alzò le mani “Travis, avevi ragione. Forse… forse ho sbagliato tutto. Tu studi per creare un futuro migliore, mentre io…”
“Su, su” Wilkins si strinse nelle spalle “Che razza di amico sarei se non ti dessi una mano ad aprirti gli occhi quando commetti un errore?”
Le mani di Phileas tremarono “È semplicemente incredibile. Il progresso… è davvero il più grande prodigio che possa esistere!”
Wilkins annuì “Quindi cosa conti di fare col tuo vecchio professore?”
Ross! La ricerca che gli aveva promesso. Di colpo alla sua mente erano prospettive insipide, insignificanti. Phileas si passò una mano fra i capelli “Io… non saprei”
Il suo amico estrasse dal panciotto un orologio d’argento. Si avvolse il dito nella catenina. “Vede, Relish… Phileas. C’è un filosofo francese, tale Comte, che ha detto una frase molto importante: Sono state le scienze a creare il mondo in cui viviamo. Prima hanno liberato la mente umana dalla teologia e dalla metafisica, da tutti i pensieri astratti di cui non c’era più bisogno.” rise. Il suo parlare si fece più intenso “E nel futuro saranno la base su cui fondare tutto l’ordine sociale, finché perdurerà la nostra specie” rivolse l’orologio verso Phileas. Sul fronte era incisa una miniatura della Tour Eiffel. Un pregevole souvenir di quel sensazionale evento, senza dubbio.
“Quindi, Phileas, a cosa vuoi dedicare la tua vita? In quanto studiosi noi ci gettiamo nelle nostre discipline come…” alzò lo sguardo, a cercare un’ispirazione “Come degli scavatori, ecco. Solo che alcuni cercano di estrarre ossa e reliquie dal passato, altri si preparano a gettare le fondamenta del futuro. Tu da che parte vuoi stare?”
Aveva ragione. Phileas era salito sulla Tour Eiffel come un girino tardivo, che sguazzava nelle torbide acque della Storia con la sua coda di preconcetti, ma ne sarebbe disceso come un lucido ranocchio pronto a balzare fuori dalla palude. “Ross non può darmi quello di cui ho bisogno. Appena tornati in Inghilterra compilerò tutti i moduli necessari. Passerò anche io a Medicina. In questo modo sarò parte di…” distese il braccio ad abbracciare il panorama “Tutto questo!”
Wilkins gli diede una pacca sulla spalla “Questo è parlare!” lo trascinò verso la scalinata “Suvvia, Relish. Abbiamo ancora così tanto da vedere… il telefono, l’elettricità… oh, ho sentito dire meraviglie sul nuovo modello di fonografo!”
Il cuore di Phileas prese a battere all’impazzata: “Andiamo allora! Non credo di poter attendere oltre”
Iniziarono a scendere le scale, Phileas davanti e Wilkins dietro.
“A proposito, Relish… che fine ha fatto il suo cappello?”
***
Il monotono scalpiccio del cavallo fu interrotto da un tonfo secco delle ruote e al sobbalzo Phileas si svegliò di soprassalto.
Il giovane trasse un lungo respiro e si stropicciò gli occhi. Il finestrino gli rivelò una costa a strapiombo, proprio al fianco della strada. Una folata di vento fece traballare e scricchiolare la carrozza. Cristo, che colpo! Dovette mordersi le labbra per non imprecare.
Di fronte a lui il vecchio professor Chapman rimase imperterrito, perso com’era nell’enorme tomo che gli ballonzolava sulle ginocchia. Mormorava, immerso nella lettura, con la voce distorta dalla pipa spenta all’angolo della bocca e l’indice che strisciava lungo la pagina “Per primo l’ideale appare… di contro al reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce… costruisce questo mondo medesimo, colto nella sostanza di esso, in forma di…”
Phileas si massaggiò la fronte e picchiettò con le dita sul ginocchio al ritmo della marsigliese. C’era puzza di chiuso, e restare troppo a lungo appoggiato di traverso gli aveva fatto venire mal di schiena. Quanto ancora sarebbe durata quella traversata infernalmente lunga? Consultò il suo orologio da taschino. Le quattro e un quarto? Non erano passate neanche due ore… Come diavolo era possibile?
“Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro…”
Si massaggiò il collo sudato. Davvero un’ottima idea un lungo viaggio in un pomeriggio d’estate. Ed era inutile sperare in un po’ di silenzio da parte del professore. Il suo ritmo lento e monotono si insinuava nella sua mente come uno spiffero, ed era in grado di andare avanti per ore.
“La civetta di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo…”
“Perché la carrozza?” chiese in un fiato. La sua mano si strinse sulla gamba. Si era già pentito di averlo interrotto. Che rovinosa perdita di aplomb.
Il vecchio sollevò gli occhi dal volume, due pallidi zaffiri filtrati dalle lenti rotonde. Inarcò le folte sopracciglia bianche, accentuando le rughe sulla fronte “Come ha detto, Relish?”
Phileas prese ad arricciarsi il baffo sinistro. Forse avrebbe potuto far finta di niente? No, il mastino di Oxford non lasciava mai una domanda senza risposta.
“Mi chiedevo” si schiarì la voce “Perché ha scelto di fare il viaggio in carrozza. Il dottor Praiseworth non si era offerto di mandarle un’automobile alla stazione di Falmouth?”
Chapman si tolse la pipa di bocca e se la rigirò davanti al viso, gli occhi stretti come se il pezzo di legno fosse la ferita di un paziente “Timeo Danaos et dona ferentes” disse, in un latino strascicato.
“Prego?”
Le narici di Chapman si dilatarono, e le sue labbra si piegarono all’ingiù “‘Temo i Greci anche quando portano doni’. Ma come, Relish, non conosce l’Eneide?” disse col tono aspro che usava quando scopriva uno studente impreparato.
La schiena di Phileas si drizzò come un’asse di legno. Il professore lo scrutò torvo per un istante, poi scoprì i denti ingialliti in un sorriso e scoppiò in una risata ritmica e sconnessa.
“Mi perdoni, Relish, a volte dimentico che non è più uno dei miei studenti ma il mio assistente” tese le braccia verso il sedile e si sistemò con uno sbuffo “Vede, io e il dottor Praiseworth non siamo proprio in buoni rapporti. Già aver ricevuto il suo invito a questa conferenza mi insospettisce non poco. E francamente non impazzisco per quei trabiccoli rumorosi e sputafumo.”
Phileas si trovò a fissare il tetto di legno “Non crede che sarebbe stato più comodo e più rapido?”
Il professore arricciò il labbro “Più rapido senza dubbio. Sul più comodo… personalmente credo che la carrozza sia migliore.”. Picchiettò la pipa contro lo sportello “Io ad esempio non riesco a leggere su quelle diavolerie. Mi si scombussola tutto lo stomaco. Preferisco metterci qualche ora in più ma godermi il viaggio.”
Phileas si chinò in avanti “Capisco, professore, è solo che… l’invito parlava di un’incredibile invenzione, e io…” il suo pollice tremava, e batteva contro l’indice.
Chapman gonfiò il petto “Non si preoccupi, arriveremo a Wildprey prima del tramonto, e la conferenza è domattina. E poi se anche arrivassimo con un ritardo indegno per un gentiluomo…” ridacchiò “Praiseworth aspetterebbe. Ci scommetto gli occhiali che farebbe attendere tutti i dotti d’Inghilterra, se fosse necessario per sbattermi in faccia il suo nuovo marchingegno”
Phileas buttò fuori l’aria a piccoli sospiri ritmati.
Gli occhi caddero sul libro che Chapman teneva in grembo, un tomo rosso su cui troneggiava in lettere d’oro la scritta ‘W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto. Diritto naturale e scienza dello stato in compendio’.
Ammiccò al volume “Di cosa parla?”
“Non ho l’arroganza di dire di averlo capito” mormorò il professore “Un piccolo omaggio da parte del professor Roberts”.
Ci sarebbe stato da chiedergli perché uno dei più grandi luminari di Medicina del Regno perdeva il suo tempo su dei testi di filosofia, ma Relish non si sarebbe certo spinto ad un’ennesima domanda troppo ardita.
“Ad ogni modo, Relish, se il mio leggere ad alta voce la infastidisce cercherò di tenere chiusa la mia boccaccia”
Phileas deglutì e scosse il capo con decisione “N-non c’è nessun problema, professore.”
Gli si era addormentata una gamba. Fantastico. Scosse il piede per riattivare la circolazione.
Tutto quel discutere sulla lettura gli aveva fatto venire in mente una cosa. Si accarezzò la cravatta verde. “Lo sa che secondo la tradizione un tempo l’unico modo di leggere era ad alta voce? Si dice che sia stato Aristotele il primo a farlo in silenzio. I suoi allievi rimasero molto stupiti quando lo videro davanti a una pergamena senza muovere le labbra”
Era solo una storiella da quattro soldi. di quando frequentava le lezioni di antropologia, ma il professore sbarrò gli occhi come se Phileas gli avesse appena rivelato uno dei più grandi segreti del mondo: “Affascinante. Un aneddoto delizioso. Grazie per averlo condiviso, Relish.”
