Il leggero risucchio della cannuccia annunciò che il Long Island era finito.

La mano di Carlo tremolava quando appoggiò il bicchiere sul tavolo. Si lasciò andare a una risata fragorosa. “Wo-hoo!” Mosse la testa su e giù, al ritmo pompato dalle casse. Era rimasto l’unico a quel tavolo. Meglio rimediare.

Si tirò su e si gettò in pista tra le luci multicolori, le braccia al cielo. La musica gli scorreva dentro, e lui era invincibile.

I suoi piedi scattarono sul pavimento. Le sue spalle si alzavano e si abbassavano, frenetiche. Era una forza! Invincibile!

La sua gola si fece secca. Ci voleva un altro giro. Carlo si alzò in punta di piedi per vedere meglio. Ma che razza di coda c’era al bancone? Che gli prendeva a tutti, erano appena usciti dal deserto? Meglio lasciar stare. In fondo non valeva la pena di sgomitare e di sgolarsi per farsi sentire dal barista.

Due colpetti sulla schiena lo fecero trasalire. Si voltò di soprassalto. Sara. Quanto era bella in quel suo top nero con le strisce d’argento!

«Tesoro!» disse Carlo ad alta voce, per sovrastare la musica «Dov’eri finita? Dai, balliamo!» la sua mano si allungò per afferrarle la spalla, ma lei si scostò.

Sara si morse il labbro, gli occhi puntati verso il basso. Con la testa accennò all’uscita, poi si voltò ed iniziò a camminare in quella direzione.

Carlo si grattò dietro l’orecchio. Lo sapeva, lo sapeva che c’era qualcosa che non andava. Era ormai da… quanto, due settimane che Sara era un po’ più fredda nei suoi confronti? Cosa poteva essere? E davvero non poteva aspettare la fine della canzone? Si spazzò la maglietta con le mani.

Sara si districò tra la folla che si parava tra loro e il portone. Sull’uscita Carlo girò la testa verso la pista da ballo e si sfiorò il volto. Era qualcosa che aveva fatto?

Fuori c’era molta meno gente, e molta meno confusione. Carlo, investito dalla fresca aria aperta, si strinse le braccia. A destra ecco Michela, Pietro e Camilla che ridevano per chissà quale idiozia. Sara girò a sinistra.

Dietro l’angolo si ritrovarono in un vicolo cieco che puzzava di piscio e di vomito. Carlo socchiuse le ciglia, per abituarsi alla scarsa illuminazione. Tirò un calcio ad un sasso: «Che cosa c’è, Sara?»

Quel buco non gli piaceva per niente. Meglio risolvere la questione in fretta, qualunque cosa fosse, e rientrare. Gli era tornata la voglia di un altro drink.

«Ascolta, Carlo…» Sara sbatté le palpebre «Dobbiamo parlare»

Il cuore di Carlo iniziò a martellare fortissimo. «Oh» gli sfuggì. No, no, no, no! Parlare? Di cosa? Perché? Era una così bella serata. Potersela spassare senza il pensiero di doversi svegliare presto era semplicemente il massimo. Che bisogno c’era di rovinare tutto? Torse un po’ la testa. Quanto sembrava lontana l’uscita del vicolo «Tesoro… proprio adesso? E proprio qui? Non possiamo parlarne più tardi, a fine serata?»
«No!» Sara aveva gli occhi lucidi e il respiro affannoso «Non possiamo rimandare. E sai perché? Perché a fine serata tu sarai troppo stanco, oppure lo sarò io. Non esiste un buon momento per parlare con te!» si diede un pugno su una coscia «Sono sempre troppo impegnata io e troppo di malumore tu. Sto rimandando questa conversazione da due settimane!»

Carlo si grattò la guancia, incapace di incontrare il suo sguardo. Ma cosa voleva esattamente da lui? D’accordo, era un periodo un po’ difficile per entrambi, ma non c’era bisogno di farne una tragedia.

Carlo sospirò e incrociò le braccia sul petto «Va bene, allora. Dimmi tutto. Qual è il problema?»

«Carlo, ascolta, non so come dirtelo…» Sara si torse le mani «Il problema è che non ce la faccio più a vederti in questo stato!»

Carlo strabuzzò gli occhi e inarcò un sopracciglio. Da una finestra aperta usciva ovattata la musica della disco, ma non era sufficiente a coprire quel vuoto silenzio. Che diavolo voleva dire? Come si poteva rispondere a una frase del genere?

Lei dondolò sui piedi, poi fece un passo indietro «Insomma, che cosa stai facendo in questo momento esattamente? Hai mollato il tuo lavoro, e adesso? Che cosa hai intenzione di fare?»

Carlo fu scosso da un brivido. «No, ti prego, Sara, non puoi voler parlare di questo»

Non poteva muoversi. Era come se fosse sprofondato in un abisso. «Lo sai che quel lavoro mi faceva impazzire. Non ci riesco a stare tutto il giorno dietro a una cassa a farmi urlare in faccia da perfetti idioti» Nella sua bocca il rimasuglio dolciastro dell’ultimo drink si era trasformato in un retrogusto acido  «E poi mi pagavano uno schifo»

Sara allungò un braccio verso di lui, ma lo ritrasse a mezz’aria «Lo so, credimi, lo so. Ma adesso cosa hai intenzione di fare? Vuoi restare per sempre in quell’appartamento minuscolo e ammuffito, facendoti pagare tutto dai tuoi?»

Carlo scrollò le spalle. «È una situazione temporanea, Sara… si sistemerà tutto» Ok, non era il massimo, e allora? Perché tutta questa fretta di avere ogni cosa a posto subito?

«Una situazione temporanea?» la voce di lei era più alta, vibrante «Carlo, non puoi avere questo atteggiamento. I problemi sono temporanei se si cercano delle soluzioni, non si risolvono da soli. Voglio dire, come sei messo con gli studi? Quanti anni hai accumulato fuori corso?»

Carlo si portò una mano alla fronte. Iniziava a sentire una leggera emicrania, e faceva fatica a reggersi in piedi. Non era proprio in grado di continuare la conversazione. «Hai ragione, Sara… senti sai cosa? Adesso siamo tutti e due un po’ irritabili. Io ho bevuto, e tu domani devi lavorare. Facciamo che nel pomeriggio ti richiamo e cerchiamo un momento per chiarirci»
«No!» la mano di Sara si alzò a strofinare sotto l’occhio. Era una lacrima, quella? «Carlo, è proprio questo il problema. Tu rimandi sempre tutto. La ricerca del lavoro, gli studi, questa discussione. Sei troppo pigro per affrontare i problemi!»

Carlo le puntò contro l’indice «Questo non è vero!»

Lei roteò gli occhi e scosse la testa «Dimostramelo, allora. Dimmi quando hai intenzione di mandare un curriculum per cercare un nuovo lavoro. Oppure quando hai programmato di fare il prossimo esame.»

Carlo strinse i pugni. «Credi che non mi piacerebbe trovare un lavoro? Non ce n’è.» Adesso la principessina si sentiva in diritto di fargli la morale solo perché era stata assunta in un salone di bellezza? «Ti credi tanto migliore di me? Scusami tanto se non mi faccio sfruttare come un mulo» Sara socchiuse gli occhi e digrignò i denti. La sua espressione era insopportabile. Era lei che aveva iniziato quell’inutile conversazione! Carlo fece un passo avanti «Ascoltami bene, Sara, perché ti dirò una cosa importante. Questo non è il mondo delle favole, questo è il mondo reale, e nel mondo reale non puoi ottenere tutto quello che vuoi. Che colpa ne ho io se non ci posso fare niente?»

«Non puoi o non vuoi?» la voce di Sara era rotta dall’emozione, come se fosse sul punto di scoppiare a piangere.

Carlo sbuffò. Non avrebbe dovuto alzare la voce. Non aveva voglia di litigare, solo di essere lasciato in pace. «Scusami… forse ho bevuto troppo. Non dicevo sul serio»

Allargò le braccia per stringerla forte. Aveva bisogno di averla vicina, di sentire la pressione del suo corpo, il suo profumo.

Lei respinse il braccio con uno spintone.

«Sara…»

Lei gli voltò le spalle. Iniziò a camminare, al ritmo più veloce che le consentivano i suoi tacchi alti. Carlo tentò di seguirla, per scusarsi di nuovo, per spiegarsi meglio, ma una fitta di vertigine lo fece inciampare e cadde a terra. La sua coscia destra divenne umida e calda.

Il vestito nero e argento scomparve dietro l’angolo. Carlo si afferrò a un bidone per tirarsi in piedi. Pregò silenziosamente che la macchia sui suoi pantaloni fosse solo una pozzanghera, ma non ebbe il coraggio di controllare.

Appoggiato al muro si diresse verso la strada. Nello stomaco aveva un bruciore infernale, come se gli avessero tirato un pugno fortissimo.

Quando arrivò all’incrocio Sara non si vedeva più. Carlo si asciugò il sudore dalla fronte. Gli tremavano le gambe.

«Ohi, Carlo… Carlo, tutto bene?»

Pietro lo raggiunse, e gli poggiò una mano sulla spalla «È tutto a posto, amico?»

Il ragazzo scosse il capo. Aveva voglia di vomitare. «Sara… Sara mi ha mollato. È finita.»
«Oh, diavolo» Pietro lo sorresse «Ti senti bene? Vuoi che ti riaccompagni a casa?»

Carlo si strofinò gli occhi «No, no.» deglutì «Ci vado da solo. Ho la macchina proprio qui»

Pietro corrugò la fronte «Sei sicuro? Non è meglio se…»

«No!» urlò Carlo «Voglio stare da solo, adesso» fece qualche passo «Da solo!»

