Squalo si sistemò per l’ennesima volta sulla trave per ridurre il formicolio al culo. Guardò in alto, dagli spiragli tra le assi non si vedeva più filtrare il sole.
La luce nella torre era svanita da un bel pezzo, in realtà.
Avrei dovuto contare i giri di ronda. Ne ha fatti quindici, sedici? Diciassette?
Scrocchiò il collo e le dita, le strinse e le nocche tesero la pelle cerea.
Quanto ci mette Slag a cominciare?
Si era alzato un vento leggero, lo sentiva bisbigliare dalle fessure sopra al sua testa, scivolare tra le pietre. Chiuse gli occhi e ascoltò ancora, sincronizzò il suo respiro alla brezza.
Brezza che accompagnava dei passi, scarpe su legno, con il loro tac-tac e il cigolio lieve del camminamento.
Solo un soldato di ronda, non due come al solito.
Una sensazione familiare gli percorse il corpo con un tremito, appena più leggero del formicolio alle chiappe.
Senza pensarci strinse il pugnale, e nel momento stesso in cui se ne rese conto iniziarono le urla.
Era ora, che cazzo.
Sotto di lui, il tintinnio degli anelli di maglia sul metallo e il sussulto del soldato gli sussurrarono che le aveva sentite pure lui e si era girato.
Si gettò dalla trave senza nemmeno farla gemere.
Un quintale di muscoli piombò sulla schiena della guardia, il coltellaccio da trincea si piantò tra le vertebre e la spalla, sfondando il camaglio d’acciaio con uno schiocco metallico.
Squalo sentì il sangue schizzargli sulle dita e il corpo della guardia piegarsi, poi la botta del pavimento contro le ginocchia.
Estrasse il coltello e voltò con la sinistra il soldato. Aveva nemmeno ventun’anni, a occhio. Il lato destro del collo era già diventato una marmellata e gli occhi erano fissi, ma tremava ancora.
Squalo ci piantò la punta del coltello e spinse con tutto il corpo per spaccare l’osso del cranio. Solo quando sentì lo schiocco umido della parete frontale che si apriva come un guscio si sentì soddisfatto.
Si alzò, rigirando il pugnale tra le dita e lo scosse per togliere il sangue e il fluido cerebrale.
Meditò per un istante se strappare o meno al giugulare con una bella morsicata a quel povero diavolo, pregustandone la consistenza tra i denti, ma le urla lo distolsero dalla sua fantasia, ricordandogli la lista delle cose da fare.
Si affacciò oltre l’arco della torre e controllò il cancello. Quattro guardie nella stanza della porta, a una ventina di metri di distanza.
Spostò il cadavere della guardia nell’angolo e gli sfilò la daga, una mezza merda in confronto al suo caro vecchio coltellaccio, ma comunque utile. Tornò al punto in cui l’aveva abbattuto e raccattò pure la lancia.
Bene, aspettiamo Jack.
Appoggiò le spalle al muro per controllare l’altro arco d’accesso ed evitare sorprese. Le grida continuavano, si erano fatte più acute ma meno numerose.
Slag ha voglia di divertirsi.
Si immaginò le guardie nella torre del cancello, agitate come topi in un incendio, obbligate a mantenere la posizione. Il crepitio di un fulmine sovrastò le grida per qualche momento.
Squalo sorrise e partì alla carica lungo il camminamento, verso la torre.
Le guardie avrebbero avuto troppo da fare per notarlo.
***
Slag si sistemò il mantello, di modo che il suo tronco fosse di nuovo completamente coperto. La stoffa pesante gli cadeva addosso come una tenda.
Si tirò di nuovo il cappuccio sulla testa e andò alla porta con le bande in bronzo, calpestando con gli stivali le viscere e le altre frattaglie degli uomini che aveva appena squartato. Il sangue sul pavimento tramutava i suoi passi in un ciaff-ciaff ritmico.
Bussò alla porta con il manico del pugnale, quattro volte, poi ancora una.