Poi chinò gli occhi sul libro, e riprese a leggere con le labbra strette.
La carrozza proseguì il suo percorso, con il ritmico battito degli zoccoli in sottofondo.
Phileas tornò ad appoggiarsi allo schienale. I suoi occhi si chiusero.
***
Phileas mosse qualche passo lungo la veranda, e le travi del pavimento cigolarono. Fece schioccare il suo accendino, e la tenue fiammella illuminò la sua mano nel chiaroscuro della sera. Poi incontrò la sigaretta.
Phileas tirò una profonda boccata, e il leggero gusto del tabacco invase la sua bocca e i suoi polmoni. Il fumo si disperse nell’aria prima di raggiungere la tettoia. In quel posto sperduto, solo quell’odore gli ricordava Londra. L’albergo, come tutti gli edifici della città, era costruito in legno, e le tarme si erano ingozzate così tanto che era un miracolo se si reggeva ancora in piedi. Solo due piani, un penetrante odore di naftalina in ogni stanza e fruscii nei muri che nel migliore dei casi erano causati da scarafaggi.
Degno del resto di Wildprey. Un paesino dimenticato da Dio, con strade così strette che per la carrozza era stato difficile muoversi, poche decine di case e ancora meno abitanti. Un posto che Phileas avrebbe volentieri fatto a meno di visitare.
Lo stridio della sedia a dondolo alle sue spalle lo fece sobbalzare. “Professore” esclamò “Pensavo fosse andato a fare un giro per il paese”
Chapman si era imbacuccato in una coperta di flanella e dondolava placido. Alzò la testa per incontrare lo sguardo del suo assistente, poi emise un mugolio e alzò le spalle: “Nah. Mi è bastato fare un paio di isolati per vedere una torma di occhialuti colleghi tutti intenti a discutere della conferenza di domani. Se conosco Praiseworth sarà stato lui stesso a seminare pettegolezzi sulla sua nuova invenzione. Per creare aspettativa, no?” si strinse nella coperta “Se avessi voluto sentirmi ripetere all’infinito quanto quel cialtrone è geniale avrei accettato di dormire nell’albergo pagato da lui. Sempre detto che è un uomo di spettacolo più che di scienza. Senza scrupoli, senza valori…”
Dettagli sull’invenzione in anteprima? Phileas si sporse dietro l’angolo. Davanti a lui si stagliava la stradina principale del paese, polverosa e dissestata, e in fondo c’era effettivamente un piccolo groviglio di persone che, a giudicare dai gesti, erano presi in una discussione animata. Phileas si mordicchiò il labbro.
Non era il solo a fissarli. A una finestra di una catapecchia non troppo distante era affacciata una vecchia, che nei capelli aveva ancora qualche traccia di rosso, intenta a battere ritmicamente i panni e a scrutare torva i visitatori. Si accorse dello sguardo di Phileas, sputò per terra, tirò dentro tutto e sprangò le persiane.
“Desideri così ardentemente la compagnia di barbogi ammuffiti?” il professore si scosse e da un orlo della coperta estrasse la sua pipa “Non ti basta quello che hai qui?”
“Mi perdoni, professor Chapman” Phileas si chinò su di lui e gli accese la pipa “Non volevo essere scortese”.
Lui strinse le spalle “Non c’è problema, Relish. Ah, a proposito, per domani mi raccomando la cravatta”.
Phileas sorrise. Era proprio fissato con quella cravatta verde mela che non stava bene su niente.
Lo sguardo del vecchio volò oltre, e i suoi occhi si illuminarono “Non è magnifica?”
Phileas si girò. A pochi passi da loro iniziava la foresta. Gli alberi crescevano confusi, disordinati, senza uno schema. Alcuni tronchi erano rigidi e dritti, altri piegati ed attorcigliati. Corrugò la fronte. Tutto così caotico, inefficiente, rozzo. Niente a che vedere con i composti parchi di Londra o Parigi. Alzò gli occhi. Cosa ci trovava il professore…
Chapman si grattò la fronte: “Relish, non è bizzarro un bosco del genere in questa parte dell’Inghilterra? Non ha qualche storia curiosa da raccontarmi al riguardo?”
Il giovane tirò una boccata. Chiuse gli occhi, e tornò con la memoria alle lezioni del professor Ross. “In effetti…” disse a mezza voce “Mi pare di ricordare qualcosa. Wildwood, questo bosco, era un luogo di culto, o qualcosa del genere.”
Un refolo di vento scosse gli alberi, che tremarono con un lieve sibilo. Phileas rabbrividì e si strinse nel giaccone.
Il professore si aggiustò gli occhiali sul naso “Affascinante. Dimmi di più”
Phileas trattenne uno sbuffo. Non era piacevole ricordare gli anni sprecati a studiare il passato, ma per il professore ne valeva la pena “Luogo di culto… dei Cornovi, la tribù celtica che diede il nome alla Cornovaglia. Poco meno di duemila anni fa la zona che ora è Wildwood era un grande ritrovo di druidi, e…”
Una macchia bianca guizzò per un istante nella foresta. Phileas sgranò gli occhi, nel tentativo di ritrovarla nella boscaglia.
“E…?” chiese il professore.
Era stata solo la sua immaginazione? O un gioco di luce? Phileas provò ad alzarsi sulla punta dei piedi, poi a chinarsi. Gli alberi di Wildwood rimasero immobili, silenziosi e beffardi.
“Relish? Relish tutto a posto?”
Il giovane si riscosse: “Mi scusi professore, devo aver visto un animale e ho perso il filo”
“Oh, capisco” il vecchio dondolò in avanti e si arrestò. Aggrottò le sopracciglia “Io non vedo nulla, Relish… d’altra parte i miei occhi non sono più quelli di una volta”
Phileas si accarezzò il mento. Non riusciva a levarsi la sensazione di essere osservato… era davvero solo la sua immaginazione?
“Salute, brava gente!”
Alle loro spalle era comparso un vecchio che indossava un giaccone verde e pantaloni marroni, lisi e rattoppati.
L’odore pungente di marciume e concime costrinse Phileas ad arretrare di un passo. Il nuovo arrivato, noncurante, sorrise e tese la mano “Benvenuti a Wildprey”
I pochi denti che gli erano rimasti erano giallastri con punte nere. Phileas si portò una mano sulle labbra e tossì per nascondere il disgusto.
La sedia a dondolo cigolò, il professore si alzò in piedi e strinse la mano al nuovo arrivato “Edgar Chapman, molto piacere signore. E questo è il mio assistente, Phileas Relish”
Al sentire il suo nome il giovane annuii per cortesia.
“Molto lieto, molto lieto” il paesano si umettò le labbra, poi estrasse dalla tasca un pezzo di tabacco da masticare “Venite da molto lontano? Sapete, di solito non abbiamo molti forestieri da queste parti ed ora ce ne troviamo un intero esercito”
Il professore si strofinò le mani “Non stiamo creando disturbo, voglio sperare”
“No, no, affatto, ma…” l’uomo strizzò l’occhio “Qualche comare ancora più vecchia di me sarebbe di sicuro più sollevata se capisse un po’ meglio che cosa sta succedendo”
Phileas tirò un’altra boccata alla sigaretta ed arretrò di qualche passo. Stava facendo buio piuttosto in fretta, per una sera d’estate.
Il professore si strinse nella giacca “Beh, non è certo un segreto. Siamo qui per assistere ad una conferenza presso l’aula magna del vostro comune”
“Il comune?” il paesano addentò il tabacco con l’ultimo canino rimasto e ne staccò un pezzo “Luogo bizzarro per riunire tanta gente da tanto lontano”
Chapman allargò le braccia: “Sono più che d’accordo con voi, ma l’invito era molto chiaro in proposito. Ad ogni modo non preoccupatevi, dubito che questa confusione durerà ancora a lungo. La conferenza sarà domattina, dopo di che presumo che partiremo quasi tutti”
Il paesano succhiò forte e schioccò la lingua: “Domattina, dite?”
Il professore annuì: “Domattina alle nove in punto, ve lo assicuro. Concedeteci solo un altro po’ della vostra pazienza”
Un bruciore all’indice fece trasalire Phileas, e gli sfuggì un gridolino. Aprì la mano, e la sigaretta consumata cadde al suolo. Il paesano gli rivolse un ghigno “Molto bene, signori, vi auguro buona permanenza a Wildprey allora. Vi consiglio però di non avvicinarvi troppo alla foresta. Sapete, non è un posto molto sicuro, specie per chi non la conosce”
Phileas strinse gli occhi. Quel tono non gli piaceva granché.
Chapman, come se niente fosse, annuì “Saremo prudenti, non dubiti.”