Barcollò fino alla macchina e fece scattare lo sportello. Si passò una mano sulla fronte.

Sara lo aveva lasciato.

Lo aveva lasciato perché lui era un pigro buono a nulla, mentre lei era una a posto, lei lavorava, lei era bellissima, perfetta, perfettina, snob, so-tutto-io, maledetta, ingrata!

Basta, basta, basta!

Si infilò la mano in tasca per prendere le chiavi. Non c’erano. Provò l’altra tasca, niente. Per terra, no.

Carlo era sul punto di mettersi a urlare. Tirò un pugno contro un muro. Fece una smorfia. Aveva fatto un male cane!

Un momento, cos’è che teneva nella mano?

La aprì. Erano le chiavi.

Carlo imprecò e salì sulla macchina. Non gliene andava bene una, quella sera.

Fece ingranare il motore e uscì dal parcheggio. Non si vedeva nulla. I lampioni che ci stavano a fare se non li accendevano? Fece partire gli abbaglianti.

Ripassò nella sua testa la strada. A destra alla rotonda, poi dritto fino al semaforo, poi a sinistra… sì, tutto a posto.

Schiacciò sul pedale. Più veloce andava, prima sarebbe arrivato.

Voleva solo tornare a casa e buttarsi a letto, dormire, dimenticarsi di Sara, di tutto, dormire, chiudere gli occhi… dormire.

La strombazzata di un clacson gli fece riaprire gli occhi di colpo. Le luci dei fari lo accecarono, e d’istinto sterzò di lato.

Ci fu uno schianto metallico,

Tutto intorno si accendevano le luci dalle case, la gente si sporgeva, c’era persino un uomo sull’altro marciapiede che lo fissava con uno sguardo divertito.

Che serata di…

***

“Bip… bip… bip…”

Una sveglia? Ma davvero l’aveva impostata?

E da quando aveva quella suoneria?

Carlo mugugnò, e si portò una mano sulla fronte. Gemette. Era come se qualcuno lo stesse prendendo a martellate non-stop.

Gli sfuggì un rutto che sapeva di alcol. Il suo stomaco bruciava, e si ribellava con foga a tutto quello che aveva tracannato la sera precedente.

Sbadigliò. Non si era ancora svegliato del tutto e già era esausto.

Deglutì, ma al solo tentativo la sua gola secca si infiammò. Ci voleva un bicchiere d’acqua. E una tazza di caffè molto, molto forte. Poi tornare a letto. Semplice e geniale.

Aprì gli occhi, ma la forte luce lo accecò, e li dovette richiudere.

Se li stropicciò per benino e sollevò giusto una fessura delle ciglia.

Con tremenda lentezza le sagome davanti a lui presero una forma definita. La libreria mezza vuota, la scrivania troppo piena, la sedia sommersa di vestiti usati, il computer inondato di post-it e un bizzarro individuo che lo fissava con un sinistro sorriso. Carlo sobbalzò per la sorpresa. «Che… che diavolo?»

L’intruso era alto, molto alto. Vestiva un completo nero, camicia nera e cravatta rossa. La sua pelle era candida e lattiginosa. Portava dei baffetti neri molto curati, e un pizzetto appuntito. Era proteso in avanti, appoggiato a un bastone da passeggio.

A Carlo mancò il fiato. Scattò per alzarsi, ma scivolò sulle lenzuola e ruzzolò giù dal letto su una pila di vestiti sparpagliati. Quantomeno attutirono un po’ la caduta. Fece forza sulle mani per rialzarsi, ma un giramento di testa gli impedì di tirarsi in piedi.

Il “bip bip”, meccanico e ripetitivo, continuava imperterrito. Carlo si tappò le orecchie. La testa gli faceva tanto male.

Forse si era ingannato? Possibile che avesse soltanto immaginato… rialzò la testa. No, no, quel coso era reale.

La figura, silenziosa e ghignante, torreggiava su di lui. Stava… galleggiando nell’aria. Solo il suo bastone toccava il pavimento. Carlo sgranò gli occhi. Assurdo! Non era possibile restare in equilibrio in quella posa.
Carlo tremò. Doveva calmarsi, doveva calmarsi! Inspirò. «Chi sei?»

Doveva mostrarsi sicuro di sé, padrone della situazione. Si asciugò un rivolo di bava. Certo, era un po’ impossibile risultare intimidatorio quando ci si è appena svegliati, con ancora indosso i vestiti sudati della sera prima.

La figura sogghignò, e fecero capolino dei denti bianchi e appuntiti. Sollevò il cappello e si inginocchiò «Oh mio gentile signore, io sono Sorieno, della stirpe dei demoni, al vostro umile servizio». Che strane orecchie aveva, appuntite e pelose. Da pipistrello.

Carlo restò immobile, con gli occhi spalancati e la bocca aperta. Non aveva senso. C’era una spiegazione, doveva esserci. Si grattò la nuca, poi strinse gli occhi. Ma quanto era difficile pensare tra il mal di testa, il senso di nausea e quel maledetto suono elettronico che si ripeteva all’infinito!

Il sedicente demone allungò le braccia e si stiracchiò «È tutto a posto, mio buon signore?» la sua voce era melliflua, cortese e sibilante «Vi è forse qualcosa che potrei fare per darvi giovamento?».

«Che cosa… vuoi da me?» disse Carlo a mezza voce.

L’intruso ridacchiò, e dietro di lui guizzò una sagoma nera. «Come potrei esprimermi nella maniera più appropriata…» Era una coda! Nera, lunga e nodosa come quella di uno scorpione «Direi che sono qui per rendervi un atto di giustizia, mio eccelso signore».

Carlo inclinò la testa.

«Sì, mio intrepido signore, giustizia. “Nel mondo reale non puoi ottenere tutto quello che vuoi”, sono parole vostre, nevvero?» si arricciò un ciuffo di capelli corvini «Ebbene, io sono qui per offrirvi esattamente questo. Tutto quello che volete.»

«È che… io…» Carlo si strinse il petto e represse un conato di vomito «Vorrei… vorrei solo riuscire a… a pensare lucidamente. Senza… il mal di testa e… e anche questo bip, bip… vorrei che passasse tutto»

Il sorriso sul volto di Sorieno divenne ancora più ampio e smagliante. L’elegantone agitò la mano in un movimento cuneiforme e schioccò le dita. Risuonò in lontananza il tintinnio di un piccolo campanello.

La testa di Carlo si alleggerì e la sua nausea si dissolse. Era come se qualcuno avesse passato un panno su tutta la sporcizia che aveva dentro, facendo sparire tutto in un istante. «Oh» mormorò. Anche quel bizzarro rumore di sottofondo era scomparso. Tirò un sospiro di sollievo, e infine si alzò in piedi. Anzi, era persino più tonico ed energico del solito. «Oh».

Il demone si profuse in un inchino esagerato: «Ogni vostro desiderio è un ordine per me, mio signore».

Carlo arricciò il naso. Ora che era più lucido sentiva meglio anche la puzza di bruciato: «Intanto, potresti scendere da lì sopra? Mi fai venire le vertigini»

Il demone scrollò le spalle e fluttuò verso il basso fino ad appoggiare i piedi al pavimento.

Gli orli del suo abito rimasero sospesi. Il demone si diede due colpetti sulla spalla, ed il completo ricadde lungo i suoi fianchi. «Va meglio così, mio signore?».

Il ragazzo annuì: «Molto meglio, grazie. Ora, se non ti dispiace, mi servirebbe un momento».

La figura elegante alzò le mani. Una volta a terra la sua statura si rivelava piuttosto minuta. Era molto più basso di Carlo, gli arrivava sì e no all’addome. Il demone iniziò a passeggiare avanti e indietro.. Prese a scodinzolare. Il suo pungiglione si attorcigliava e si rilassava di continuo, come se fosse sempre sul punto di scattare. Roteò il bastone da passeggiò, dal pomolo argentato a forma di testa di coccodrillo

Carlo afferrò la sedia, rovesciò per terra la pila di vestiti stropicciati e si sedette. Indicò la coda del suo ospite «Per incominciare, mi vuoi dire che cosa è quella? A che ti serve?»

«Oh, questa?» il demone picchiettò sulla coda con la punta del bastone  «Non vogliate farci caso, mio signore. A noi demoni non è consentito mantenere un aspetto completamente umano. Abbiamo bisogno di qualche… elemento di differenziazione» spalancò le fauci da cui comparvero i denti appuntiti di uno squalo e la lingua biforcuta da serpente.

Carlo rabbrividì. I dubbi sulla reale natura del mostro si facevano sempre più fievoli. Non poteva essere una burla. Lo scherzo più elaborato del mondo, fosse anche un’allucinazione, non era in grado di far sparire il doposbornia.

Restavano ancora da capire le sue reali intenzioni. Carlo fece un respiro profondo: «Hai detto che sei qui per esaudire i miei desideri? E in cambio di cosa?»

Sorieno ruotò gli occhi e sibilò «In cambio di cosa? Beh di un po’ di sano divertimento, mi pare ovvio.» gli strizzò l’occhio «Non sono il primo e non sarò l’ultimo della mia specie a mettermi al servizio di un umano.»

Carlo incrociò le braccia. Qui arrivava la fregatura, per forza «Si tratta di una specie di patto col diavolo, no? Cioè, tu stai qui a lavorare per me in cambio della mia anima, o di quello che è? Perché se è così ti dico subito di no.» fece una pausa, ma prima che l’altro potesse rispondere aggiunse «Ovviamente voglio che tu risponda con la verità alle mie domande». Sarebbe servito a qualcosa? Probabilmente no, ma tanto valeva tentare.

