Nel tetto del portico deve esserci una fessura. Un raggio di sole mi colpisce in piena faccia. Strizzo gli occhi e trascino il sedile a sinistra, al riparo. Allungo la mano verso un dattero. Uso il coltello per togliere il nocciolo, poi me lo metto in bocca. È dolce e appiccicoso da far schifo. Mi lascia le dita tutte attaccaticce, sono costretto a succhiarmele. Diamine, li ho sempre odiati, i datteri.
Una servetta si sporge da una finestra e mi avvisa che la padrona sta per arrivare. Non è niente male, la ragazza. Nella casa di Bahir Ra’ed ci sono fin troppi servitori e belle cose. Non sembra un posto da Deva.
Almeno non le manca nulla.
Sento una porta aprirsi e mi alzo in piedi. Deva è agghindata come una regina. Ha un vestito di lino tinto di azzurro e una tiara d’argento sulla testa.
— Vasil!
Scende le scale in un lampo e mi si tuffa tra le braccia. Vengo investito da un’ondata di profumo speziato.
— Questo posto ti dona. — sussurro, tra i suoi capelli.
Lei si scioglie dall’abbraccio, ma continua a stringermi le mani. Le luccicano gli occhi.
— Quando sei arrivato?
— Ieri notte. — mento.
— Dove hai dormito? Perché non sei venuto qui subito?
Storce un po’ la bocca. Gli occhi, ora, mandano lampi.
— Cazzo, Vasil, non ti vedo da tre anni…
— Già. — sospiro — Che differenza può fare una notte?
— Farò portare qui le tue cose dalla locanda…
— Ci penseremo più tardi.
Deva ride tra le lacrime. Un velo di kohl le cola sugli zigomi.
— Ho così tante cose da dirti… Oggi mi farai compagnia, vero? Ti mostrerò la città…
— Credevo che prima avrei conosciuto tuo marito.
— Bahir è molto impegnato. Lo vedremo al tramonto. — taglia corto lei — Allora, da cosa vorresti cominciare?
È la prima volta che visito Jaaset, la Città di Aset.
— Dal Grande Tempio, credo.
— Ottima scelta. — cinguetta, guidandomi fuori dal cortile — Sei fortunato. Oggi ci sarà una Rinascita.
— Vedrò gli Otto?
— Per così dire… — ridacchia, poi spiega — Nessuno conosce il loro aspetto. Sono mascherati.
Mi trascina lungo una strada invasa da uomini, cani, vacche e carretti. Sul suo polso, al di sotto dei bracciali tintinnanti, intravedo la rondine di Sibanth, un po’ sbiadita. Sento una malinconia sottile.
Deva si accorge del mio sguardo e sfodera il suo sorriso furbo. Non è poi molto cambiata. Con quel naso appuntito e i capelli color del rame assomiglia ancora a una piccola volpe.
Mi sei mancata, Volpina.
Finge di fraintendere la mia espressione.
— Oh, andiamo! Non essere deluso. — esclama — Vedrai Sheetal l’Eletta, Alta Sacerdotessa della Dea e incarnazione di Aset sulla terra. Non è male per il primo giorno.
Pronuncia ogni titolo in uno strano tono, quasi di derisione. Anch’io le sorrido.
— Non sono deluso, anzi, sono curioso.
Sono davvero curioso di vedere l’Eletta. Ne ho sentito parlare in ogni bazar, ogni bardo della città canta di lei.
Il Grande Tempio non è molto lontano dalla casa di Ra’ed, ma è nascosto da due alti muraglioni. Attraversiamo la Porta del Melograno ed entriamo nel cortile. Al centro si è raggruppata una folla rumorosa e coloratissima, che attende sotto il sole infuocato. Nobili vestiti di porpora, donne ingioiellate, bambini scheletrici dagli occhi cisposi, venditori di amuleti.
— Troppa gente. Siamo arrivati tardi. — sbruffa Deva, impaziente.
Per un attimo temo che si metta a pestare i piedi per la stizza, come da bambina.
Proprio davanti a noi c’è un uomo anziano con in braccio un capretto. –È molto magro. Gli stracci che porta addosso non bastano a nascondere le sporgenze ossute dei gomiti e delle scapole. Mentre l’uomo tiene ferma la capra, un altro la sgozza con un pugnale. L’animale fa un solo piccolo lamento, simile al vagito di un neonato. Il sangue zampilla a terra. Faccio due passi indietro.
— Che cosa fanno?
— Un sacrificio. Aset richiede offerte tutti i giorni. È una Dea ingorda.