Il giovane calpestò il mozzicone. Certo, perché quel boschetto faceva venire una voglia matta di farci una passeggiata. Le sue scarpe di vernice non sarebbero sopravvissute.
Il vecchio si girò e si allontanò. Iniziò a canticchiare un motivetto che Phileas non seppe distinguere, ma alcune note erano così stonate e aspre che si dovette massaggiare le orecchie.
Il professore si stiracchiò “Un tipo bizzarro, non trova Relish?”
“Preferirei non commentare, professore” mormorò il giovane “Tutto quello che potrei dire non sarebbe da gentiluomo.”
***
Con passo spedito Phileas si infilò tra le porte del municipio. Ogni movimento delle gambe era accompagnato da un fruscio troppo simile a uno strappo. Perché i suoi pantaloni migliori erano anche quelli più stretti?
Il pavimento prese a scricchiolare, e il giovane si volse da una parte all’altra per cercare qualche indicazione. Ma dov’era quell’aula magna?
Tese le orecchie. Da destra veniva una voce smorzata. Non poteva essere lontano.
Si affrettò. Giusto in fondo al corridoio c’era una porticina consumata da cui proveniva il suono. Si asciugò il sudore dalla fronte e si spazzolò la giacca con le mani. Non poteva permettersi di non essere presentabile.
Abbassò la maniglia e spinse con delicatezza, nel tentativo di ridurre al minimo ogni cigolio.
“Il meraviglioso momento storico in cui viviamo, la nostra Belle Époque, se mi permettete il francese…”
L’uomo che parlava indossava gilè e pantaloni neri, aveva la sommità del capo calva ed il volto incorniciato da folte basette grigiastre. Doveva essere il dottor Praiseworth.
Parlava sopra un piccolo palco rialzato, appoggiato con una mano ad una scrivania dietro di lui. Era rivolto verso una serie di spalti ciascuno rialzato rispetto al precedente. Tutti i posti a sedere erano occupati da una folla di gentiluomini ben vestiti. Quasi tutti avevano capelli radi e lunghe barbe bianche.
Nella tasca di Phileas, le sue dita fremettero e strinsero gli occhiali. Dov’era il professore?
“Ogni giorno siamo più vicini ad abbandonare le superstizioni del passato. Io sogno un mondo in cui non si venerano presunti miracoli di santoni e ciarlatani, ma reali prodigi compiuti dalla Ragione umana! Tutti noi, colleghi, stiamo creando un luminoso futuro per l’umanità!”
Ecco la cravatta verde del professore, nella prima fila, identica a quella che Phileas aveva al collo. Fece scivolare la porta fino a chiuderla. Si mosse contro il muro, nel tentativo di non attirare l’attenzione.
“E sono certo che, dopo aver visto la mia invenzione, sarete concordi con me su quanto sia enorme il passo che l’umanità si appresta a compiere”
Praiseworth si accarezzò il lato della testa. Un mormorio si sollevò dal pubblico.
Phileas si trovò davanti agli spalti, ma doveva superare quattro o cinque persone prima di raggiungere il professore.
“Si sposti, giovanotto, mi blocca la vista!” strepitò un vecchio con le guance cascanti come un bulldog.
“Domando scusa” mormorò Phileas, e si chinò.
Raggiunse infine lo scranno di Chapman “Professore, ho visto che aveva dimenticato i suoi occhiali e sono andato a riprenderli…”
Lui annuì e li agguantò con piglio deciso “Vai con gli altri assistenti, Relish” fece una smorfia “Lì, sulla sinistra”
Phileas annuì. Strano, il buon professore era molto più brusco del solito. Forse perché ci aveva messo troppo ad arrivare? O era perché lo aveva disturbato mentre seguiva il discorso?
Poco più avanti c’era una mezza dozzina di ragazzi più o meno della sua stessa età. Si mise accanto a un grassottello che scarabocchiava a tutto spiano su una manciata di fogli. Estrasse il suo taccuino rosso e la matita. Perfetto, era pronto.
Ma cos’era quello strano odore? Phileas arricciò il naso. Era… sudore e fuliggine? C’era in effetti un uomo di mezz’età, alto e sporco, alle spalle di Praiseworth e di un suo assistente in camice.
Lo straccione indossava abiti beige logori e teneva tra le mani un cilindro nero con una vistosissima toppa marrone.
Proprio in quell’istante Praiseworth lo indicò con il braccio “Il signor Moody, qui, viene direttamente da Whitechapel, a Londra. Dico bene, signor Moody?”
Lui annuì con foga “Sì, signore” parlava mangiandosi le parole “White… Whitechapel, sissignore”
“E mi dica, signor Moody… lei sa leggere e scrivere?”
Moody si morse le labbra. Non disse nulla, ma prese a tormentare la tesa del suo cilindro con le dita.
Phileas si portò la mano sul retro del collo. C’era un dannato spiffero che gli arrivava proprio addosso. Non si era reso conto della finestra aperta accanto a lui. Certo che quel giorno gli capitava di tutto, pur di non lasciarlo concentrare. Traslò di qualche passo verso destra.
“Non c’è problema, signor Moody, non c’è problema. Mi dica, lei va a messa?”
Moody scattò sull’attenti “A messa… sissignore! Ogni Domenica, signore”
Le labbra di Praiseworth si allargarono in un ampio sorriso “Eccellente, signor Moody, eccellente. Quindi, per dire, lei saprebbe citarmi” estrasse un foglietto “Il libro del profeta Ezechiele, capitolo 28, paragrafi 3 e 4?”
Moody si umettò le labbra “E… Ezechiele? Era… ‘Dio salvi la Regina’?”
Un riso scrosciante si levò dalla platea degli spettatori. Alcuni dei presenti si piegarono in avanti, altri affondarono gli occhi nella mano scossi da un tremolio, uno addirittura batté il pugno sul banco. Lo stesso Phileas non riuscì a trattenere un risolino. Ma il professor Chapman no. Le sue labbra si serrarono, e sulla fronte gli comparve una ragnatela di rughe. Phileas tossicchiò e si riassettò la cravatta. Il professore aveva ragione. Non era il caso di perdere il contegno.
Il pover’uomo da Whitechapel deglutì e abbassò lo sguardo.
“Signori, signori, vi prego” Praiseworth fece un passo verso il pubblico “Non possiamo certo farne una colpa al povero signor Moody” gettò le mani in aria “Quante persone nel nostro glorioso Impero si trovano nella sua medesima condizione? Quanti uomini sono talmente poveri da non poter trovare il tempo necessario per un’erudizione anche elementare?”
Le risate si spensero. Praiseworth si mise a camminare sul palco “Sua Maestà, nella sua saggezza, ha voluto promuovere l’istruzione anche presso le classi meno abbienti, ma quanti anni saranno necessari perché si ottengano dei risultati, se mai ve ne saranno?”
Phileas annuì. Non si poteva dire che avesse torto. La povertà costringeva molti bambini a lavorare, e non avevano modo di pagarsi i libri e il materiale per studiare. Le regali misure avevano un alto rischio di essere solo soldi buttati.
“Ebbene, io sono qui per dare una risposta al problema”
Phileas sgranò gli occhi, fremente. Gli altri assistenti radunati si ammassarono, si piegarono in avanti e si alzarono sulla punta dei piedi per vedere meglio.
L’aiutante di Praiseworth portò davanti alla cattedra un carrello coperto da un velo. Il rigonfiamento celato era grade all’incirca quanto un cocomero. Un momento… quella figura esile… ma quel giovane era Wilkins! Perdiana, era proprio lui! Peccato avere perso i contatti, da quando Phileas era diventato assistente di Chapman. A sapere che lavorava per Praiseworth gli avrebbe chiesto i dettagli dell’invenzione in anteprima. Avevano tanto di cui parlare…
“Signori” il dottore afferrò il telo “Vi presento l’Accrescimente!”
Con un gesto fulmineo levò il telo, rivelando un casco di metallo pieno di lampadine e di fili che si intrecciavano tra loro come ragnatele. C’era anche una grossa leva grigia posta sulla fronte.
Phileas infilò la matita nel taccuino e abbassò le mani. Per certe invenzioni era doveroso prestare la massima attenzione. Era come essere di nuovo all’Esposizione Universale!
Wilkins portò una sedia su cui fece accomodare Moody.
Praiseworth sorrise “Finalmente basta il potere della scienza per trasmettere il sapere. Grazie alla mia invenzione, procederò a trasmettere l’intera Bibbia edita da Re Giacomo nella testa del simpatico signor Moody”
Un coro di “Ooh” a mezza voce si alzò dai professori e dagli assistenti. Di sicuro anche il professore avrebbe condiviso tutto quell’entusiasmo. Phileas si voltò.
Chapman era seduto sulla sua poltrona, a differenza di molti altri che erano in piedi, e aveva le braccia incrociate e lo sguardo corrucciato. Forse pensava che non avrebbe funzionato? Oppure… no, Phileas non poteva credere che il suo professore potesse essere invidioso del successo di Praiseworth, anche se erano rivali. Il progresso è progresso, a prescindere dalle antipatie personali.