La lunga lingua del demone vibrò nell’aria. Il mostro si accarezzò i baffetti: «No. No, per niente. Posso garantirvi sul mio onore che, a prescindere da quanti desideri io possa esaudire, ciò che sarà della vostra anima dipende esclusivamente da voi» si strinse nelle spalle «Non so bene cosa sappiate voi umani sui demoni. Io non ho alcun potere sulle anime umane. Per divorarne una mi servirebbe il permesso del suo proprietario»

Carlo sbarrò gli occhi «Nessuno accetterebbe qualcosa di simile!»

Sorieno socchiuse gli occhi, chiari e freddi ghiaccio, e ridacchiò «Mai dire mai, mio signore… il mondo è bello perché è vario, chi siamo noi per giudicare? Ad ogni modo, i termini dell’accordo, se proprio vogliamo chiamarlo così, sono molto chiari.» sollevò l’indice «In primis, io non posso fare alcunché senza che voi esprimiate chiaramente un desiderio al riguardo.» poi il medio «In secundis, se in un qualsiasi momento voi doveste desiderare che io me ne vada… beh» aprì di scatto le mani, da cui uscirono due nuvolette di fumo rosso con uno sbuffo «Puf!».

Carlo si alzò in piedi, per poter guardare il demone dall’alto. Si inumidì le labbra, e passò il peso del corpo da un piede all’altro «Ma se posso mandarti via anche adesso, semplicemente chiedendoti di sparire…  perché non dovrei farlo?»

Il demone prese a sistemarsi i polsini della camicia «Nulla vi impedisce di congedarmi, se proprio ci tenete a dare un calcio alla fortuna… c’è solo una piccola controindicazione.» si sollevò da terra, fino a che i suoi occhi non furono alla stessa altezza di quelli di Carlo «Se io me ne vado, mio signore, tutti i desideri che ho esaudito vengono via con me. Se mi congedaste adesso,  ritornerebbero in un istante il voltastomaco, l’emicrania e tutti quegli altri detestabili effetti collaterali della serata di ieri. La scelta è soltanto vostra, mio signore.»

Carlo si accarezzò il mento. Non poteva dire di trovarsi a suo agio con quell’essere accanto, ma l’ultima cosa di cui aveva bisogno era di ritrovarsi devastato dal post-sbornia. Aveva un paio di cose da fare, e piuttosto urgenti. La questione del demone poteva aspettare, almeno un po’. Magari giusto una cosetta. «Senti, Sor… Sorieno, giusto?»

Il demone annuì.

«Non è che potresti fare in modo che tutto l’incidente di ieri… insomma, vorrei che… che la mia macchina sia a posto»

Il demone si sedette a mezz’aria, le gambe incrociate «Niente di più facile, mio signore».

Schioccò le dita, e di nuovo echeggiò il campanellino.

***

Carlo raccolse un paio di pantaloni da terra, li piegò alla bell’e meglio e li infilò a forza nel cassetto strapieno. Neanche cinque minuti di lavoro aveva già il mal di schiena.

Carlo scosse la testa. Tutto inutile. Ci sarebbero volute settimane per rendere abitabile quella topaia. Non che fosse così bella, comunque. I buchi nell’intonaco, la libreria semidistrutta e il divano unto e consumato non erano colpa sua.

«Mi domando perché il mio signore viva in un luogo così desolato». Sorieno stava spaparanzato a mezzo metro da terra «Dopotutto, se non ho inteso male, il mio signore ama la vita di mondo, e questa abitazione è assai distante sia dai locali notturni che dall’Università» si abbassò di quota e passò un dito sul pavimento. Lo ritrasse di un colore grigio topo «Per non parlare del fatto che sarebbe possibile sdraiarsi per terra e agitare le braccia per creare un angelo di neve, solo che, beh» tirò fuori la lingua biforcuta e strofinò con foga il dito «Con la polvere»

Carlo gli rivolse un’occhiata di sbieco. Come se quel demone potesse capire il concetto di affitto.

«Sapete che potrei darvi una mano, vero mio signore? Con un solo desiderio potrei liberarvi di tutto questo marciume.»

Carlo raccolse un paio di tazze abbandonate sulla scrivania da chissà quanto tempo e le appoggiò nel lavandino già stracolmo di piatti, pentole e posate. Alcune stoviglie erano abbandonate lì da tanto tempo che i rimasugli di cibo avevano attirato un nugolo di mosche.

Sorieno gli si parò davanti «Dico sul serio, mio signore. Siete a un solo desiderio di distanza da una casa ordinata e pulita. Sono certo che la qualità del vostro vivere ne guadagnerebbe non poco. Potreste anche scegliere di trasferirvi in un altro tipo di abitazione, uno decisamente più adatto ai vostri gusti…»

Carlo scartò di lato e raccolse un altro calzino spaiato. Era un paio di giorni che quel demone continuava a tormentarlo. Sapeva di non potersi fidare, quindi non voleva esprimere desideri a caso. Forse avrebbe dovuto decidersi a cacciarlo una volta per tutte. I postumi della sbornia comunque sarebbero passati da soli… ma in effetti c’era anche la questione della macchina.

In fondo la presenza di quella bizzarra creatura non era poi così insopportabile. Si limitava a vagare qua e là nelle vicinanze, e ogni tanto faceva un commento su qualcosa che non andava. Era come avere un coinquilino, uno di quelli che non fanno niente di utile per la casa. Quantomeno non era uno di quelli che svuotano il frigorifero di nascosto.

Carlo sbadigliò e si sedette sul divano. C’era anche un’altra cosa da fare, che ormai aveva rimandato troppo. Doveva scriverle.

Prese il telefono, aprì la chat e iniziò a digitare

‘Ciao, Sara, come stai? Ascolta…’

Fece una smorfia e cancellò tutto. Ma cosa gli saltava in mente? Era patetico. Meglio chiamarla. Compose il numero ma rimase immobile con il pollice a un millimetro dall’avvio della chiamata. Gli tremavano le mani. Appoggiò il telefono e sprofondò la faccia nei cuscini lerci.

«Qualcosa non va, mio signore?» Sorieno fluttuava a mezzo metro da terra, il cilindro calcato sugli occhi.

«Non posso farlo» sospirò Carlo. Tirò su col naso «So cosa mi dirà. Dirà che sono immaturo e scansafatiche. E avrà ragione. Non ho un lavoro, i corsi non li seguo neanche più… e con lei mi sono comportato malissimo. Faccio schifo»

«Via, via, che discorsi sono questi?» Sorieno si tirò in piedi e fluttuò verso la scrivania. «Se questo è ciò che temete, la soluzione è a dir poco lapalissiana»

«E sarebbe?» ma rapalissiana era davvero una parola? Probabilmente se l’era inventata.

La punta del bastone picchiettò sul computer «Beh, se i vostri problemi derivano dalla mancanza di un lavoro… non vi resta che trovarne uno.»

«La fai facile» borbottò Carlo «Non c’è niente di decente, là fuori»

Il demone spalancò le labbra nel suo solito ghigno. Ormai Carlo ci si era abituato «Io vi consiglio di provare ancora una volta, mio signore. Dopotutto che vi costa?».

Ecco, se c’era una cosa che gli mancava era ricevere consigli e frasi motivazionali da un demone. Carlo sospirò, ma si tirò in piedi. Sarebbe stata una perdita di tempo, ma cos’altro poteva fare?

Accese il computer e iniziò a ricercare le offerte.

«Uuh. Guida turistica» Sorieno sgranò gli occhi. Il mostriciattolo era come un bambino a Natale.

«C’è la fregatura. C’è sempre.» Carlo si sorresse il viso con le mani, e riprese a scrollare la pagina «Ecco. Guarda un po’ là. Serve una conoscenza approfondita del folklore, ovviamente, che non ho…»
«Ma si può imparare!» Quel demone sapeva essere insopportabile, col suo ottimismo.

Carlo scosse la testa «Serve sapere emozionare un pubblico… non credo di essere in grado»

«Vi sottovalutate, mio signore»

«Mah… ah, ecco. Serve sapere almeno una lingua straniera. Niente da fare.»

«Non scoraggiatevi, mio signore, cercate ancora»

Carlo sbuffò, e aprì una pagina diversa.

«Wow. Cameriere. Non pensate che possa fare al caso vostro?» la coda da scorpione si agitava avanti e indietro, a un soffio dalla sedia di Carlo.

Carlo batté un pugno sul tavolo «Ma proprio no! Hai idea di quanto sia faticoso? Stare in piedi tutto il tempo… dover correre da una parte all’altra portando piatti… e poi, hai visto in che condizioni è la mia stanza? Ti sembra che potrei apparecchiare la tavola per qualcun altro?»

Gli occhi del demone schizzarono da una parte all’altra dell’appartamento «In effetti…» tornarono a fissarsi sullo schermo «E questa offerta da barman? Che ne dite, mio signore? A giudicare da come eravate al nostro primo incontro direi che voi ne sapete qualcosa di alcol, no?»

Ah, pure le frecciatine? Sarebbe stato un motivo in più per buttarlo fuori. Peccato che poi avrebbe dovuto pagare il meccanico per sistemare la macchina.

«Punto primo, bere cocktail non mi rende bravo a prepararli» bofonchiò Carlo «Secondo, quel bar è dall’altra parte della città. Come ci torno a casa alla fine del turno? E terzo, hai visto la paga? Con quella sistemo sì e no l’affitto…»

Si alzò di scatto. La sedia si rovesciò a terra. Era tutto inutile, lo sapeva. «Te l’ho detto, ci ho provato… non c’è niente che faccia al caso mio»

«Oh, ma che peccato» il demone fece schioccare le nocche «E quali caratteristiche dovrebbe avere un lavoro per essere adatto a voi? Insomma, che cosa vorreste?»