Pochi attimi e il chiavistello sferragliò. Davanti a lui comparve una delle guardie, le chiavi in una mano e la spada nell’altra.
Si irrigidì per un istante, pronto a sferrargli una stilettata alla gola, prima di accorgersi che sorrideva.
«Fanculo, Tomm. Stavo per ammazzarti.» Ringhiò, rendendo ancor più greve la sua voce già rauca. «Dovevi proprio vestirti uguale?»
«Che cazzo di travestimento è, sennò?» Tomm il Grigio si spostò per far passare il compagno.
«L’elmo potevi togliertelo.» Slag entrò in quello che ricordava chiamarsi “salotto dell’alchimista”. Il proprietario del salotto doveva essere il tizio con i capelli brizzolati e la gola aperta che se ne stava riverso sulla poltrona.
«Una guardia senza elmo? Sei diventato scemo?» Tomm richiuse la porta. «Ti sei divertito, vedo.»
«Serviva un diversivo, mi pare. Anche tu non hai perso tempo, comunque.»
Tomm gironzolò per la stanza con la spada appoggiata sulla spalla, sbirciando tra gli scaffali colmi di alambicchi, ampolle e altra vetreria. «Non doveva essere qui, ma c’era. Che altro dovevo fare?»
Slag si schiarì la gola. «Facciamolo partire da qui.»
Indicò un angolo della stanza, dove stava una cuccetta di paglia coperta da vecchie lenzuola.
L’altro annuì e appoggiò l’arma sulla scrivania, sostituendola con alcune boccette piene di liquido nero.
Slag sventrò la cuccetta e sparse in giro la paglia, arrotolò un lembo del lenzuolo e lo intinse nel liquido scuro. Il suo compagno rovesciò il resto delle boccette sugli scaffali e la scrivania e prese il lume dal tavolo.
«Aspetta finchè non calo la corda, poi accendi tutto.» Slag indicò la finestra con il capo e si voltò verso l’unica decorazione di quella stanzetta, un grosso arazzo sbiadito con sopra le tre chiavi incrociate. «Era qui dietro?»
«Sì.»
L’assassino fece scorrere il pugnale contro le pietre del muro, gli occhi chiusi.
«In basso.» Gli fece Tomm da dietro la spalla.
«Lo so.» Slag batté con la punta dello stivale uno dei mattoni e la parete sibilò, spostandosi appena un poco indietro. La spinse ancora con la spalla e davanti a lui si aprì un lungo corridoio buio. Non si voltò neanche verso Tomm. «Chiudi tutto e aspetta la corda. A dopo.»
Seguì il corridoio a orecchio, nel buio più assoluto, sentendo la porta segreta richiudersi dietro di lui
Vediamo un po’ dov’è l’archivio, adesso.
Schioccò la lingua ritmicamente, ascoltando il rimbalzare del suono sulle pareti, e sbucò infine all’imboccatura di quello che, nella sua mente, doveva essere un vecchio pozzo. Tastò con la mano le pareti polverose, con la suola dello stivale accarezzò il bordo del pavimento prima del vuoto.
Allungò il braccio e sfiorò qualcosa di sottile, ruvido. Nella sua testa visualizzò una corda.
L’afferrò e tirò. Il terminale a cui era agganciata, a orecchio meno di dieci metri più in su, cigolò appena.
Dev’essere il pozzo del montacarichi.
Slag ripercorse la sua posizione sulla mappa.
Su, destra, destra e poi l’archivio.
Si attaccò alla corda e iniziò a salire senza fatica. Uno spiraglio di luce lo attendeva in cima, luce calda che filtrava tra delle assi di legno. Oltre, delle voci concitate.
Accostò l’occhio a una delle fessure tra le assi.
Due individui, un uomo e una donna, entrambi armati ma con le lame infoderate.
Slag sorrise. Si issò a braccia fino ad avere le gambe puntate contro il legno e caricò un calcio.
Chissà se Jack e gli altri hanno già finito.
