«Se il Muro di Berlino fosse caduto» continua a ripetere Karl Schmidt «io sarei potuto fuggire da mia moglie».
Nelle pieghe della sua memoria, annebbiata dalla malattia e forse anche dall’alcool degli anni Novanta, Karl è certo che la sua vita sia sempre stata in bilico sul Muro. Un Muro che non ha mai saltato, dunque per lui è ancora in piedi.
Era in bilico su quel Muro nei suoi diciotto anni, quando, nella fredda notte di Dresda, salutò il suo grande amore che stava andando a Ovest, clandestina e piena di speranza. Karl non la chiama più per nome, il suo grande amore è diventata un pronome delicato: Lei.
Erano gli anni Settanta e nessuno pensava che il Muro sarebbe caduto: la Guerra Fredda era ancora gelata.
Karl oggi si chiede, seduto sulla poltrona di pelle della casa di suo figlio a Heidelberg, se Lei ce l’abbia fatta. È riuscita ad arrivare all’Ovest? Oppure un cecchino appostato sulla torretta di controllo le ha sparato e ha macchiato di sangue le sue cosce bianche?
Karl questo non ha mai voluto crederlo. Avrebbe dovuto ammettere di aver gettato via la sua vita dietro a un cadavere.
Karl oggi non se lo ricorda più, ma quella notte del 10 novembre 1989, quando alla radio una voce monocorde spiegava che il Muro stava venendo giù a picconate, ha infilato qualche straccio in una borsa consunta ed è partito per l’Ovest con un obiettivo ben preciso: ritrovare Lei. Sua moglie Beate dormiva nel letto di lenzuola sporche e bucate accanto a lui. Dormiva a bocca aperta, i capelli scompigliati sul cuscino e addosso ancora i vestiti del giorno prima. Beate lavorava molto per mantenere tutti e questo Karl non poteva proprio negarglielo. In quel momento la guardò e pensò che non l’avrebbe mai più rivista: il pensiero lo sollevò e non gli spezzò il cuore come quando aveva pensato di non rivedere mai più Lei, quella notte di diciotto anni prima. Beate non era comprensiva, non lo capiva e non lo supportava nei suoi voli pindarici. Beate lavorava e basta. E poi non era più bella come un tempo, come quando l’aveva messa incinta a ventuno anni, in una tenda della festa del partito di Unità Socialista di Germania. Si era sformata e fumava increspando le labbra in una smorfia di disgusto che poi le rimaneva anche quando non aveva la sigaretta in bocca.
Karl guardava quel viso e quegli occhi pieni di disprezzo e si chiedeva come fare. Come fare a vivere così, con Lei nel cuore e all’Ovest? Poi il Muro di Berlino era caduto.
E Karl era scappato all’Ovest. Non è corretto dire che fosse scappato, perché tecnicamente non c’era più nulla da cui scappare dopo la caduta della frontiera. Ma per Karl era stato proprio come saltarlo davvero, quel Muro. Voleva fuggire non solo dalla Repubblica Democratica tedesca ma anche da sua moglie: le due infatti, con l’andare del tempo, avevano preso le stesse sembianze nella mente di Karl. Sua moglie Beate ed Erich Honecker erano sempre più simili. La Repubblica Democratica tedesca non gli aveva trovato un buon lavoro, un lavoro disposto a tenere Karl a lungo, pur promettendolo, e lo faceva vivere in povertà e tristezza. Sua moglie lo considerava un buono a nulla – proprio come la Repubblica democratica tedesca – e non lo capiva. Ogni giorno lo tirava giù dal letto a calci –quante botte si erano dati!- e lo spingeva ad andare a cercare un lavoro. Adesso Karl gliel’avrebbe fatto vedere a tutti e due, di che pasta era fatto. Aveva solo bisogno di arrivare all’Ovest. La direzione era Heidelberg, dove Lei gli aveva detto che sarebbe vissuta una volta arrivata all’Ovest, di là dal Muro.
“Ma davvero era ancora là? Ed era davvero arrivata?” Questi erano i pensieri di Karl quella notte, mentre guidava la sua Trabant verso il confine.
Molti anni dopo, ma ancora qualche tempo prima di ammalarsi, pensava che sarebbe stato buffo scoprire che Lei non era mai stata a Heidelberg, dove lui aveva stabilito la sua residenza dopo il 1989 unicamente per trovarla. Oppure, ancora, scoprire di averla incontrata più volte nel corso degli anni, nel freddo della città, sotto le luci di Natale, e forse Karl era troppo ubriaco per riconoscerla.
E oggi, ormai, che differenza può fare?
Karl ha passato gli anni successivi al 1989 ad annaspare. A collezionare impieghi e a bere. Alcuni periodi di quegli anni sono davvero confusi, lo erano già prima di ammalarsi. Oggi sono un film di cui non ricorda l’inizio e nemmeno la fine. L’unico ricordo positivo era suo figlio Andres, che si trasferì con lui dopo poco tempo ed ebbe la possibilità di studiare e affermarsi. Andres gli aveva dato un motivo valido per andare avanti e per lavorare ancora, ancora un po’, perché doveva pensare a suo figlio: doveva stare al freddo delle strade e sopportare le mani gonfie piene di piaghe sanguinolente per lui. Andres era diventato un professore universitario e si era poi occupato di Karl. Così Karl aveva potuto smettere di lottare inutilmente, aveva appoggiato la testa su quella poltrona e aveva staccato il cervello da una presa già un po’ difettosa. Forse è per questo motivo che la malattia aveva preso il sopravvento su di lui, perché lui l’aveva lasciata fare.
Fu così che Karl, un giorno, chiese una finestra da dove potesse vedere il Muro. Andres capì quello che stava succedendo, ma venne fuori che era troppo tardi e che poteva solo peggiorare. Allora lo sistemò lì, nel salone, alla finestra in cui si trova ora. E ogni giorno lo sveglia come faceva sua madre Beate, ma senza calci, con delicatezza. Lo aiuta ad alzarsi e lo sistema, lo fa sedere lì in modo che Karl possa guardare il suo Muro là fuori. E Karl si chiede sempre perché quella notte non è andato con Lei, perché non ha saltato. Perché non è andato all’Ovest, dove avrebbe avuto una vita migliore?
«Papà, non esistono più Est e Ovest, tu sei in Germania.» I primi tempo Andres glielo spiegava con pazienza, appoggiandogli la coperta sulle ginocchia stanche. Poi aveva smesso.
Ogni tanto, durante il giorno, Karl si agita molto perché gli pare che un cecchino, là fuori, abbia sparato. La coperta, allora, gli scivola dalle ginocchia e finisce sul pavimento di legno. Karl suda e grida di correre ad aiutare Lei.
Beate mette da parte il libro che sta leggendo davanti al camino acceso. Si alza dal divano, i capelli raccolti sulla nuca delicata. Raccoglie la coperta e la sistema di nuovo sulle ginocchia di Karl. Poi lo abbraccia e lo stringe per rassicurarlo.
«Se il Muro fosse caduto… io sarei potuto andare da Lei…» sbofonchia Karl agitato.
«Hai ragione Karl, ma adesso non ci pensare» gli sussurra quella donna che gli sembra di conoscere, ma è sicuro di non vedere più dai tempi della Repubblica Democratica tedesca.
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Racconto di Marianna Brogi.
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