Carlo si sdraiò sul divano. Ma che domanda era?

«Beh, comunque io dovrei studiare, quindi mi servirebbe un lavoro di poche ore a settimana. Non deve richiedere troppe energie, dato già sono sempre stanco di mio.»

Incrociò le braccia dietro alla testa «Poi servirebbe qualcosa che io sia in grado di fare, e non so fare quasi niente.» fece ciondolare una gamba giù dal divano  «Deve pagare abbastanza da potermi permettere di vivere bene… non chiedo di nuotare nell’oro, solo di arrivare a fine mese con qualche extra per svagarmi. Ah, e ovviamente vorrei qualcosa abbastanza vicino… non voglio dover fare tutti i giorni avanti e indietro per ore».

Risuonò uno schioccò le dita, seguito dal piccolo campanellino. Carlo scattò a sedere «Che cosa hai fatto?»

Il demone congiunse le dita, distolse lo sguardo e fischiettò, falso innocentino. Carlo gli corse incontro e lo afferrò per il bavero della camicia «Che diavolo hai fatto?»

Sorieno alzò le spalle e distolse lo sguardo «Che posso dirvi, signore… avete ragione. Il mondo è noioso e monotono, e non dà mai ciò che si vuole. Mi sono permesso di dargli una piccola spinta»

La coda da scorpione si contorse, poi il pungiglione si drizzò verso il computer, come a indicarlo. Carlo mollò la presa e si diresse alla scrivania. Dietro di lui, Sorieno si riassettò l’abito con qualche colpetto.

Una nuova offerta di lavoro era comparsa sullo schermo. Un semplice posto da impiegato part-time, giusto dall’altra parte della strada. Nessuna competenza particolare richiesta. E la paga… «Ma è uno scherzo? Come può pagare così tanto un lavoro del genere?»

Alle sue spalle Sorieno tossicchiò.

Carlo digrignò i denti «Non aspettarti un ringraziamento, demone! Non ti ho chiesto di trovarmi questo lavoro!»

«Questo è… parzialmente vero» Sorieno si avvicinò, e poggiò una mano sulla scrivania «Tuttavia, signore, davvero vorreste rifiutare l’impiego che ha tutte le caratteristiche da voi richieste? Volete qualcosa in più? Si può organizzare…»

«Non voglio qualcosa in più!» Carlo incrociò le braccia «Ma dov’è la fregatura? Cos’è questa ditta, questa…» si voltò per rileggere il nome sullo schermo «OEFROM? Non l’ho mai sentita. È tutto troppo bello per essere vero.»

«È proprio questo il punto!» il demone si alzò di qualche altro centimetro, e fece una piroetta in aria «Io esaudisco i desideri. È esattamente quello che faccio.»

Carlo mugugnò. Sapeva di non potersi fidare.

«Suvvia, signore, non fate quella faccia. Nessuno vi costringe ad accettare la mia offerta, dico bene?»

Il demone non aveva tutti i torti. Carlo si girò di nuovo verso lo schermo. L’offerta era davvero la più allettante che avesse mai visto. «Come faccio a sapere che è reale? Che non è un’illusione?»

Sorieno fece roteare il bastone «Mi state forse dicendo che vorreste una prova della mia buona volontà?»

«Puoi biasimarmi?»

Il demone si calcò il cilindro sul capo «Non intendo farlo, signore. Tuttavia noi demoni siamo estremamente vincolati ai termini… non posso esaudire un desiderio se non viene formulato. Quindi lo ripeto: volete una prova della validità dell’offerta di lavoro?»

Carlo si carezzò il mento: «Sì, sì, voglio una prova»

Altro schiocco di dita, altro tintinnio, più nitido questa volta. Poi, il silenzio. Il demone si accarezzò il pizzetto, soddisfatto. Agitò un dito a mezz’aria, come a dirigere un’invisibile orchestra.

Carlo aprì la bocca, ma non fece in tempo a dire nulla che venne interrotto dal trillo del telefono. Era un numero sconosciuto.

«Suggerirei di rispondere» sussurrò soddisfatto Sorieno.

Carlo premette l’icona verde: «Pronto?»

«Pronto, buongiorno, parlo con il signor Mancini Carlo?»
Era una voce di uomo. Il tono era gentile ma deciso.

«Sì… sì, sono io» deglutì, nervoso.

«Buongiorno. Senta, la chiamo per conto della OEFROM, abbiamo ricevuto il suo curriculum e siamo molto interessati alla sua candidatura per l’offerta di lavoro che abbiamo pubblicato.»

Carlo coprì il telefono con la mano. «Hai mandato il mio curriculum?»

Sorieno si grattò una guancia «Certo che l’ho fatto. Mi sono occupato di tutta la parte burocratica. Ora accettare o rifiutare sta a voi.»

Carlo si rimise in ascolto «… quando siete più comodo, comunque.»

«Mi scusi, potrebbe ripetere? Ho… ho avuto un attimo un problema con la linea»
«Naturalmente. Le dicevo, potrebbe passare per un colloquio, per discutere tutti i dettagli del caso? Siamo aperti quasi tutto il giorno, quindi può venire quando vuole»

A Carlo mancò il respiro: «Davvero? È… fantastico, grazie mille. Potrei venire anche questo pomeriggio?»

«Guardi, per quel che mi riguarda può anche passare tra cinque minuti»

«La ringrazio molto. Arrivederci»

Carlo riattaccò, e alzò lo sguardo per poter fissare il demone in viso. Sulla faccia di Sorieno aleggiava sempre il solito sorriso esagerato, e i suoi occhi di ghiaccio brillavano.

Carlo si strofinò le ginocchia. Aver dovuto dipendere dal suo intervento non era il massimo, ma era stato davvero provvidenziale.

«Grazie» disse a mezza voce. Quello si limitò a fare un piccolo inchino.

Il ragazzo si infilò una camicia abbastanza bianca da sembrare pulita, dei pantaloni vagamente decenti e si fiondò fuori di casa. Il demone lo seguì a rotta di collo.

***

‘Ciao. Come stai?

Ascolta, volevo solo dirti che avevi ragione… su tutto. Mi hai fatto riflettere, e credo di essere cambiato. Vorrei solo poterti parlare, per spiegarti. Ho un nuovo lavoro, dico sul serio. Non ti andrebbe di trovarci e di parlare un po’?’

Che messaggio penoso. Peccato essersene accorto solo un paio d’ore dopo averlo mandato. Troppo tardi per cancellarlo. E comunque Sara non lo aveva nemmeno visualizzato, il che significava che con ogni probabilità lo aveva bloccato.

Carlo si strinse le braccia sul petto e si girò di lato, verso lo schienale del divano nuovo. Sara non rispondeva alle sue chiamate. Non visualizzava i suoi messaggi. Come poteva farle capire che non era più quel fannullone irresponsabile che aveva lasciato? Certo, c’era voluto un piccolo aiuto da parte di un demone, ma si era trattato giusto di qualche spintarella, niente di esagerato. Era comunque lui che si alzava tutti i giorni per andare in ufficio a compilare le pratiche. Aveva persino ricominciato a riprendere in mano i testi del prossimo esame.

Tossicchiò. Gli era venuta sete. Si alzò e si diresse verso il lavandino, con passi lenti e trascinati. Aprì la mensola e prese un bicchiere dalla schiera ordinata in cui erano disposti. Per quanto detestasse ammetterlo, Sorieno aveva ragione. Era molto meglio vivere in una casa ben tenuta. Un desiderio ben speso.

«Sembrate giù di morale, oggi» il demonietto era seduto a gambe incrociate, con soltanto la punta della coda che toccava il pavimento.

Carlo scrollò le spalle «Che devo dirti. La mia ragazza mi ha mollato due settimane fa e si rifiuta di parlarmi. I miei amici non possono aiutarmi, sta evitando anche loro. Credo che non voglia più avere niente a che fare con me…» bevve un sorso, ma gli andò di traverso. E se nel frattempo si fosse messa con qualcun altro? Che cosa avrebbe fatto lui, allora? Tra un colpo di tosse e l’altro il suo respiro si fece affannoso.

«Suvvia, suvvia, che cosa sono queste futili tribolazioni?» Sorieno tese il braccio, e il bastone da passeggio, dal portaombrelli, schizzò nella sua mano «Non è successo nulla di tragico, mi pare. La vostra damigella vi ha dato il benservito? E dov’è la cagione di cruccio? Potete sempre trovarne un’altra. Inutile dirlo, potrei esservi d’aiuto anche in questo…»

Carlo batté il pugno sul lavabo «No! Non capisci, Sorieno, io non voglio un’altra ragazza. Lei è l’unica che conta, per me!»

Si appoggiò al piano della cucina con entrambe le mani. Sara significava tutto per lui, ma quel demone che ne sapeva? Lei era stata al suo fianco in tutti i momenti più belli degli ultimi quattro anni. Aveva sempre dato valore alla parte migliore di lui. Lo aveva spinto a iscriversi all’Università, a viaggiare… persino a trovare un lavoro dopo che aveva mollato il posto da commesso.

«Lei è la cosa migliore che mi sia mai successa. Non sono neanche sicuro di meritarmela» mormorò. Abbassò la testa. Una lacrima solcò la sua guancia. «Vorrei solo che mi desse un’occasione per spiegare…»

Lo schiocco di dita risuonò secco come un colpo di frusta, seguito dal rintocco di una piccola campanella.

Carlo sgranò gli occhi. Prese fiato, ma prima che potesse dire una parola suonò il citofono.

Il cuore prese a battergli forte forte in petto. Corse a scostare la tendina della finestra. Era lei! Ferma davanti al cancello, con le braccia incrociate ed il volto coperto da un cappellino bianco.