Quelli che sono più vicini al vecchio si buttano sul corpo dell’animale appena decapitato per intingere le dita nel sangue, tra urla e preghiere. Distolgo lo sguardo. Deva, invece, è impassibile.
— Nei giorni sacri vengono offerti esseri umani.
Rabbrividisco.
— Volontari, schiavi o uomini condannati a morte… — continua Deva.
— Volontari? Sul serio?
Lei annuisce con la testolina fulva.
— Ma certo. Quando la città è in pericolo, i nobili arrivano a offrire a Aset i loro primogeniti, per supplicare la sua protezione.
— E lei li ascolta?
Deva fa spallucce, senza rispondere.
— Voglio sapere il tuo parere, cara Volpina.
— La città è ancora in piedi.
— Hai uno strano modo di parlare della tua nuova Dea.
— Mi chiedo solo cosa succederà quando Aset non esisterà più.
È impossibile fingere, la sorpresa mi mozza il fiato.
Come lo sa?
Lei sorride ancora, scaltra e trionfante.
— Sì, so che gli Dei stanno morendo. Sei qui per questo, non è così?
Abbasso lo sguardo e scuoto la testa, come uno stupido marmocchio sorpreso a rubare dolciumi.
— No, per niente. Sono qui per te.
— Non sei mai stato capace di mentirmi, Vasil, ma possiamo parlarne più tardi.
Alza il mento affilato e finge di osservare la facciata del tempio. Si chiude nel suo mutismo imbronciato.
Cazzo, Deva è così ostinata. Sicuramente ripescherà l’argomento di fronte a suo marito, per mettermi nei guai.
Anch’io mi metto a fissare il grande portone del tempio. Siamo davvero troppo lontani, riesco a intravedere soltanto un trono vuoto, in cima a una scalinata di basalto. Decido di rompere il silenzio.
— Chi è che riporteranno in vita?
— So che era uno delle Lame Nere. È quasi sempre così. Solo chi muore combattendo ha il diritto alla Rinascita.
— Perché?
— Beh, occorre di dimostrare di essere degni. Il prezzo da pagare è alto, lo sai. Una vita costa una vita.

Ho deluso Al’Mavhir, ma non morirò senza onore. La Via del Sacrificio può riconciliarmi con la Dea. Non ci sono altri modi.
Theba Misericordiosa, abbi pietà di me.
Non ho salutato Raddhil. Credevo che lo avrei rivisto presto, al suo ritorno. Un giorno lo incontrerò nelle stanze di Aset.
Sempre che esistano.
Nessuno dei Rinati ricorda le Stanze, lo sanno tutti. Scaccio dalla testa i pensieri blasfemi.
— Bevi.
La bambina avrà otto, forse nove anni. Porta la veste rossa delle sacerdotesse. Mi porge una coppa piena di vino di albicocche.
— Devi berlo tutto.
La svuoto in pochi sorsi. Capelli d’Ancella e Biancopapavero, come mi aspettavo. Il pavimento ondeggia sotto i miei piedi.
— Resta con me. — supplico.
Lei si ritrae ed esce dalla porta. Mi lascia solo.
La stanza in cui mi trovo è immersa nella penombra. La luce del giorno entra da due sottili feritoie. Il fumo dell’incenso si solleva in vortici grigiastri.
Se ora me ne andassi…
Non ho il tempo di concludere il pensiero. Gli Otto entrano dalla porta uno dopo l’altro. Hanno i visi coperti da maschere di bronzo dorato. Uno di loro intona un salmo. La sua voce ha uno strano suono, forse per colpa della maschera. La testa mi gira. Un altro mi sfila la camicia e mi aiuta a sdraiarmi sul fektet. La pietra è liscia e gelida contro la mia schiena. Ci sono delle scanalature che servono a raccogliere il sangue. Il mio sangue. Scoppio a ridere, non riesco a trattenermi. È come se non stesse accadendo a me, come se stessi spiando la scena dal buco di una serratura.
Gli Otto iniziano a camminarmi intorno in lenti cerchi. Pronunciano una cantilena fitta di parole intricate. Sento un torpore piacevole, simile a quello che si prova dopo aver fatto l’amore. Socchiudo gli occhi. Il canto sale di intensità. Sekhma, la Volpe del Deserto, è accanto a me. Riesco a intravedere i suoi occhi attraverso le fessure della maschera. Le sue iridi sono di colori diversi: una castana, l’altra zaffiro. Nella mano destra stringe un coltello ricurvo. Di colpo ho paura.
No, non voglio morire.