Wilkins posò il casco sulla testa della cavia, e iniziò ad armeggiarci. Il serpeggiare delle cinghie e il meccanico cigolare degli ingranaggi erano gli unici suoni a riempire l’aula. Si volse verso il dottor Praiseworth.
“Procedi, Wilkins”disse l’inventore.
L’assistente tirò la leva.
Ci fu una scintilla, poi qualche scossa. “Signore” mormorò Moody “È sicuro che…”
Risuonò un crepitio elettrico, e le lampadine iniziarono ad accendersi e spegnersi. Moody si morse il labbro, i suoi occhi rotearono all’indietro e cadde riverso sulla sedia.
Risuonò il tonfo di un colpo sul legno. Il professor Chapman era scattato in piedi, la mano stretta alla ringhiera dello spalto fino a farlo scricchiolare.
“Praiseworth!” esclamò “Se succede qualcosa…”
“Non c’è niente da temere, professor Chapman” Praiseworth con un passo si posizionò di fronte alla cavia “Il signor Moody starà benissimo. La procedura richiede solamente qualche minuto.”
Un mormorio echeggiò tra gli spalti. Non era stato molto convincente. Phileas si strinse contro il muro. Non sapeva proprio cosa pensare. Di sicuro non voleva che succedesse niente di brutto al signor Moody, d’altra parte il dottore conosceva bene la sua invenzione, poteva essere soltanto un problema momentaneo.
L’assistente grassoccio accanto a lui lo urtò, e gli strappò un gridolino di sorpresa “Che diavolo…?” mormorò Phileas irritato. L’altro non disse niente. Il suo sguardo era rivolto verso la finestra, da cui si sporgeva un volto sporco e arcigno.
Il vecchio paesano! Cosa ci faceva lì? D’istinto Phileas strisciò contro il muro, per allontanarsi, poi scrollò le spalle. Che quel vecchio pazzo facesse quello che gli pareva. Non meritava neanche di ricevere attenzione.
“Colgo l’occasione” disse Praiseworth con un ampio sorriso “Per spiegarvi una volta per tutte perché ho scelto di convocarvi qui, in un paesino un po’ disperso e fuori dal mondo e non in qualche Università che senza dubbio sarebbe stata più degna di accogliervi”
Un piccolo colpo di tosse venne da un signorotto paffuto in prima fila. Il suo completo era stinto e liso. Alla sua destra e alla sua sinistra sedevano un paio di guardie in divisa.
Praiseworth si portò le mani al petto “Mi perdoni, signor sindaco. Lungi da me il proposito di risultare offensivo, anzi. Stavo giusto per elogiare la sua iniziativa di rendere Wildprey un vero nucleo di modernità, un’avanguardia per tutto il mondo”
L’ometto si distese sulla sedia, e annuì soddisfatto.
“Ebbene sì, signori” Praiseworth allargò le braccia “Ho il piacere di annunciarvi che proprio qui sorgerà la fabbrica che produrrà in massa gli Accrescimente! Domani stesso inizieranno i lavori, e siete tutti invitati ad assistere. Seguirà ovviamente un rinfresco con le migliori cacciagioni locali” ridacchiò “Pensate un attimo però all’ironia. Al posto di una foresta madre di antiche superstizioni, di qui a qualche mese…”
“Non può farlo!” berciò l’aspra voce del paesano.
Praiseworth si interruppe. Le sedie del pubblico cigolarono quando gli astanti si volsero nella direzione del disturbatore. Questo, paonazzo, bofonchiò “Non potete farlo! Nessuno può!”
“Mio anonimo amico” Praiseworth allargò le braccia “Odio contraddirla, ma tutti i regolari documenti sono stati compilati da tempo. Le posso assicurare che legalmente…”
“Quella foresta è sacra!” tuonò il paesano “È sacra, vi dico! Se vi avvicinate… se tentate di disturbarla…”
“Insomma!” parlò una voce profonda e gutturale. Il sindaco era in piedi, e agitava le braccia in aria “Non tollero che si interrompa un evento così importante per la nostra comunità! Se ne vada subito, immantinentemente!”
“Sarete maledetti!” gridò il vecchio “Sarà la vostra fine! Fermatevi finché siete in tempo!”
“Quando è troppo è troppo!” il sindaco, imperioso, alzò un dito “Argus, Smith! Arrestate quest’uomo! Una notte in gattabuia gli farà tornare il senno.”
Le due scattarono in piedi, e con passo rapido si diressero fuori dalla stanza. Relish scosse la testa. Se l’era proprio cercata.
Il vecchio sospirò “Io vi ho avvertito. Ricordate che vi ho avvertito!” poi scomparve dalla finestra. Phileas si sporse per cercarlo, ma aveva già voltato un angolo.
Un fischio simile a quello di una locomotiva fece voltare tutti verso l’Accrescimente.
“Miei stimatissimi colleghi e miei cari ragazzi” Praiseworth strizzò l’occhio “Non lasciamoci distrarre da queste inezie. Quello che avete appena sentito è il segno che l’Accrescimente ha terminato il suo compito”
Wilkins tolse il casco dalla testa del signor Moody e lo aiutò ad alzarsi. L’uomo girava la testa da una parte all’altra come uno stralunato, ma a parte questo non aveva niente di strano.
“Signor Moody, torniamo alla domanda di poco fa” Praisewort riprese il foglietto dalla tasca “Mi dica cosa dice il profeta Ezechiele, paragrafo 28 versetti 3 e 4”
Moody si raddrizzò come un palo. Scosse la testa con vigore in su e in giù, poi disse con voce ferma: “Ecco, tu sei più saggio di Daniele, nessun segreto ti è nascosto. Con la tua saggezza e la tua intelligenza hai creato la tua potenza e ammassato oro e argento nei tuoi scrigni”
Phileas spalancò la bocca. Che invenzione geniale! Che incredibile prodigio! Uno scrosciante applauso si levò dalla folla, e Phileas si aggiunse, col cuore che gli batteva fortissimo.
Praiseworth alzò una mano “Colleghi, vi chiedo di contenere l’entusiasmo ancora per un istante. Per quanto ne sapete potrei avere istruito quest’uomo per farvi una crudele burla.” si voltò verso il suo aiutante “Wilkins, prendi la Bibbia che ho lasciato nel cassetto, se non ti dispiace”
Wilkins frugò nella scrivania ed estrasse un voluminoso libro rilegato in rosso.
Praiseworth continuò “La parola a voi, colleghi. Sentitevi liberi di richiedere altri passi al gentile signor Moody. Arthur, qui, controllerà che le risposte siano corrette. Se per caso vorrete sincerarvi dell’onestà intellettuale del mio giovane aiutante, sentitevi liberi di venire qui a vedere voi stessi.”
Si alzò un professore dalla lunga barba giallastra “Saprebbe dirmi cosa dice il libro dei Proverbi, capitolo 19 versetto 21?”
Moody schioccò la lingua “Morte e vita sono in potere della lingua e chi ne fa buon uso ne mangerà i frutti.”
L’assistente di Praiseworth aprì la sua Bibbia, sfogliò alcuni blocchi di pagine, prima più grandi poi sempre più piccini e infine esclamò “La citazione è corretta”
Un omino dal naso adunco disse con voce un po’ tremante “Magari… il libro del Siracide 4, 12?”
Le dita di Moody tambureggiarono a mezz’aria: “Chi ama la sapienza ama la vita, chi la cerca di buon mattino sarà ricolmo di gioia.”
“È corretto!”
“Proverbi 21… versetto 16”
Moody fu scosso da un forte tremito: “L’uomo che si scosta dalla via della saggezza, riposerà nell’assemblea delle ombre dei morti.”
“Isaia 44, 18!”
“Non sanno né comprendono; una patina impedisce ai loro occhi di vedere e al loro cuore di capire.”
Moody strabuzzò gli occhi. Il suo volto si era fatto pallido. Si appoggiò con le mani sul tavolo dietro di lui e deglutì.
“Bene, signori” la voce di Praiseworth si alzò imperiosa “Il nostro amico è un po’ scosso… è un piccolo effetto collaterale, niente di serio, domattina sarà vispo come un grillo, ma per ora è il caso di farlo riposare. Oh, mio caro Chapman”
Il professore si era alzato, e camminava verso di lui con passi pesanti. Come mai quello sguardo così irritato? Come si poteva non applaudire di fronte a un portento del genere?
La porta si aprì cigolando. Le due guardie del sindaco rientrarono con lo sguardo basso e le braccia dietro la schiena.
Praiseworth incrociò le braccia e rivolse al professore un sorriso compiaciuto “Ebbene, professore? Che ne pensa della mia creazione?”