Carlo si voltò. Sorieno si stava coprendo le labbra con la mano, ma non serviva vederlo per sapere che stava sghignazzando.

«Sei stato tu, vero?» Carlo fece un respiro profondo.

Il demone si passò il pollice sotto al mento: «Volevate un’occasione? Eccovela qui.»

Il campanello suonò di nuovo. In strada, Sara sollevò il capo nella direzione dell’appartamento. Carlo si appoggiò al muro, per nascondersi:«Non ti ho mai chiesto di manipolare le altre persone, specialmente lei!»

Il demone abbassò la mano. Le sue labbra e i suoi occhi si strinsero: «Come volete. Come l’ho fatta arrivare posso congedarla.» disse, acido.

«No!» non avrebbe potuto sopportare di vederla andare via un’altra volta «Non fare niente, non fare più niente!»

Sorieno fluttuò più in alto, fino a sfiorare il soffitto con la tuba. Fece spallucce: «Molto bene. Posso solo far notare che se non le aprite in fretta è probabile che se ne vada? Se ciò avvenisse, dubito che ritornerebbe.»

Carlo deglutì. Corse alla cornetta e schiacciò il pulsante per aprire il cancello. Avrebbe dovuto andarle incontro? No, era meglio aspettarla. In questo modo avrebbe potuto mostrarle quanto era migliorata la sua gestione dell’appartamento. Era ordinato, pulito e… infestato da un demonietto che esaudiva i desideri. «Lei non può vederti, vero?»

Sorieno reclinò la testa all’indietro «Ovviamente no. Gli umani possono vederci soltanto se siamo noi a mostrarci, e non ho alcuna intenzione di rivelarmi alla signorinella. Per dire la verità mi sembra un tipo noiosetto.»

Carlo strinse i pugni «Non osare parlare di lei…» tre colpi alla porta lo interruppero.

Aprì e si ritrovò faccia a faccia con Sara.

«Ciao. Posso entrare?» Il suo tono era timido, tremante.

A Carlo mancò il respiro. Non era pronto, non sapeva cosa dire, non sapeva come dirlo. Si morse il labbro e la invitò ad entrare con un gesto.

Lei entrò.

Doveva dirle qualcosa. Qualcosa di intelligente, di simpatico, di gentile, ma non gli venivano le parole. Sara era tornata da lui, aveva accettato di parlargli, era lì, nella sua casa!

La ragazza fece qualche passo verso il soggiorno, dove si bloccò «Wow… certo che pulito e ordinato questo posto non è così male. Mi piace. È bello»

No, Sara era bella, bellissima. I suoi capelli ondulati sembravano scintillare alla luce che filtrava dalla finestra. Il suo prendisole azzurro danzava nell’aria, e il suo cappellino bianco le faceva il viso ancora più tondo. I suoi occhi azzurri si spostavano da una parte all’altra, ma non si soffermavano mai su di Carlo. Le sue mani erano strette alla borsetta rosa che teneva a tracolla. Anche la sua posa era incerta.

«Allora…» cominciò lei, spezzando quel terribile silenzio «Ho saputo che volevi dirmi qualcosa di importante, quindi…» distolse lo sguardo «… eccomi. Ti ascolto»

Carlo inspirò. Ora o mai più. «Volevo dirti che… che avevi ragione, Sara. Su tutto. Ero davvero un casino quando abbiamo litigato, ma adesso le cose sono cambiate.» fece un passo verso di lei «Io sono cambiato. E l’ho fatto per te, perché ci tengo a te.»

Le labbra rosse di lei si storsero in una smorfia «Ti sei impegnato e ti sei dato una sistemata, certo… ma non è la prima volta che ti trovi un lavoro e che mi dici che è tutto a posto. Come faccio a sapere che questo nuovo impiego non lo mollerai tra un paio di mesi e che poi mi verrai a dire di nuovo che è troppo difficile, che non fa per te?»

Dall’alto provenne una risatina soffocata. Maledetto Sorieno.

Carlo strinse i pugni. «Non è così, te l’assicuro. Io mi trovo bene al nuovo lavoro, sono felice, e…»

Bugia. Non era affatto felice.

Il lavoro era facile, la paga era ottima, ma ogni giorno Carlo perdeva sempre più l’appetito. E i suoi sogni, poi… Ogni sera era più difficile costringersi ad andare a dormire, e la mattina era un’impresa ancora più dura alzarsi dal letto.

Non c’erano dubbi sulle cause del suo malumore. «Soltanto una cosa mi manca, Sara, e sei tu. Per quanto mi impegni c’è un vuoto dentro di me, e solo tu lo puoi riempire. Tu mi completi. Sei sempre stata la parte migliore di me. Ricordi quando siamo andati in montagna, tre anni fa, per il nostro anniversario?»

Lei sorrise e gli strizzò l’occhio «Ricordo tutte le storie che avevi fatto per non venire. Dicevi che sarebbe stato meglio se fossimo andati al ristorante o al cinema.» Rise. Quanto era dolce la sua risata «Neanche dieci minuti di cammino e già sbuffavi e dicevi che non ce la potevi fare»

Carlo incrociò le braccia, e fece il finto offeso: «Ehi, era la prima volta che andavo su un sentiero così difficile!» si morse il labbro «Però quando siamo arrivati… la vista era splendida, la migliore della mia vita»

Sara fece un passo verso di lui e tese la mano. Gli sfiorò il braccio «Ci siamo sdraiati sotto un albero a goderci la sua ombra. Ci siamo tenuti stretti tutto il pomeriggio. Avrei voluto che quel giorno non finisse mai»

Quanto era lontano quel momento. Il cuore di Carlo batteva così forte che pareva volesse uscirgli dal petto. Come aveva potuto litigare con lei, che lo aveva fatto stare così bene? «Perché non lo rifacciamo? Lo possiamo trovare un weekend libero. Così potrai di nuovo sopportarmi mentre mi lamento per tutta la salita»

Lei sorrise, i suoi occhi azzurri fissi nei suoi, ma poi si ritrasse: «Oh, Carlo. Vorrei fidarmi di te, lo vorrei davvero. Ma non è facile»
Carlo le prese le mani: «Io vorrei solo che tu sapessi quello che ho dentro, quello che provo per te. Vorrei che tu riuscissi a perdonarmi»

«Ogni suo desiderio…» sussurrò una voce al suo orecchio «È un ordine!»

Carlo sbarrò gli occhi: «NO! Non osare…»

Le dita schioccarono, la campanella risuonò. Carlo si voltò di scatto. Quel maledetto demone non l’avrebbe passata liscia. «Ti ho detto espressamente di non…»

Una delicata pressione delle mani di lei lo costrinse a rigirarsi. Sara lo cinse in un abbraccio, gli accarezzò la schiena, il collo, la nuca. Carlo cercò di divincolarsi. Era quello che voleva, ma non nel modo in cui lo voleva. Non era giusto che fosse perdonato solo per il potere di un demone. La mano di lei sul suo capo premette per spingere il volto di Carlo verso il suo. «Aspetta!» mormorò «Dammi solo un…»

Le loro labbra si incontrarono, per la prima volta dopo tanto, troppo tempo. Il cuore di Carlo impazzì, le sue mani tremarono, la fronte si coprì di sudore. Tutta la tensione che aveva addosso svanì nel nulla. Con gli occhi chiusi, il sapore di lei che lo riempiva, il suo profumo che lo stordiva, non c’era più spazio per i dubbi. Lei si fece indietro, ma lui la trasse di nuovo a sé. L’unica cosa che contava era lei, lei e quel momento perfetto.

Infine si sciolsero, e Carlo riaprì gli occhi. Dietro le spalle di Sara il demone volteggiava con un ghigno beffardo e soddisfatto. Carlo strinse gli occhi, ma non sapeva cosa dirgli.

«Ho piuttosto fame» Sara si sedette su una poltrona e si sistemò il vestito «Possiamo ordinare qualcosa?»

Senza distogliere l’attenzione da Sorieno Carlo annuì «Certo, certo. Solo un attimo, devo prendere il telefono.»

Il mostriciattolo lo seguì nella sua stanza. Carlo gli puntò contro il dito «Il discorso non è finito»

Il demone si arricciò un ciuffo di capelli «Io non me ne vado. Può riprenderlo quando più le aggrada»

Carlo afferrò il cellulare «Non credere che non lo farò»

***

La pallina colpì il soffitto con un piccolo tonfo e ricadde nella mano di Carlo. Il ragazzo si sistemò il lenzuolo sul petto, strinse l’antistress e se lo passò di mano in mano e lanciò di nuovo verso l’alto. Poi ancora. E ancora.

La melodia allegra e insopportabile della sveglia dello smartphone interruppe il suo passatempo. Già le quattro? Carlo sbuffò, allungò il braccio e passò il dito sullo schermo per interrompere la suoneria.

«Qualcosa non va?» chiese Sorieno, con voce frizzante. Il demone quel giorno si era messo a camminare sul soffitto, e lo guardava a testa in giù.

La testa di Carlo ricadde sul cuscino «Non ho voglia di andare al lavoro» mormorò. Lanciò ancora la pallina e la riprese al volo.

«Oh» il demone si sedette a gambe incrociate accanto al lampadario «Se è per così poco…»

Schioccò le dita ed echeggiò il suono di una piccola campana.

Carlo mugugnò «Che hai fatto stavolta?»

Sorieno sollevò la tuba e si lisciò i capelli con l’altra mano «Ho soltanto dato una sistematina agli orari della settimana. Oggi ha il pomeriggio libero. Si diverta.»