***
I corpi dei due soldati avevano ancora qualche spasmo. Tic facciali, dita che tremavano appena.
Jack scrocchiò il pollice, guardandosi le cicatrici sulla mano. Quattro fiori di fulmine che si intrecciavano con le loro spettrali radici pallide si insinuavano sotto alla tunica, lungo tutto il corpo.
Uno scrocchio umido.
Spostò gli occhi su Squalo, che aveva appena strappato la lancia dal collo di una delle guardie che aveva ucciso.
Lui la guardò con i suoi occhi liquidi da pesce. «Moccioso?»
Jack indicò con la testa i merli del camminamento appena oltre la torre e sentì un tonfo leggero dietro di lei.
Dopo un attimo il bambino dal cranio rasato le apparve accanto, tirando su con il naso e sfregandosi gli occhi lucidi con l’angolo della tunica bianca.
Squalo gli rivolse un sorriso orribile, spalancando la sua enorme bocca. «Forza allora.»
Scesero le scale a chiocciola che portavano al camminamento coperto e lo percorsero silenziosi, a passo di corsa.
Nessuna guardia incrociò il loro cammino, finché Squalo non alzò il pugno sinistro per fermarli. Un drappello di soldati, qualche istante dopo, attraversò l’incrocio in cui stavano per entrare, senza degnarli di un’occhiata, sibilando frasi nell’aspra lingua di Adelweiss.
«Cosa dicevano?» Sussurrò Jack a Squalo.
«Non ho capito.»
La ragazza dai capelli rasati sbuffò. «L’incendio?»
L’energumeno pallido scosse il capo, divertito. «Smettila di preoccuparti, lo sentiremo quando scoppierà.»
Proseguirono dritti, oltre l’intersezione, fino ad arrivare al massiccio doppio portale della fortezza. Sotto il camminamento su cui si trovavano stava sciamando un drappello di guardie, ma le porte di metallo scuro erano ancora chiuse, separate al centro da una colonna di marmo decorato con demoni e uomini dalla lunga barba avvolti in tuniche.
Jack le indicò con un cenno del capo. «E adesso?»
«Rilassati.» Squalo le fece un altro orrido sorriso e si arrampicò in una nicchia a lato del portale. «Nasconditi nel vano di sinistra, io vado qua.»
Jack fece una smorfia ma annuì, secca. Si diresse verso Moccioso e gli indicò la nicchia. Il bambino iniziò ad arrampicarsi e la ragazza si guardò intorno, in cerca di un altro nascondiglio per stare lontana dal piccoletto, ma in quel momento un boato squarciò l’aria.
Istintivamente si girò verso Squalo e vide le sue labbra mimare la parola “cazzo”.
Si mise di profilo contro la colonna che divideva il portale e pochi istanti dopo sentì le campane suonare tutte assieme.
Le porte di metallo vibrarono e iniziarono ad aprirsi.
Appena ci fu abbastanza spazio ne uscirono quattro uomini in rosso, due a destra e due a sinistra, i volti coperti da scritte sottili articolate in forme geometriche.
Le lunghe tuniche erano coperte da parti d’armatura brunite, piastre pettorali, paracosce, schinieri.
Jack trattenne il fiato.
Uno di loro trasalì e si voltò verso di lebattèi, fermandosi di scatto. Nei suoi occhi lesse prima sorpresa, poi panico, poi odio.
Stava ancora alzando il martello da guerra che reggeva con la destra quando Moccioso gli saltò addosso, abbracciandogli il collo.
Il Fratello Persecutore cacciò un urlo da bestia ferita e lasciò cadere l’arma.
Il corpo di Jack agì prima che la mente potesse rendersene conto. La ragazza sentì l’energia formicolarle attraverso il braccio e poi le dita, che protese di scatto verso l’altro Fratello che si era girato di colpo.
La scarica elettrica le eruppe dalle dita e lo centrò in pieno, attirata dal pettorale dell’armatura.