Chapman non disse nulla, mentre intorno a lui riecheggiavano i commenti entusiasti dai palchi. Si sistemò gli occhiali sul volto, poi si schiarì la voce: “Vorrei chiedere un’ultima citazione al signor Moody, se se la sente”
Phileas deglutì. Perché c’era tutta quella tensione?
Praiseworth ridacchiò: “Sono certo che può sopportarla. Chieda pure, professore”
Chapman alzò la voce, ma mantenne lo sguardo fisso sull’inventore del casco: “Lei prima ha chiesto di citare Ezechiele 28, se non ricordo male. Ha scelto proprio un bel passo, ma ha tralasciato dei punti importanti.” si schiarì la gola “I versetti 5 e 9 dello stesso paragrafo”
Moody batté a ripetizione entrambe le mani sulla cattedra: “Con la tua grande sapienza e i tuoi traffici hai accresciuto le tue ricchezze, ma per le tue ricchezze si è inorgoglito il tuo cuore.” i suoi occhi batterono a raffica “Ripeterai ancora: “Io sono un dio”, di fronte ai tuoi uccisori? Ma sei un uomo e non un dio, in balìa di chi ti uccide” barcollò fino alla sedia e ci si gettò sopra, stremato.
Chapman fece ancora un passo avanti. Il suo viso era a pochi centimetri da quello di Praiseworth. “La citazione è corretta” mormorò il professore, poi si diresse verso l’uscita.
Phileas aveva la fronte sudata. Intorno a lui i professori discutevano tra loro con foga, facevano la fila per andare a stringere la mano a Praiseworth o per fargli qualche domanda. Tutti loro appena assistito all’ennesimo miracolo della scienza, perché Chapman non era il primo a complimentarsi?
Praiseworth sorrideva, serafico e soddisfatto. Phileas bruciava dalla voglia di fermarsi per chiedergli qualche spiegazione sul funzionamento del casco, ma doveva parlare con il professore. Girò con circospezione intorno alla ressa di scienziati. Quando fu vicino alla porta, alle sue spalle il sindaco sbraitò rivolto alle guardie: “Che significa che non siete riusciti a trovarlo?”
Phileas uscì dalla stanza.
“Ci dispiace signore, quando abbiamo svoltato l’angolo non c’era più, e non c’erano tracce sulla strada”
Il giovane richiuse la porta, e si incamminò lungo il corridoio.
Davvero il professore stava lasciando che il suo astio personale con Praiseworth oscurasse ai suoi occhi la genialità dell’Accrescimente? Aveva accennato ad alcune sue divergenze con il dottore, ma Phileas lo aveva sempre creduto una persona più razionale di così. Doveva parlargli. Di sicuro sarebbe stato in grado di calmarlo, di fargli capire quanto quell’invenzione avrebbe contribuito al progresso dell’umanità. Mantenne un passo lento. Lo avrebbe raggiunto in albergo. Meglio dargli il tempo di sbollire un attimo.
***
Relish bussò alla porta di legno rosso.
“Avanti!” provenne con tono seccato dall’altra parte, insieme a tonfi di passi irregolari. Phileas trasse un profondo respiro, e picchiettò col piede sul pavimento. Andava tutto bene, non era la prima volta che il professore perdeva le staffe.
Aprì la porta. Chapman stava riponendo le sue calze nella valigia aperta sul letto. “Oh Relish” mormorò “Bene, bene. Mi passerebbe la cappelliera là in alto, per favore?”
Phileas seguì con lo sguardo il dito fino alla mensola. Afferrò uno sgabello. Meglio non contrariarlo, e introdurre l’argomento poco alla volta.
Chapman mise a posto l’ultima camicia “Quell’arrogante! Vanesio! Sempre detto che era un farabutto! Senza rispetto per niente… ” si allentò la cravatta “E per nessuno! E quegli altri balordi, poi…” Phileas gli porse la cappelliera “Grazie, Relish. Idioti dal primo all’ultimo!”
Il giovane sollevò un sopracciglio “Vuole partire subito, professore? Non preferisce farsi una passeggiata e prendere un po’ d’aria?”
Chapman digrignò i denti “E perché dovrei? Il solo pensiero di ciò che ha in mente quell’uomo mi ha guastato persino la bellezza del posto. Prima ci lasceremo alle spalle quella carogna e i suoi biechi propositi, meglio sarà per noi.”
Phileas deglutì “Non crede che magari se si prendesse un momento potrebbe essere più tranquillo?”
Il professore incrociò le braccia “Cosa vorresti dire, Relish?”
Doveva prendere tempo. Poco per volta, poco per volta: “Professore, concordo con lei che l’atteggiamento del dottor Praiseworth possa essere stato un po’ troppo… pieno di sé”
Il professore bofonchiò qualcosa di inintelligibile.
Phileas si accarezzò la cravatta “Però si trattava comunque di una presentazione davanti a un pubblico di illustri colleghi. Non poteva, come dire, mostrarsi dubbioso o incerto. Se lo sarebbero mangiato vivo”
Il professore fece un passo indietro “Relish” la sua voce tremava “Non mi dirà che lei ha apprezzato quell’indegna pagliacciata”
Diamine, aveva già mangiato la foglia! C’era da aspettarselo. Phileas ondeggiò la testa “Credo soltanto che una dimostrazione non sia un esperimento. Praiseworth già sapeva che l’invenzione funzionava, quindi si è permesso di essere un po’ meno umile di quanto sarebbe stato consono. Non è un crimine”
“Il crimine” tuonò Chapman “È come ha ridotto quel pover’uomo! Gli ha fritto il cervello, lo hai visto. Probabilmente non sa più neanche come si chiama”
Phileas indietreggiò, ma urtò contro il pomello dell’armadio. Si morse il labbro per non imprecare e si accarezzò la spina dorsale “Non può saperlo, professore. Magari è solo un effetto collaterale temporaneo”
La vena del collo del professore si gonfiò “Anche la distruzione di quella foresta è un effetto collaterale temporaneo, Relish?” tastò dietro di sé finché non trovò una sedia, su cui si lasciò cadere “Ha un valore immenso per gli abitanti. Mi ha detto lei stesso che fa parte di una tradizione più che millenaria” sbuffò “Vogliamo lasciargli distruggere un gioiello unico in tutta l’Inghilterra solo per dargli l’occasione di giocare a fare Dio?”
Il giovane batté il pugno sul tavolo: “È un prezzo che vale la pena pagare!”
Il professore lo fissò gli occhi sbarrati e bocca spalancata. Phileas si morse la lingua. Aveva esagerato. Era il dolore alla schiena, lo stava uccidendo. Scosse la testa “Mi perdoni, professore, non volevo alzare la voce. Cerchi però di immaginare il mondo che si potrebbe creare con l’invenzione del dottor Praiseworth, e mi dica se non vale la spesa di una piccola foresta.”
Il professore non cercò di interrompere, ma chinò il capo, e strinse i pugni sulle ginocchia. Forse avrebbe dovuto lasciar perdere. No, farlo avrebbe significato dover partire senza aver avuto l’occasione di confrontarsi con Praiseworth o Wilkins “Pensi a quanto potrebbe migliorare l’insegnamento nelle scuole. Niente più favoritismi da parte degli insegnanti, si potrebbe garantire un’educazione uguale per poveri e ricchi.”
Le immagini del futuro promesso dall’Accrescimente gli comparivano davanti, sempre più vivide, sempre più a portata di mano. Continuò, a ruota libera: “E pensi a quanti geniali ricercatori ci sono che preferirebbero condurre una vita solitaria. Sarebbero liberi di diffondere le loro scoperte senza bisogno di partecipare a fiere o esposizioni, ma in maniera altrettanto efficace.” si sfregò le mani “Per insegnare basterebbe un semplice addetto ad avviare la macchina! Niente più ore e ore di corsi, niente più esami! Pensi a quanto tempo si risparmierebbe”
Il professore, pallidissimo, alzò la testa e Phileas tacque. “E non ci pensa, Relish” si tirò in piedi e si umettò le labbra “Non ci pensa al fatto che in un mondo del genere io e lei non ci saremmo mai conosciuti?”
Il giovane assistente trasalì. Non ce la fece a reggere quello sguardo.
“Non crede” mormorò il professore “Che se non le avessi mai fatto lezione non l’avrei mai notata tra i suoi compagni, e non l’avrei mai scelta come assistente?”
La domanda cadde nel vuoto. Phileas cercò le parole per rispondere, ma non riuscì a pensare a nulla.
“E non ritiene” Chapman nascose le labbra dietro alla mano “Che le mie lezioni siano qualcosa in più del semplice trasmettere informazioni? Che ci sia anche qualcosa di molto più umano nelle ore che passo nella mia aula, quando rispondo alle domande, quando mi interrompo per raccontare qualche curiosità, oppure quando faccio finta di non accorgermi che i miei studenti si sussurrano qualcosa o che sono sul punto di addormentarsi?”