Carlo scacciò il lenzuolo con un calcio «Non so se è una buona idea. Non voglio poi dover recuperare le ore un altro giorno»

Sorieno aggrottò le ciglia e incrociò le braccia «Mi ha preso per un demone di quart’ordine? Quelle ore sono cancellate, non le deve recuperare.» schioccò la lingua  «Ah, prima che lo chieda, no, non influirà sulla paga. Quando esaudisco un desiderio lo faccio a modino»

Si era offeso? Carlo alzò le spalle. Inutile darci peso. Tempo cinque secondi e gli sarebbe passato.

Si tirò in piedi con un lungo sospiro e si grattò la nuca. Quindi… pomeriggio libero. Scosse la testa. Boh. Eppure un tempo avrebbe saltato fino al soffitto per la gioia per quella notizia. Che cosa gli stava succedendo? Deglutì. Aveva la gola secca.

Sbadigliò e si diresse verso la cucina. Il demone fluttuò e gli si fece accanto. Ammiccò: «Cosa fa?»

Il broncio era scomparso, come volevasi dimostrare. Il solito Sorieno. Melodrammatico e prevedibile.

«Ho voglia di un’aranciata» disse Carlo. La mano di Sorieno si levò, ma Carlo la afferrò prima che potesse schioccare le dita «E ho voglia di farmela da solo».

Il demone sbuffò e volò via. Si sedette sul nulla, con le scarpe appoggiate sullo schienale di una sedia.

Carlo prese lo spremiagrumi, la tazza, il cucchiaino e mise tutto sul tavolo. I suoi movimenti erano rallentati. Aprì la dispensa. C’erano le mele, le pere, le fragole, i kiwi… ma niente arance. Alzò gli occhi al cielo. Gli toccava vestirsi, scendere in strada, andare fino al mercato e comprarle. Che palle. A meno che…

Si voltò verso il demone «Sorieno, vorrei avere delle arance. Belle mature, mi raccomando»

«Subito!»

Schiocco di dita, piccola campana, ed eccole lì. La dolce fragranza gli fece venire l’acquolina in bocca. Prese la più grande e la tagliò in due.

«Stavo pensando a una cosa» disse a mezza voce.

Il demone squittì: «Mi dica, mi dica. Non mi tenga sulle spine»

Carlo appoggiò la mezza arancia sullo spremiagrumi e schiacciò. Il ronzio della macchina riempì la stanza.

Si schiarì la voce, per sovrastare il rumore «La prima volta che ti ho incontrato ero stordito dai postumi della sbronza»

Il demonietto alzò lo sguardo, strinse gli occhi e si accarezzò il pizzetto, come per ricordare un passato molto remoto «Ricordo, sì». Esagerato. Era passato giusto qualche mese.

Carlo scosse la testa «Dopo che mi hai fatto stare meglio il mio unico pensiero è stato Sara. Volevo tornare con lei, ed ero disposto a tutto… anche scendere a patti con uno come te. E poi presumo che col tempo mi sono abituato ad averti intorno»

Il demone attorcigliò la coda «Ed io ne sono molto lieto»

Carlo sollevò l’arancia. Metà abbondante della polpa era rimasta attaccata alla buccia. Pigiò di nuovo, con tutta la sua forza, ma riuscì soltanto a spremere due desolanti gocce di succo. Che diamine. Non bastava neanche per mezzo bicchiere: «Ti dispiacerebbe spremere questa per me?»

Schiocco di dita, campana. La polpa scomparve dalla buccia. Lo spremiagrumi divenne bello pieno del liquido arancione.

Carlo versò il succo nella tazza «Il fatto è che non è normale avere un demone che esaudisce tutti i tuoi desideri. Mi viene da farmi delle domande. Insomma, che cos’è esattamente un demone? Tu chi sei? E perché sei venuto proprio da me?»

Sorieno alzò un dito. Un bicchiere dallo scaffale volò dritto nella sua mano. «Sono tutte ottime domande, e le risposte non sono certo facili».Tese la sua coda, da cui spruzzò un liquido violaceo finché il bicchiere non ne fu mezzo pieno. Agitò il tutto come se fosse un cocktail. «Farò del mio meglio per esporre una presentazione al contempo breve ed esaustiva» bevve un sorso.

Carlo si sedette e si resse la testa con entrambe le mani.

Sorieno resse il bicchiere in equilibrio sul mignolo «Ci sono molti tipi di demoni. La maggior parte di noi preferisce evitare di avere contatti con gli umani.» si scrocchiò le dita. Il bicchiere rimase sospeso a un metro da terra. «E di solito i nostri interventi sono abbastanza discreti. Per questo ci sono storie su di noi, ma non vere prove della nostra esistenza. Preferiamo vivere così, al limite della realtà.»

Il pungiglione afferrò il bicchiere «Sul perché ho scelto lei… ho solo colto l’occasione. Una fortunata ispirazione direi. Faceva proprio al caso mio»

Carlo strinse gli occhi «E com’è che faccio a sapere che tu non sei qui per la mia anima?»

Sorieno rise «Le ho già detto che non deve preoccuparsi. Esistono dei limiti ai poteri dei demoni. Non possiamo rubare le anime, così come non possiamo privare gli uomini del libero arbitrio.»

Carlo corrucciò la fronte. Qualcosa non gli tornava. Bevve un sorso del succo. Amaro, amarissimo! Arricciò il naso. Quasi sputò. Ci voleva dello zucchero, per forza. Dove lo aveva appoggiato? Ah, giusto. In cima all’armadio. E lui si era appena seduto! E l’armadio era così alto…

«Ehm» tossicchiò «Non è che potresti…?»

Sorieno inarcò un sopracciglio.

«Oh, che diavolo, lo sai cosa voglio dire»
Il demone alzò le mani «Si ricordi, finché il desiderio non è espresso non posso esaudirlo»

Carlo sospirò «Voglio che l’aranciata sia zuccherata al punto giusto»

Sorieno annuì «Oh, bravo. Ora sì che si ragiona»

Schiocco di dita, campana.

Carlo assaggiò l’aranciata. Dolce al punto giusto. Perfetta. Proprio quello che voleva. E allora perché era così faticoso mandarla giù? Perché neanche una cosa così buona riusciva a dargli sollievo?

Meglio pensare ad altro. «Cosa stavamo dicendo?»

«Niente di che» riprese Sorieno «Stavo per raccontarti della mia famiglia. Dunque, mia madre si chiama Ammit. Non è proprio “mia madre” come la intendereste voi umani, ovviamente. Noi nasciamo in maniera diversa. Quando sono nato ero già adulto, e vestito di tutto punto. Non appena…»

Carlo strinse i denti e si chinò sul suo succo d’arancia. Aveva preso la prima tazza che gli era capitata sottomano. Era bianca, pulita. Senza niente di speciale. Insignificante. Come lui.

Un dolore alla pancia lo scosse. Si piegò su sé stesso. Cosa c’era che non andava nella sua vita? Aveva letteralmente tutto ciò che poteva desiderare. Il rapporto con Sara ricucito, un lavoro semplice ma che pagava bene… come mai non riusciva a sentirsi soddisfatto? Cos’è che gli mancava ancora?

Si tirò su: «Senti… non è che potresti fare in modo che io non debba più andare a lavorare, ma che mi paghino comunque?»

Il demone interruppe le sue ciance e gli rivolse un ampio sorriso«È questo quello che vuoi, mio caro?»

Carlo distolse lo sguardo «Sì… cioè no… ci sto pensando tutto qui»

Sorieno si pizzicò un orecchio da pipistrello «Quando hai deciso, fammi sapere. Se è un tuo desiderio, io posso realizzarlo. Ricorda, io sono qui per darti tutto ciò che vuoi»

«Non lo so» Il piede di Carlo tamburellò sul pavimento «Forse la cosa di cui ho bisogno è soltanto di migliorare ancora un po’ l’appartamento»

***

«Perché non puoi farmi sentire bene?»

Carlo strinse le mani sul freddo lavandino. L’immagine scarna che lo fissava dallo specchio aveva delle pesanti occhiaie, ciuffi di capelli ribelli ovunque e delle chiazze di sugo sulla maglietta.

«Perché non puoi farmi sentire bene?» ripeté.

«Che cosa vuol dire “stare bene”?» la voce di Sorieno provenne da dietro di lui, ma il demone non si rifletteva nello specchio «Per esaudire un desiderio deve essere espresso in maniera chiara»

«Come può essere così complicato?» Carlo strinse i pugni e si voltò. Il suo cuore gli batteva nel petto fino a fargli male. Il suo stomaco era in subbuglio, il suo respiro affannoso.

Il demone alzò le spalle: «Alcune persone si sentono bene quando passano del tempo con gli amici. Altre quando sono da sole. Alcuni godono nel possedere beni materiali, altri infliggendo sofferenza al prossimo. Come faccio a capire che tipo di “bene” vuoi provare?»

«Non lo so, ma fa’ qualcosa!» Carlo si afferrò la faccia. Si graffiò la fronte e le guance «Non so cosa c’è che non va, ma non lo sopporto più!»

«Proviamo così allora» il ghigno di Sorieno era ancora più irritante del solito «Io provo a elencare una serie di possibilità, e tu mi dici se qualcuna ti sembra in grado di farti stare ‘bene’ come dici tu. Partiamo dalle cose più semplici… forse la nuova sistemazione ti mette a disagio? Posso fare qualcosa per migliorare l’arredamento?»