L’uomo venne gettato indietro e si schiantò contro la balaustra di pietra del camminamento, la sua tunica iniziò a fumare.
Jack sentì l’uomo che Moccioso aveva abbrancato urlare più forte e lo vide crollare in ginocchio.
Fece appena in tempo a balzare indietro per evitare un colpo di mazza che le sfiorò la spalla.
Il Fratello Persecutore di fronte a lei ruggì qualcosa e la sua arma, modellata di modo che la testa somigliasse a una fiaccola, prese fuoco.
Dietro di lui, per un istante, Jack scorse Squalo affondare la lancia nel fianco dell’ultimo Fratello e spezzarne l’asta.
Troppo lontano.
Fu costretta a scappare indietro da un altro colpo di mazza, che si portò dietro una scia fiammeggiante. Negli occhi del Fratello lesse un odio fanatico, che rendeva superfluo comprendere cosa stesse gridando.
Solite cazzate contro i maghi. Per questo stanno perdendo la guerra.
Concentrò un’altra scarica nella mano, ma dopo l’ennesima mazzata l’uomo le assestò un calcio in petto.
La punta dello stivale le mozzò il respiro.
Jack cadde di schiena, la mazza si abbatté a pochi centimetri dalla sua testa. Sentì l’ustionante calore del fuoco sulla guancia e sul collo.
La tunica le impediva i movimenti, schiacciata sotto il piede del Fratello che adesso ghignava, gli occhi luccicanti d’odio.
Jack chiuse d’istinto gli occhi, ma lo sentì gridare.
Scagliò la scarica alla cieca, senza pensare. Il fulmine le graffiò le dita, ma non sentì dolore. Fu l’uomo a lanciare un secondo urlo, ancora più forte.
Aprì gli occhi.
Moccioso stringeva la caviglia del Persecutore, il viso del bastardo era contorto dagli spasmi del dolore.
Il bambino aveva gli occhi lucidi, le lacrime gli rigavano le guance paffute.
Durò un istante. Poi la punta di una lancia gli sbucò dallo zigomo con uno spruzzo di sangue.
L’uomo crollò in ginocchio e Squalo lo spinse a terra con un calcio, sorridendo. «Niente male eh? Andiamo, siamo in ritardo.»
Le voltò le spalle e si diresse verso il portone.
Jack si alzò. Moccioso teneva i grandi occhi fissi su di lei, ma non parlava.
La ragazza deglutì. Si strappò un pezzo di tunica e glielo porse. Il bambino, facendo attenzione a non toccarla, lo prese e si asciugò le lacrime.
***
Il vescovo Gerhart si asciugò il sudore dalla fronte. «Cosa state aspettando, per Dio?»
Le tre guardie deglutirono, gli occhi fissi su di lui. Il sergente si grattò nervosamente la cicatrice che aveva sul mento. «Signore, l’incendio…»
«Non m’importa dell’incendio!» Sulla fronte del vescovo una vena pulsava pericolosamente. La sua veste da camera semiaperta lasciava intravedere le gambe secche, segnate dalle macchie dell’età. «Dobbiamo portare via subito i registri.»
«Ma…»
Il vescovo lo fulminò con lo sguardo. «Portateli nella mia stanza, subito.»
Diede loro le spalle prima di ascoltarne la replica e si diresse a passo svelto verso la sua piccola armeria privata.
Alla fine è arrivato, no? ti sei preparato per anni a un giorno come questo.
Spalancò le porte della sala da scherma, oramai occupata da rastrelliere ed espositori colmi di esemplari costosi e letali dell’arte dell’acciaio.
Superò i pesanti spadoni che aprivano la sua collezione e le mazze, e si fermò alle spade da una mano.
Serviva qualcosa di leggero, di rapido. Soppesò una delle lunghe spade la lato col punzone di Urwine e la lasciò giù.
Troppo pensante in punta, troppo lunga. Avessi dieci anni di meno…
Lo stomaco gli ribolliva.
Ma di tutti i giorni, proprio adesso? Fosse successo anche solo cinque anni fa, allora si che mi sarei divertito.