Phileas picchiettò il piede sulle assi irregolari del pavimento, che scricchiolarono. “Ma…” le parole non vennero “Ma…”
“Phileas” il professore gli era davanti, con gli occhi umidi. “Se tu avessi avuto l’occasione di utilizzare la macchina di Praiseworth al posto di frequentare il mio corso… lo avresti fatto?”
Phileas deglutì. Non era per niente una risposta facile. Ma non poteva mentire al suo professore. “Con quella macchina le avrei fatto risparmiare molto tempo, professore”
Le sopracciglia del professore si inarcarono “Se è così, Relish, io non le ho insegnato niente!”
Il giovane tese la mano “Professore…” mormorò.
“Se ne vada!” il vecchio gli voltò le spalle, e chiuse di scatto la valigia “Se ne vada immediatamente, Relish. Da questo momento lei non è più il mio assistente”
“Non intendevo…”
“Non un’altra parola, Relish!” Il professore afferrò la sua pipa come se fosse una pistola “Via di qui! Vada dal suo diletto dottor Praiseworth, offra a lui i suoi servigi” scosse la testa, mentre una lacrima gli solcava la guancia “Evidentemente è molto più in linea con la sua idea di progresso che con la mia”
Phileas strinse i pugni. “La stimavo, professore” disse con voce rotta “Ma forse non è la persona che credevo”
“Fuori, ho detto!” strepitò il vecchio.
Non c’era nient’altro da dire. In poche falcate Phileas fu alla porta, e la sbatté dietro di sé. Un altro passo e fu alla sua stanza.
Si sedette su una poltrona sfondata. Perché, perché il vecchio si rifiutava di capire quanto bene poteva portare l’Accrescimente? Perché doveva essere così retrogrado e ottuso?
Ed ora lui si ritrovava senza più neanche un appoggio nell’Università.
Dannazione!
Si afferrò la cravatta, la cravatta verde che Chapman gli aveva donato quando lo aveva accettato come assistente. Se la strappò dal collo.
Da oltre la porta vennero uno strascichio e alcune imprecazioni. Il professore se ne stava davvero andando.
Phileas si alzò e chiuse a chiave. Che si trovasse un altro, allora, magari qualcuno nostalgico del Medioevo quanto lo era lui.
Strinse i pugni. Non avrebbe rinunciato alla carriera universitaria per colpa di quel pezzo da museo!
Non era ancora detta l’ultima parola. Forse a Praiseworth sarebbe servito altro assistente. E dopotutto Phileas conosceva giusto giusto la persona adatta per farsi presentare. Meglio andare subito? No, ci sarebbe stata una gran ressa, e probabilmente Wilkins avrebbe avuto molto da fare per organizzare l’evento del giorno dopo. Meglio cercare di contattarlo poco prima dell’inaugurazione dei lavori.
***
Phileas chinò la testa di lato: “Pssst!”
Wilkins non diede segno di avere sentito. Rimase serio e impettito sul palchetto, alla sinistra di Praiseworth, mentre il dottore dava indicazioni a dei robusti taglialegna.
Phileas scosse la testa. Tra lui e il suo amico c’erano il sindaco, le sue guardie e una trentina di persone in giacca e cravatta tutte ammassate, gli scienziati e i loro assistenti. Sarebbe stato inopportuno passare davanti come se nulla fosse.
Si asciugò la fronte con un fazzoletto. Oltre a tutto, faceva caldo. Neanche una nuvola in cielo che potesse concedere un po’ di penombra. Diede un calcio a un sasso. Non poteva perdere tempo. Il momento migliore per parlare col dottor Praiseworth sarebbe stato alla fine dell’evento, e gli serviva l’aiuto di Wilkins per fare una buona impressione.
Sbuffò e colpì un altro sasso, ma sbatté il mignolo. Trattenne un gemito per non attirare l’attenzione, e si chinò a massaggiare il piede. Ma con tutti i sassi piccoli che c’erano, perché ne aveva calciato uno così grande?
Idea!
Avrebbe potuto usar alcuni dei sassi più piccoli per attirare l’attenzione di Wilkins. Ne prese una manciata, grandi meno delle sue unghie. Gli altri scienziati erano tutti impegnati a parlottare tra loro, con un po’ di fortuna non si sarebbero accorti di nulla.
Chiuse la mano a pugno e mise un sassolino sul pollice. Lo fece scattare come una monetina. Atterrò a mezzo metro da Wilkins. Il secondo gli arrivò a pochi centimetri dalle scarpe.
Ancora un tentativo. Questo colpì Wilkins sulle gambe, e finalmente il ragazzo si volse verso Phileas. L’ex assistente di Chapman agitò la mano, poi indicò alle sue spalle, per fargli capire che voleva parlare in privato.
Wilkins sussurrò qualcosa al dottor Praiseworth, poi scese dal palco. Phileas lasciò cadere a terra gli altri sassolini e si allontanò dalla folla. Lasciò lo spiazzo dove erano tutti riuniti e si diresse verso un posto in disparte tra i primi aceri, lontano dalla calca. Le sue scarpe di vernice calpestarono foglie secche e rametti strappati. Strinse i pugni. Certo che se avessero detto prima che ci sarebbe stato un evento nel bosco lui si sarebbe portato degli stivali meno eleganti, per il ricambio…
Wilkins lo raggiunse con un sorriso sul volto: “Ehi, Relish, da quanto tempo! Ti avevo intravisto ieri, ma alla fine della presentazione non sono riuscito a trovarti”
Phileas si schiarii la gola “Sì, ho avuto… una questioncina da sistemare”
Wilkins infilò una mano nel panciotto “Capisco, capisco. Sei sempre l’assistente di Chapman, giusto? Ti tratta bene?” Il suo tono era gentile, ma c’era una punta di gelido nella sua voce.
Phileas si strattonò il papillon “In realtà… non proprio, no.” si morse il labbro “Non direi. Non più.”
Il suo vecchio amico estrasse il suo orologio e iniziò a farlo roteare. Phileas scroccò le nocche.
“Buon pomeriggio, colleghi” la voce di Praiseworth interruppe il silenzio. La presentazione stava cominciando, non c’era più tempo da perdere: “Ascolta, Wilkins, in realtà proprio ieri ho… avuto un’accesa discussione con il professor Chapman”
Wilkins si accarezzò il mento. Un invito a continuare “Il fatto è che sono rimasto veramente colpito dall’Accrescimente del dottor Praiseworth. Credo che possa davvero rivoluzionare il mondo. E… mi piacerebbe fare parte di questo cambiamento, tutto qui.”
Wilkins gli diede una pacca sulla spalla “E bravo il nostro Relish!”
Sorrideva, più di prima. Nei suoi occhi c’era la stessa luce di quando erano saliti sulla Tour Eiffel “Non preoccuparti, mio caro. Che razza di amico sarei se ti lasciassi finire a chiedere l’elemosina nelle strade di Londra? Convincerò il dottor Praiseworth a trovare un ruolo per te”
Le dita di Phileas tremarono “Davvero?” la voce gli uscì alta e un po’ stridula “Davvero lo faresti?”
“Stai scherzando? Questo e altro” Wilkins lo spinse verso la radura “Dopotutto tu hai un curriculum non da poco. Sei stato l’assistente di Chapman per diversi mesi, se non erro…”
Phileas annuì frenetico “Esatto!”
Wilkins sogghignò: “Quindi saprai molte cosucce sulle sue attuali ricerche, e non credo ci sia al mondo persona più interessata a questo del dottor Praiseworth. È una vecchia volpe, credi a me. Ora andiamo, che se no ci perdiamo tutto il discorso”
Accelerò il passo e lo distanziò in un attimo. Phileas lo seguì, ma più piano. Si massaggiò un braccio. Era una prospettiva fantastica, però… non sarebbe stato come tradire il suo professore? Scosse la testa. Era stato Chapman ad abbandonarlo, non gli doveva più niente!
La voce di Praiseworth arrivava distante e troppo confusa per distinguere le parole. Meglio non perdere altro tempo.
Trovò un posto nella calca. Gli occhi di tutti erano fissi sull’inventore. I taglialegna stavano alle sue spalle, le asce appoggiate ai tronchi più vicini. Erano una decina, tutti giovani e robusti. Un po’ pochi per abbattere tutta la foresta, ma forse erano soltanto quelli per l’inaugurazione, e ne sarebbero arrivati altri nei giorni seguenti.
“E così, in questo giorno” Praiseworth distese le braccia, trionfante “Assestiamo un colpo di grazia alla superstizione che troppo a lungo ha albergato in questa foresta, e facciamo spazio al progresso!”
Phileas batté le mani, poi l’applauso si diffuse presso tutti gli astanti. Era tutto così grandioso!
“Vi prego, vi prego” Praiseworth si inchinò “Siete troppo buoni, troppo buoni, colleghi. Mi farete arrossire. Ed ora… procediamo!” si voltò verso i taglialegna e alzò il pollice. Le asce vennero sollevate, e si schiantarono contro i tronchi con dei tonfi netti.