— No, no, no, no…
Scopro che mi hanno legato. Gli strani occhi della Volpe sono fissi nei miei. Non sento dolore, solo il freddo del metallo.

Il popolo si è già radunato fuori dal tempio. Posso sentire il fragore delle voci che sale e scende, come l’urlo del mare in tempesta. Attendono di assistere alla Rinascita.
Che Aset sia lodata.
L’Eletta si è destata più tardi del solito. Cynera e Latika scostano le cortine di seta del suo letto e attendono in silenzio che si alzi in piedi.
Aset concedici di godere ancora una volta della tua perfezione.
Insieme a Kala, l’aiuto a spogliarsi. L’Eletta possiede le otto caratteristiche della Dea: mani e piedi delicati, occhi e capelli neri, nessuna cicatrice o ferita, gambe dritte, seni piccoli, pelle di madreperla, bella dentatura e voce chiara.
La rivestiamo con la tunica nera, di bisso finissimo. Latika le intreccia i capelli e Cynera le benda gli occhi. Pari le allaccia due collane intorno alla gola: una d’oro, l’altra di grani d’ambra.
L’Eletta sfiora la guancia di Cynera con una carezza, segno che l’abbiamo servita bene.
Sia lode alla Dea.
Faccio accomodare l’Eletta sul suo scranno. La piccola Pari le mette in bocca dei chicchi di melagrana: strappa i semi traslucidi dal ventre del frutto e glieli posa piano sulle labbra. Oggi è stato concesso a lei l’onore di nutrirla. Le sue mani tremano per l’emozione.
Che Aset sia lodata.
Viene poi il momento di preparare l’Eroe, il mio momento. Dalla stanza del kebeh sento provenire le voci degli Otto. Conosco ormai molte delle loro invocazioni, ma mi è proibito pronunciarle. Mi affaccio alla porta. Gli Otto camminano in cerchio attorno all’Eroe, senza smettere di pregare. Ognuno di loro regge una candela tra le mani e ha il viso coperto da una maschera, una per ogni aspetto della Dea. Per qualche momento li osservo sfilare davanti a me. Ci sono Theba la Lupa, Madre Misericordiosa, e Bubas la Gatta, che guida le anime nelle Stanze di Aset. C’è soprattutto la feroce Dedùn, Leonessa della Guerra, i cui artigli sono come spade insanguinate.
Dedùn, Divoratrice di Cuori, noi ti preghiamo! Concedi al tuo servo il dono della Seconda Morte!
Mi introduco nel cerchio. Devo essere veloce per non interromperlo.
Mi avvicino al fektet su cui è disteso l’Eroe. L’Eroe si chiama Samar. Anche nella morte ha un aspetto fiero. Le ferite che lo hanno ucciso sono state ricucite. Il suo corpo nudo è ricoperto dal sangue del Sacrificio. Gli incantesimi degli Otto sono stati pronunciati.
Lavo il corpo di Samar con acqua e vino e di palma. Il sangue cola giù dal fetket fin sul pavimento. Lo asciugo con un telo di lino e lo profumo con mirra. Con l’henna dipingo una luna crescente sulla sua fronte, affinché la sua mente rimanga intatta, e la luna piena sul suo cuore, affinché la sua anima vi faccia ritorno.
Appena l’Eroe è pronto, gli Otto si fermano e soffiano sulle candele. Due di loro sollevano l’Eroe dal fektet. Portano le maschere Bubas la Gatta e Geba la Serpe. Precedo gli Otto fino alla scalinata. L’Eletta ci attende, seduta sul Trono Nero. Cynera, Pari, Kala e Latika stanno in piedi accanto a lei.
Il popolo acclama l’Eroe. Il boato mi ferisce i timpani e la luce è troppo forte. Resisto alla tentazione di coprirmi gli occhi con le mani. Gli Otto depongono Samar ai piedi dell’Eletta.
Sia lode alla Dea.
Libiamo in Suo onore. Cynera accosta alla mia bocca la coppa d’argento. Il vino di albicocche mi brucia la gola, come fuoco al sapore di miele.
— Aset riporterà in vita questo suo figlio affinché muoia di nuovo alla fine del suo tempo. — scandiamo, tutte insieme.
L’Eletta si inginocchia a terra, si china a baciare la fronte e il cuore dell’Eroe. Posa le labbra sulla sua bocca e vi soffia dentro il proprio respiro.
— Fai ritorno, figlio mio.
In coro ripetiamo.
— Fai ritorno, figlio. Alzati, Samar il Rinato.
L’Eroe apre gli occhi.
Aset sia lodata.

Racconto di Melissa Negri