Un rumore metallico nell’altra sala fece trasalire il vescovo. Una stretta di paura gli abbrancò la bocca dello stomaco e sentì le ginocchia tremare.
Vecchio scemo, non è il momento di farsi prendere dal panico.
Afferrò la sua vecchia spada. Sulla lama era incisa una rappresentazione della pietà del signore che discendeva sui fedeli, e sopra di esse il nome pietat.
Gerhart sorrise. Menò un paio di fendenti per ricordare al suo corpo come si faceva.
Respiro e passo vecchio, respiro e passo.
Con la vestaglia slacciata uscì dall’armeria e si trovò di fronte quattro individui. Li squadrò per qualche attimo, visto che non accennavano a muoversi. Ai piedi del primo, avvolto in un pesante mantello scuro, stavano i corpi di due delle sue guardie, quelle alla porta. Il loro sangue gli lordava il tappeto, l’inestimabile tappeto di Gesimar che aveva comprato tre anni prima. Quello, da solo, valeva la metà della sua collezione di armi.
Dietro al tizio col mantello stava un energumeno a petto nudo, la pelle cerea e i capelli neri unticci. Accanto a lui, uno smilzo pelato e un bambino, pelato pure lui.
Ma chi cazzo…?
«Chi cazzo siete voi?»
Nessuno gli rispose. Il vescovo strinse la spada tra le dita.
Non sembrano soldati, ma allora chi…?
Scorse velocemente la lista di chi voleva fargli le scarpe. Oltre ad Adelmund, Rosylynn e il resto della pletora di vescovi che voleva il suo posto, i nomi erano tanti.
I quattro non si muovevano, come se sia spettassero che fosse lui ad attaccare.
Fanculo. Almeno se devo morire, morirò combattendo, come un er…
Un dolore acuto alla tempia gli fece calare il buio negli occhi.
***
«Sei un guastafeste.» Squalo lanciò un’occhiataccia a Tomm.
Il Grigio estrasse lo stiletto dal cranio del vecchio e lasciò cadere il corpo a terra. Scrollò le spalle in risposta all’occhiata di Squalo e indicò col pugnale la stanza dietro di sé. «Ce ne sono tre lì dentro, assieme ai registri.»
«Armati come?» Jack superò il corpo del vecchio.
«Balestre e spade. Ma c’è troppa ferraglia per te in quella cazzo di stanza.» Tomm si voltò verso il compagno incappucciato. «Slag?»
L’assassino rispose con un grugnito e si incamminò a passo pesante verso al stanza, scomparendo oltre la porta.
Tre scatti metallici, tre rumori secchi, cupi.
Poi le grida.
Durarono pochi istanti, prima che un quarto, sinistro rumore, simile a quello di una mannaia che squarta un pezzo di carne e sega le ossa, le coprisse.
Tomm il Grigio si appoggiò con le spalle al muro e bussò alla porta. «Slag? Siamo contenti?»
Slag emerse dalla stanza, il volto schizzato di sangue ma il mantello, come al solito, perfettamente intonso. Nella destra stringeva un libro rilegato da una copertina di legno e pelle. «Siamo molto contenti. E lo sarà pure Cardinale.»
Squalo ridacchiò. «Finalmente si torna a casa. Non sopporto più questo cazzo di paese.» Si stiracchiò, come se si fosse appena svegliato. Sotto la pelle sudaticcia i possenti muscoli guizzavano come serpi.
«Landen dovrà attendere, Squalo.» Slag si tirò il cappuccio sopra ai capelli biancastri. «Abbiamo un altro lavoro da fare prima. Ordini dall’alto. Anzi, altissimo.»
Jack si scurì in volto. «Cosa aspettavi a dircelo?»
«Cambia poco. Il nuovo bersaglio dell’Imperatrice è giusto sulla via del ritorno.» Slag, per la prima volta in tutta la sera, sorrise con sincerità.
–
Racconto di Luca Vitali.
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