I colpi si susseguirono veloci e precisi. Frammenti di legno e segatura caddero per terra.
Praiseworth batté le mani “Quanta determinazione, che spirito! Colleghi, che questi giovani siano d’esempio per tutti noi. È nostro dovere dedicarci alla ricerca con…”
Lasciò la frase a metà. Si era levata una lenta musica, accompagnata da un’incomprensibile litania. Phileas socchiuse gli occhi. C’erano sagome bianche nella foresta, non le stava immaginando.
“Per Giove!” bofonchiò qualcuno.
“Ma che significa?” si levò la voce del sindaco “È forse una sua trovata, Praiseworth?”
Il dottore rimase immobile. La sua fronte era aggrottata, le sue gambe erano piegate e si reggeva sul tavolo senza degnare gli astanti di uno sguardo. No, qualunque cosa fosse, non era nel programma.
Dalla boscaglia emerse un corteo di uomini e donne coperti da tuniche bianche. Suonavano arpe, piccoli tamburi, cetre e flauti. La lingua in cui cantavano… Phileas fremette. Era celtico! Celtico brittonico! Le lezioni del professor Ross irruppero con violenza nella sua mente. Le vesti, gli strumenti musicali, lo stile di danza, era tutto una perfetta trasposizione di quello che aveva studiato. Che fossero i diretti discendenti di quelle tribù? Quindi erano… druidi?
Uno dei taglialegna lanciò un urlo strozzato. Cadde per terra, e si trascinò all’indietro con le braccia come un ragno. Dalla spaccatura dell’albero davanti a lui fuoriusciva un liquido rosso e denso. Le sue mani ne erano intrise. “Sangue!” strillò “Questo… questo è sangue!”
Le scuri caddero una dopo l’altra. La sostanza rossastra imbrattava le tute da lavoro ed i taglialegna, pallidi come cenci, si scambiarono occhiate di terrore.
Praiseworth tossicchiò “Sangue? Suvvia, ragazzo mio, questo non è possibile! Si tratterà di linfa, o… ehm…”
Una donna si distanziò dal coro, e avanzò verso il dottore. I suoi ricci capelli color dell’ambra erano raccolti in una treccia che le arrivava fino ai fianchi. Le sue labbra arcigne si disserrarono “È assai arrogante pretendere di distinguere il possibile dall’impossibile!”
Il canto delle figure in bianco si fece più rapido e intenso. La loro danza si chiuse a cerchio intorno ai taglialegna.
La druidessa scagliò le braccia verso l’alto “Ascoltate il mio avvertimento, prima che sia troppo tardi”.
Un fragore provenne dal cielo, mentre le nuvole si addensavano nere. “Interrompete la vostra profanazione! Abbandonate questa foresta sacra, e non tornate mai più!”
Phileas trattenne il fiato. Tutto quello che aveva studiato, tutte le storie sulla magia druidica… possibile che non fossero solo frottole di popoli troppo primitivi per comprendere il mondo? Possibile che ci fosse… qualcosa… che la scienza non poteva davvero comprendere?
Dal cerchio dei druidi si aprì un buco. I danzatori crearono un piccolo passaggio per i taglialegna all’interno, e rimasero a ballare sul posto. Il giovane che per primo aveva gridato scattò in piedi e si mise a correre senza voltarsi indietro. Gli altri, più titubanti, fecero per seguirlo.
“Fermi tutti!” tuonò Praiseworth. Alcuni lo ignorarono e corsero via, ma la maggior parte obbedì. Il dottore fece un passo verso la druidessa “Ho tutti i permessi per abbattere questa foresta. Non ho forse ragione, signor sindaco?”
L’omino si strinse tra le spalle. Tremava come una foglia al vento. Annuì “Sì…” disse con un filo di voce “Sì i permessi… tutto in regola…”
Il dottore puntò il dito contro il terreno “E allora nessuno potrà impedirmi di far procedere il progresso! Di certo non una presunta strega, l’emblema di tutto l’oscurantismo che l’umanità deve imparare a sradicare.”
Phileas mise una mano sul cuore e trasse un profondo sospiro. Ben detto! Non c’era forza che potesse competere con la Ragione umana. Che stupido era stato a lasciarsi suggestionare.
Un fulmine si schiantò in lontananza, e Phileas si coprì la testa. “Uomo” disse la druidessa “Sappi che non avrai un’altra occasione per redimerti dalla tua follia”
“Me ne infischio!” Praiseworth sbatté un piede per terra “Tornate immediatamente al lavoro. Avrete doppia paga! Tripla! Ricordate che state creando un luminoso futuro per l’umanità!”
I taglialegna rimasti afferrarono le loro asce, e le alzarono come un’arma per scacciare i druidi, che però non si mossero.
Phileas si strinse forte le braccia sul petto. Non sarebbe scappato. Non si sarebbe lasciato condizionare da un passato che non aveva più nulla da dire se non menzogne.
“O stolti manovali” la voce della donna era più lenta, come se fosse rattristata “Nonostante il mio avvertimento siete rimasti al vostro posto. Restate dove siete, allora!”
I druidi ripresero la loro danza, sempre più veloce, sempre più sfrenata.
Un taglialegna gemette, e la sua ascia gli cadde di mano. Poi un altro fece lo stesso, e un altro ancora.
“Cosa succede?” gridò uno di loro. Le sue mani si tesero verso l’alto. Sulle dita spuntava una patina verdastra.
“Non posso più muovermi” strepitò un altro “Aiutatemi!”
Le loro urla risuonarono rauche, poi stridule. La loro pelle si fece rossastra, squamosa. No, non erano squame… era corteccia.
La folla di scienziati eruppe in grida di terrore. Phileas aveva la fronte madida di sudore. Avrebbe voluto scappare, ma le gambe tremavano troppo. Non riusciva a voltarsi.
Gli occhi sbarrati di quegli uomini e le loro labbra spalancate senza suono vennero assorbiti dal legno fino a scomparire nei tronchi. I loro vestiti si strapparono, e gli alberi che fino a un minuto prima erano stati i loro corpi crebbero. Spuntarono rami, poi foglie.
Le budella di Phileas si torsero, e cadde a terra in un conato trattenuto a stento. Il vento soffiò con un fruscio di fronde.
“Scappiamo!” si alzò una voce.
Dove andare? Dove scappare? I druidi erano ovunque, bloccavano ogni via di fuga. Da dove diavolo erano apparsi? Non c’era scampo, non c’era più scampo!
Un colpo al fianco, poi un peso sulla schiena. Phileas urlò. Il sindaco era inciampato su di lui. “Via di qui!” strillò l’ometto, si alzò e schiacciò la gamba del giovane per correre via “Presto, presto!”
Phileas sollevò la testa. Praiseworth era caduto in ginocchio sul palchetto “Non è… possibile” mormorò “Non può essere!”
“E voi sedicenti uomini di scienza!” gridò la druidessa “Avete inseguito la vostra sete di conoscenza e gloria senza curarvi di null’altro. In nulla siete dissimili dalle bestie, se non nell’oggetto del vostro desiderio!”
Si alzò una nebbia fredda e fittissima, che inghiottì i druidi e quasi tutta la foresta. Tutto intorno risuonavano ancora le urla e i passi affrettati della folla.
“Correte, dunque, come le bestie che avete scelto di essere!”
Un ululato risuonò alle spalle di Phileas, poi un secondo. Sagome scure si stagliavano tutto intorno, i loro occhi rilucenti come braci. Un urlo provenne da destra, un altro da sinistra. Il cuore di Phileas impazzì, e spinto da chissà quale forza si rialzò e si mise a correre.
Corse.
Le sue braccia brancolarono nel vuoto. I pantaloni si strapparono. Dove stava andando? Dove poteva andare?
Corse.
Ansimò, deglutì aria e saliva. Non poteva fermarsi, non poteva.
Corse.
Intorno a lui soltanto alberi e cespugli.
Corse.
***
Phileas appoggiò la schiena ad un tronco, boccheggiante. Si strinse la mano sul petto. La milza era sul punto di esplodere. Le gambe cedettero, e scivolò lungo l’albero. I pantaloni strisciarono sul muschio, e le sue gambe si bagnarono. C’era odore di legno marcio.
Tossì. Che sete che aveva.
Si asciugò la fronte dal sudore. Le palpebre si socchiusero. No, non doveva addormentarsi! Puntò i piedi e le mani e si rialzò.
Le urla erano cessate. Attorno c’era soltanto un innaturale silenzio.
La luce iniziava a scarseggiare. Di già il tramonto? Doveva aver perso del tutto la cognizione del tempo. O era un’altra magia dei druidi… Estrasse l’orologio, ma il quadrante era rotto.
“Tutto questo…” sussurrò “Non è possibile. Non è scientificamente possibile!”
I suoi passi risuonarono con scalpiccii umidi sulle foglie cadute. Da che direzione era venuto? In che direzione sarebbe dovuto andare?