Carlo si trascinò fuori dal bagno. Poteva essere quello? Dal non lavorare più al non accontentarsi della baracca in cui viveva il passo era stato breve. Ormai non aveva più problemi coi soldi, dato che gli bastava esprimere un desiderio per ottenere qualsiasi cosa volesse. Aveva abbandonato il suo minuscolo appartamento e si era trasferito in un attico superlusso in pieno centro. Non c’era freno all’epicità di quel posto. Un’enorme jacuzzi da esterno, postazione da dj collegata a casse amplificate, tre diversi frigo minibar strategici per avere sempre una bibita fresca, poster di tutti i migliori film di Hollywood su tutte le pareti. C’era persino una griglia barbecue ultimo modello. E il tutto era nel quartiere più figo della città. Gli bastava attraversare la strada per raggiungere un ottimo bar dove fare rifornimento di alcol. Era il massimo dello sballo che potesse desiderare. E ovviamente nessuno veniva mai a lamentarsi per il casino Eppure già due giorni dopo essersi trasferito nulla di tutto quello gli dava soddisfazione.

In che modo quel posto avrebbe potuto essere migliore? «No, Sorieno, decisamente no. Va benissimo così»

Il demone arricciò il naso «Comprendo, comprendo. Proviamo qualcos’altro… che ne dici di una festicciola con i tuoi amici?»

Carlo si morse il labbro. Erano giorni che ci provava. Locali esclusivi, drink, musica, e poi fine serata nel suo attico. E niente post-sbornia. Sì, c’erano dei momenti di sballo, ma non appena si fermava un istante per riprendere fiato ecco che riprendeva quel fuoco che lo bruciava, lento ma inesorabile, e quei pensieri… quei pensieri terribili. Carlo scosse la testa: «No, non funzionerebbe»

Sorieno si avvicino e gli posò una mano sulla spalla«Magari allora la tua splendida fanciulla, la signorina Sara? Posso farla apparire in un istante, se desideri la sua compagnia…»

«NO! Lei no!» Carlo fu scosso da un brivido. Le cose tra loro andavano bene, benone, benissimo. Mai andate meglio. Non c’erano più liti, discussioni. Sara era docile e sempre contenta, accettava qualsiasi proposta, faceva tutto quello che voleva lui. Però… non andava. Ogni secondo con lei era una tortura. Era sbagliato. Qualcosa. Qualcosa non funzionava. Carlo non riusciva nemmeno a guardarla in faccia.

Lei era tutto quello che voleva. Ma anche la cosa che non voleva di più al mondo.

«E allora io non so più che fare. Pensaci e fammi sapere» la lingua di Sorieno accarezzò lentamente le sue labbra «Come si dice? Aiutati che il ciel ti aiuta!» e scoppiò in una fragorosa risata.

Carlo si alzò in piedi. In quella stanza enorme lui era così piccolo, inutile, insignificante. Doveva uscire. Doveva.

«Dove vai?» Il demone interruppe il suo scroscio di risa e gli fluttuò accanto, come un cane in attesa della passeggiata.

Carlo strinse gli occhi «Non lo so. Ma so per certo che non voglio averti vicino»

«Ma come…» Sorieno strabuzzò gli occhi in modo fin troppo teatrale «Come puoi cavartela senza di me?»

Carlo gli voltò le spalle.

«E se ti venisse da desiderare qualcosa? Se trovassi la risposta ai tuoi problemi e io non fossi lì con te non potrei esaudirti»

«E va bene» Carlo sbuffò «Ma non voglio sentirti fiatare, se prima non ti chiedo qualcosa io»

Sorieno annuì, si toccò il cappello con la punta del bastone e rimpicciolì fino ad assumere le dimensioni di un orsetto di peluche. Si appollaiò sulla spalla sinistra di Carlo e accavallò le gambe.

Carlo si mise a camminare, un passo davanti all’altro. Dove sarebbe potuto andare? Cosa avrebbe potuto fare? Una macchina strombazzò in lontananza. Un cane gli abbaiò contro. Non c’era nulla che potesse aiutarlo? Il suo cuore gli scoppiava nel petto ad ogni passo, consumato da quel male senza nome. A ogni battito era come se sanguinasse, come se fosse lacerato da una lama. Perché, perché stava così male? Aveva tutto. Aveva letteralmente tutto ciò che potesse desiderare. E allora perché niente riusciva a renderlo contento? Perché anche le cose più belle erano così inquinate, rovinate, prive di un senso? Dopotutto, che cosa aveva un senso nella vita? Esisteva un senso? E se non c’era, perché continuare con quella farsa?

Carlo si lasciò cadere seduto su una panchina. Attorno a lui decine, forse centinaia di persone vagavano con uno scopo e una meta che non avrebbe mai potuto conoscere. Nessuno poteva capire il dolore che lo stava distruggendo. E a nessuno importava.
Scosse il capo «Che schifo».

Non ne poteva più, non ne poteva più di tutto quel… quel tutto. Il brusio dei passi attorno a lui, il rombo dei motori, tutta quella confusione. Gli serviva qualcosa di diverso, di pacifico, tranquillo…

«Sorieno» la sua voce era flebile, stanca «Ti prego… voglio andare via di qui. Portami sulla cima che ho visitato con Sara tre anni fa»

Lo schiocco di dita risuonò come un colpo di cannone, e il suono della campana gli fece quasi perdere l’equilibrio e cadere di lato. Si coprì le orecchie e chiuse gli occhi.

Quando li riaprì era dove aveva chiesto di essere. Un fresco venticello gli accarezzò il volto e gli scompigliò i capelli. Tutto intorno era soltanto il verde dell’erba e il marrone della montagna. Tastò per terra, e ritrovò il sasso su cui lui e Sara si erano seduti a contemplare la strada. Colse una piccola campanula, e ne assaporò il profumo. Era tutto perfettamente come lo ricordava.

Inspirò a fondo.
«Ora sto meglio.»

Passò la mano sulla ruvida corteccia di un pino. I suoi aghi gli punzecchiarono le dita. Si tolse le scarpe e immerse i piedi nel gelido laghetto. Si godette lo scroscio dell’acqua, e scorse i pesciolini che vagavano in cerca di cibo. Intorno a lui tutto era pace e tranquillità.

«Ora sto meglio!»

In lontananza una marmottina fece capolino sul versante della montagna. Carlo afferrò un sasso, liscio e rotondo, e lo gettò in acqua. Ci fu un leggero “pluf”, e poi il sasso andò a fondo.

«Ora. Sto. Meglio.»

Sferrò un pugno all’erba. Perché, perché non era vero? Cosa poteva volere di più?

Nascose il volto nelle braccia e pianse. Cosa c’era che non andava in lui? Singhiozzò. Chiunque altro al suo posto avrebbe saputo cosa fare… anche soltanto cosa volere. Non c’era niente e nessuno che lo ostacolasse. Non c’era niente a impedirgli di ottenere ciò che voleva.

Alzò la testa di scatto «E se fosse proprio questo?»

La luce del Sole lo avvolse tiepida e accogliente. Si alzò in piedi. La strada che aveva percorso tre anni prima era lì. Tutte le zone d’ombra dove si era fermato a puntare i piedi per non proseguire, e tutta la salita. Mancava solo tutta la soddisfazione di raggiungere la cima, e tutte quelle ore, quel sudore, quella fatica che aveva fatto salendo.

Carlo si accarezzò il collo «E se fosse proprio perché è tutto così semplice?»

«Un momento soltanto, per cortesia» Sorieno tornò alle sue dimensioni originali, e gli si parò dinnanzi. Era sospeso oltre l’orlo della montagna, sopra lo strapiombo. «Per una volta, tesorino, se mi permetti, vorrei esprimere un desiderio io.» il suo tono era cupo, quasi minaccioso. Sul suo collo comparve una vena nera pulsante «Vorrei sapere esattamente cosa frulla nella tua splendida testolina»

Carlo sostenne il suo sguardo «Stavo pensando che forse se sto male è perché ottengo tutto ciò che voglio senza faticare. Quando sono salito su questa montagna con Sara… se mi ha fatto stare bene non era solo perché questo posto è bello, ma perché mi sono guadagnato questa bellezza. Tutte le cose che mi hai offerto mi hanno lasciato un enorme vuoto dentro perché era tutto gratuito. Non ci mettevo impegno, energia, non ci mettevo nulla.»

Sorieno scoppiò in una risata acuta. Si asciugò una goccia di sudore sulla fronte «Bene, bene, bene… e con questo cosa vorresti fare? Vuoi cacciarmi? Chiedermi di sparire?»

Carlo aprì la bocca, ma prima che potesse dire alcunché il demone si fece avanti e gli appoggiò un dito sulle labbra «Pensaci bene prima di rispondere» la pelle bianca sfrigolò sotto la luce. «Pensa con attenzione a tutte le cose che ti ho dato. Pensa al tuo lavoro, alla tua casa lussuosa, alla tua ragazza. Se te la sei cavata negli scorsi mesi è stato solo grazie a me. Vuoi davvero buttare via tutto questo?»

Una fitta di nausea. Carlo cadde seduto. Non ci aveva pensato. Che cosa aveva quando Sorieno lo aveva trovato? Niente. Una vita ridotta a una matassa informe di casini che non sarebbe mai riuscito a districare. Voleva davvero tornare a quello?

Sorieno conficcò il suo bastone a terra, a un passo dai piedi di Carlo: «Mostra un po’ di gratitudine, bambino. Io ti ho dato tutto quello che hai voluto. Non puoi certo dare la colpa a me se non ti piace ciò che vuoi. Sei davvero sicuro di voler dire addio a tutto questo? Vuoi davvero tornare in un mondo dove non puoi mai avere quello che vuoi?»