Tutto intorno non c’erano che alberi, rocce e piccoli arbusti. Lo stomaco gli gorgogliò. Erano ore che non mangiava. Si chinò su un cespuglio di bacche rossastre. Erano commestibili? Forse… no, non poteva correre il rischio.
Un fruscio, poco più avanti. Qualunque cosa fosse era troppo piccolo per essere una di quelle bestie. Phileas rimase accovacciato, e spostò le frasche.
Una sagoma nel terreno! Uno scienziato, forse? Era immobile, cosa gli era successo?
Phileas si sporse.
No, non era una persona. Erano dei vestiti. Giacca, pantaloni, calze, camicia, scarpe e mutande, tutto sparpagliato per terra. Nient’altro.
Venne scosso da un brivido. Si tappò la bocca con entrambi le mani per non gridare. Non poteva farsi trovare, non doveva!
Cosa diamine significava? Uno degli invitati all’evento era impazzito, si era denudato e si era messo a correre per la foresta? O forse era stato trasformato in un albero, come i taglialegna?
Gli abiti erano molto infangati, ma c’era una macchia sulla camicia che risaltava. Phileas ci strofinò sopra il pollice, e il denso liquido ancora fresco si attaccò al dito. Sangue! Ma cosa significava? Era troppo poco per una persona sbranata.
Un riflesso metallico baluginò sul terreno. Phileas si chinò e raccolse l’oggetto. Era un orologio da taschino, con una lunga catenina. Il giovane sbarrò gli occhi. Lo inclinò.
La sempre più debole luce rifletté l’incisione della Tour Eiffel.
Oh, Dio, no! Wilkins! Che cosa gli era successo? Cosa gli avevano fatto?
Gli occhi gli si fecero umidi. Singhiozzò. Wilkins! Il suo amico!
Uno squittio lo fece voltare. Era un animaletto peloso dritto su due zampe. Una donnola. Chinò il capetto di lato. Zampettò nella direzione del giovane.
Phileas arretrò. E se fosse anche quella una bestia magica agli ordini dei druidi? Agitò un piede per scacciarla. La donnola scartò di lato e scomparve tra la boscaglia.
Phileas si rialzò. Donnola magica o no, doveva muoversi. Ogni secondo passato aumentava il rischio che lo trovassero.
Riprese la marcia. Doveva trovare un sentiero, una qualsiasi indicazione. Un fresco alito di vento gli fece battere i denti. Doveva uscire di lì, andarsene da quella foresta maledetta!
Perché gli stava succedendo tutto questo? Tutto quello che voleva era fare parte del progresso che avrebbe creato un mondo migliore. Che c’era di male in quello?
Maledette streghe! Che ne sapevano loro del mondo moderno? Che ne sapevano dei sacrifici che andavano fatti?
“Non è giusto” mormorò “Non è affatto giusto!”
Inciampò in una radice e rovinò al suolo. La bocca fu invasa dall’amaro sapore della terra. Sputacchiò. Che schifo!
E pensare che mentre lui rischiava la vita Chapman se ne stava tornando bel bello a Londra, ovviamente in carrozza, perché il vecchiaccio era troppo antiprogressista per usare un’automobile. Carogna!
Un urlo provenne dalla boscaglia. Si avvicinò. Phileas strinse gli occhi. Che cos’altro poteva ancora succedere?
Un uomo balzò fuori dagli alberi. Stringeva al petto una risma di fogli. Ansimava. Praiseworth!
“Dottore” disse Phileas “La prego, faccia silenzio. Quelle creature potrebbero sentirci”
“L’Accrescimente!” esclamò lui “Non possono avere l’Accrescimente”
Ecco cos’erano quei fogli. I suoi preziosissimi progetti.
Phileas tese la mano verso di lui “Ascolti, dottore, possiamo uscire di qui, ma dobbiamo fare attenzione”
“Non avrai l’Accrescimente!” urlò l’altro “È mio! È soltanto mio!”
Una leggera nebbia si diffuse come un fumo. Una goccia di sudore freddo scivolò lungo la fronte di Phileas, fino alla mascella. “Dottor Praiseworth” mormorò “La prego, non voglio la sua invenzione, ma…”
“È mio!” strepitò, e fece un passo indietro “Sono io il genio. Sono io che creo il luminoso futuro!”
La nebbia si fece più fitta, ed il freddo più pungente. Diverse sagome nere spuntarono dagli alberi, con gli occhi luccicanti di rosso. Ringhiarono, selvaggi. No, no, no!
“Io!” il dottore scappò “Soltanto io!”
Praiseworth andò a destra, Phileas a sinistra.
Il giovane corse, ma subito il dolore alla milza e alle gambe lo travolse. Non poteva seminare quei mostri. Gli alberi si susseguivano tutti intorno. Gli alberi! Quelle creature non avrebbero potuto arrampicarsi.
Si aggrappò al tronco più vicino e fece pressione per alzarsi dal suolo. Afferrò un ramo, che scricchiolò sotto il suo peso. Infilò il piede in una rientranza, e si issò. C’era quasi! Ce la poteva fare.
La caviglia sinistra si lacerò con un dolore che lo fece tremare. Dei denti si erano serrati sulla sua gamba, e il peso in più lo trascinava verso il basso.
Le dita scivolarono sulla ruvida corteccia. Stava perdendo la presa! Con la gamba ancora sana tirò un calcio nel vuoto. Colpì qualcosa di solido, ci fu un guaito ed il peso che lo trascinava scomparve.
Riuscì a tirarsi sul ramo. Sul terreno quelle creature lo fissavano con le fauci spalancate. Erano enormi lupi dalle zanne scintillanti. All’improvviso, senza motivo apparente, le bestie smisero di rivolgergli l’attenzione e si dispersero. Anche la nebbia si dissolse.
La gamba bruciava e pulsava. Stava perdendo molto sangue? Se fosse svenuto sarebbe caduto, e sarebbe stato facile preda di quei mostri. Gli serviva una benda. Qualsiasi tipo di benda…
La camicia! Certo, avrebbe potuto funzionare.
Fece un respiro profondo, per ignorare il dolore. Si tolse la giacca, e la appese al ramo. Poi sbottonò la camicia, ma non appena la tolse una fitta lo fece chinare in avanti e abbracciare il ramo. Il dolore si era spostato al petto e all’altra gamba. Che cosa stava succedendo? Non poteva essere un’infezione, non ne esistevano di così veloci. Veleno? Ma i lupi non erano animali velenosi.
Un’altra ondata di dolore lo pervase. Agitò le gambe. Le scarpe scivolarono giù dai piedi, e atterrarono con due piccoli schianti. Ora gli facevano male anche le braccia, e la testa.
Roteò gli occhi. Ci fu un guizzo sulla sinistra, su un albero a una decina di metri. Era uno scoiattolino. L’animale zampettò dentro un buco nel tronco.
Le gambe prudevano da impazzire. Le strusciò contro il ramo, ma si trovò ingarbugliato nei pantaloni, troppo larghi.
Girò la testa e sollevò la gamba ferita. L’orlo dei pantaloni si piegò verso il basso. Al posto del piede c’era una zampa da uccello, con tre tozzi artigli a triangolo e un quarto rivolto all’indietro. Sopra, la gamba era ricoperta da una strana peluria bianca. No, non erano peli. Erano piume.
Gridò. Un urlo rauco, disperato “Aiutatemi! Vi prego”
Un’altra fitta, alla testa. Strinse i denti.
“Aiuto! Per favore, aiuto!”
Uno scricchiolio nella bocca. I pantaloni gli scivolarono di dosso. Un dente si spezzò. Poi un altro, e un altro ancora. Scivolarono tra le sue labbra irrigidite.
“Aiuto! Ai-uh! Uh! Uh!”
Il ramo gli scivolò via dalle mani piumate.
Il suolo si avvicinò rapidissimo. Chiuse gli occhi.
Sbatté le braccia, no, le ali, e l’impatto non arrivò.
Riaprì gli occhi. Stava volando!
Schivò alcuni alberi che gli si pararono davanti, con facilità, come se l’avesse già fatto più volte.
Cos’era quell’oscuro prodigio? Come poteva tornare all’aspetto umano? Dove poteva andare?
Cosa poteva fare?
Cosa c’era da mangiare?
Ruotò la testa, nel suo volo silenzioso. Nessun movimento, neanche un topolino.
Da un cespuglio balzò fuori una volpe. Era troppo grossa per fargli da preda, meglio aumentare la quota e cercare qualcos’altro. Aspetta, cos’è che aveva tra le zanne? Sembravano delle grosse foglie rettangolari, bianche con schizzi neri sopra. Forse erano buone da mangiare?
Un laghetto! Forse c’erano delle rane.
Mentre sorvolava l’acqua comparve un’altra civetta, che volava a pancia in su. Bizzarro!
Continuò il volo, sul far del crepuscolo.
–
Racconto di Simone Miraldi
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