«No!» Carlo si portò le mani sulle orecchie. Non ce l’avrebbe mai fatta. Si passò la lingua sulle labbra screpolate «Non sarebbe possibile… tenere solo una piccola parte delle cose che mi hai dato? Tipo… magari il lavoro, e Sara… o anche soltanto Sara… potrei ricominciare da lì, anche senza di te…»

Sorieno spalancò le fauci e i suoi i denti di squalo brillarono. «Oh, no, caro il mio pasticcino, non funziona così.» la figura del demone tremolò e si ingrandì «Sono stato molto chiaro quando ci siamo incontrati la prima volta, o no?» la sua voce si fece profonda e gutturale «Se io me ne vado, tutto ciò che ti ho dato viene via con me.» il suo artiglio scivolò lungo la guancia di Carlo «E tu te ne ritorni nel tuo squallido appartamento, senza un lavoro, senza un soldo, e soprattutto senza la tua adorata Sara»

Il demone era diventato due volte più alto di Carlo. Si ergeva minaccioso e statuario, mentre la luce intorno a lui calava.

Carlo si strinse le braccia contro il petto. Che cosa poteva fare? Sorieno aveva ragione, non poteva sopravvivere senza di lui. Ma non poteva neanche andare avanti così.

«Non ce la faccio più» mormorò a denti stretti.

Non poteva tornare a casa e far finta di niente. Non poteva più ignorare quel dolore. Ma ritornare a com’era prima… dover ricostruire tutto da zero, e questa volta senza l’aiuto di nessuno… come avrebbe potuto fare? Come avrebbe potuto sperare di riuscirci?

«Non ne posso più» una lacrima solcò il suo volto «Vorrei… vorrei solo che finisse. Che finisse tutto»

Il demone gettò la testa all’indietro e rise. La sua risata fece tremare la terra, dei pezzi di montagna si staccarono e iniziarono a rotolare giù lungo il pendio. Il cuore di Carlo iniziò a battere forte. Il pomolo del bastone da passeggio, la testa di coccodrillo, batté i denti al ritmo della risata. Ma non poteva essere vero… o sì?

«Ogni tuo desiderio… è un ordine»

Carlo alzò una mano. Un momento, un momento soltanto! Aprì la bocca, ma non uscì alcun suono.

E poi, cosa avrebbe potuto dire? Cosa avrebbe potuto volere di diverso?

Sorieno alzò le mani e le batté. Al primo colpo una crepa si diramò dal suo bastone, lunga e sinuosa, e spaccò in due il fianco della montagna sotto Carlo. Il ragazzo tentò di scostarsi, ma le sue gambe erano rigide e immobilizzate. Trattenne il fiato.

Secondo colpo. La crepa si aprì, divenne una spaccatura, un crepaccio. Carlo si aggrappò al bordo. No, no, non poteva andare così. Aprì le labbra secche, e richiamò tutta la sua voce “Aspetta… aspetta”. Le parole gli uscirono con un piagnucolio.

Sorieno lanciò un gridolino estatico, le mani pronte a battere ancora una volta “Troppo tardi, Carlo. Hai espresso il tuo desiderio, mi hai dato il permesso. Ho vinto!”

Terzo colpo. Dai lati del burrone si formarono degli spuntoni di roccia triangolari, appuntiti e affilati, proprio come i denti di Sorieno. Le mani di Carlo scivolarono, e la pietra penetrò nella carne. Carlo urlò a squarciagola e dimenò le gambe, ma riuscì a restare aggrappato. Il sangue gli scorse lungo i polsi. Una goccia gli cadde dal pollice sulla fronte sudata.

Rimbombò un violento colpo di un gong. L’intera montagna fu scossa da un forte terremoto.

Carlo perse la presa.

Precipitò nell’abisso. Intorno a lui c’era solo roccia e il fischio dell’aria.

Urlò, ed il suono riecheggiò lungo le pareti dell’abisso.

La luce in cima era sempre più lontana, sempre più flebile.

Alla fine scomparve.

Tutto fu buio.

Poi silenzio.

Ma in fondo, non c’era nient’altro per lui nel mondo.

***

«Dottor Ricci, il suo turno non finiva alle otto di mattina?»

Ricci sbatté le palpebre «Sì, sì…» soffocò uno sbadiglio sul dorso della mano «Finisco solo un attimo il giro e… e poi vado a casa»

Angela annuì «Mi raccomando dottore, non si sforzi troppo» e passò oltre. Il rumore dei suoi passi sfumò nel corridoio semideserto. Che tesoro d’infermiera!

Il dottor Ricci si sistemò gli occhiali. Ogni anno che passava gli occhi lo tradivano un poco di più.  Dunque, dunque… stanza 167. Incidente d’auto dovuto a stato di ebbrezza. Scosse il capo e si accarezzò la barba. «Brutta storia» mormorò.

Aprì la porta, che emise un cigolio sinistro.

Accanto al letto c’era un uomo, basso e molto elegante, chino sul ragazzo in coma. Il dottore sobbalzò. Lo sconosciuto indossava un cappello a cilindro, e portava un bastone da passeggio con un pomolo a forma di… testa di coccodrillo? Ma era uscito da una festa in maschera?

Il dottore si accarezzò il collo «Mi scusi, che cosa ci fa qui? Non è orario per le visite»

L’uomo si voltò verso di lui. Si passò un fazzoletto di seta sulle labbra. «Buonasera, dottore. Mi perdoni, me ne stavo giusto andando» tornò a guardare verso il paziente «Una persona davvero squisita, sa?»

Ricci afferrò il colletto del camice e lo strattonò: «Non mi sembra di averla mai vista, qui. È un parente, un amico?»

«È una lunga storia» l’ometto si gonfiò «Ne abbiamo passate tante insieme, ma adesso se ripenso a tutti i momenti passati con lui» accarezzò la mano del ragazzo «…è come se fosse tutto un dolce sogno».

Emise un singhiozzo soffocato. Ricci si grattò la testa. Avrebbe giurato che quel suono fosse una risatina.

Cadde il silenzio, interrotto soltanto dal meccanico “bip… bip… bip…” dell’elettrocardiogramma.

Il dottore fece un passo avanti «Ad ogni modo, devo ripeterglielo, non è ancora l’orario di visite. Le dispiacerebbe tornare più tardi?»

L’uomo misterioso sorrise. «Ha perfettamente ragione. Mi sto trattenendo troppo. Le porgo i miei saluti, dottore. Chi lo sa, magari un giorno ci rincontreremo» e si diresse verso l’uscita.

Un brivido freddo corse lungo la schiena del dottore. Che tipo bizzarro. Scrollò le spalle. Meglio non darci peso. Un breve controllo e via, sotto le coperte. Era ormai troppo vecchio per il turno di notte.

Aprì la cartella. Perché diavolo si ostinavano a stampare tutto così in piccolo? Ecco lì. Mancini Carlo, ventisette anni, eccetera eccetera. Sbadigliò. Forza, forza coi test di routine, che prima si iniziava prima si finiva.

Prese dalla tasca una torcia, poi con due dita aprì le palpebre del paziente e puntò la luce contro il suo occhio. La pupilla rimase fissa e dilatata. Ricci mugugnò e si massaggiò la tempia. Midriasi. Pessimo segno.

Meglio provare i riflessi. Impugnò un laringoscopio e lo infilò nella gola, nel tentativo di stimolare una reazione dal riflesso faringeo. No, niente. Nessun segno di deglutizione, nessun movimento. Ricci si morse il labbro.

L’ultimo test. Il dottore prese con mano salda il tubo che pompava ossigeno nel corpo incosciente. Diede un forte strattone. Boccheggia, ragazzo mio, boccheggia. Dimostra che ci provi a respirare, che ci tieni ad avere l’aria nei polmoni!

Niente.

Ricci si morse l’unghia del pollice. Dannazione! Si volse verso il monitor dell’encefalo. Completamente piatto. Nessun segno di attività cerebrale da… due ore?

Si passò una mano tra i capelli, si lasciò sfuggire un borbottio senza senso e si accasciò sulla sedia per le visite.

Morte cerebrale.

Il ragazzo non si sarebbe mai più risvegliato.

Il battito del cuore artificiale, il respiro costretto a forza dall’apparecchio… niente di tutto questo avrebbe potuto riportarlo tra i vivi. Mancini Carlo era morto.

«Così giovane…» il dottor Ricci si portò la mano alla fronte, poi la fece scivolare sugli occhi e infine sul mento «Così giovane».

Incrociò le braccia sul petto. C’erano ancora alcuni esami da fare perché tutto fosse in regola a livello legale, ma se ne poteva occupare qualcun altro. Tanto non sarebbe cambiato niente.

Ricci si sistemò il colletto. Aveva gli occhi pesanti.

La porta cigolò, ed il dottore trasalì. Era Angela, seguita da una ragazza. Quella ragazza.

L’infermiera gli sorrise «Dottore, so che manca ancora un po’ all’orario di visita, ma per questa volta non sarebbe possibile fare una piccola eccezione?»

La ragazza fece un passo avanti. Il suo sguardo era rivolto verso il basso «Mi dispiace, è che oggi è l’unico giorno questa settimana che potevo venire, e fra poco…»

Continuò a parlare, ma Ricci non afferrò quello che diceva. Quella ragazza. Così gentile, così premurosa. Quattro mesi era venuta a trovare il suo moroso in ospedale. Si torse le mani. Proprio vero che a certe cose non ci si abitua mai. Poteva lasciare che glielo dicesse qualcun altro… no, meritava di saperlo subito.

Com’è che si chiamava? Chiara? Mara? No, no.

Si schiarì la gola «Sara?»

Il suo tono era stato molto meno deciso di quanto avesse voluto. La ragazza si attorcigliò una ciocca di capelli «Sì, dottore?»

«Signorina» Ricci inspirò «Dovrei dirle una cosa»

Racconto di Simone Miraldi