DUNK

Seguo Gahyda su per le scale. La lunga treccia vesterith dondola a destra e a sinistra a ogni suo passo, battendole contro le cosce.
Una volta arrivati in cima, le faccio cenno di stare indietro. Mi avvicino alla porta e busso un paio di volte.
Dall’interno proviene un mormorio concitato. Riconosco al volo la seconda voce. Jack, cazzo, lo sapevo.
Sento qualcuno armeggiare col chiavistello, poi clack. La porta si apre e appare Squalo. È a torso nudo, l’immancabile coltellaccio stretto in pugno.
«Dunk.»
Mi osserva dall’alto con l’espressione di chi ha appena visto un sorcio sul pavimento. Non che mi aspettassi un altro tipo di benvenuto, s’intende.
Piego la testa un po’ all’indietro e sorrido. «Buongiorno, Markov.»
Per guardarlo dritto in faccia mi ci vorrebbe una scala.
Il suo sguardo corre rapido a Gahyda e alla scimitarra che porta alla cintura, poi torna su di me.
«Che cazzo ci fai qui? Come mi hai trovato?»
Vedo un lampo d’allarme guizzargli negli occhi. Che soddisfazione, cazzo.
«Beh, dopotutto è il mio mestiere. A proposito, bella trovata, quella della… »
«Va’ all’inferno.» Jack mi si para davanti, come se il povero Squalo avesse bisogno di essere difeso. Le vene di mani e polsi si illuminano di una luce azzurrata, pulsante.
Anche Gahyda si avvicina. «Io non lo farei se fossi in te, ragazza dei fulmini.»
Jack ci scocca un’occhiata feroce, ma è costretta a farsi da parte.
A cuccia, micetta.
«Buongiorno, mia cara. Lascia che ti presenti Gahyda: l’ho portata qui apposta per te.»
Squalo mi afferra per un braccio e mi strappa da terra. «Chi t’ha detto di noi?»
«Tranquillo, tranquillo, ho solo tirato a indovinare. Voi due siete sempre stati fuoco e paglia… Potresti rimettermi giù?»
Mi lascia andare con un ringhio. La linea dell’arteria gli pulsa sulla gola.
Santi Quattro!
Sforzo una risata, mentre mi riaggiusto la camicia. «Ma sai che ti dico? Hai fatto bene: questo posto ha bisogno di un tocco femminile.»
Il cuore mi tuona nelle orecchie.
Lui snuda i denti in un sorriso lupesco, minaccioso. «Già.»
Fa cenno a Gahyda di entrare.
La svitata non se lo fa dire due volte. Oltrepassa una furiosa Jack, raggiunge la cassapanca e si siede stravaccata all’indietro. Appoggia la schiena contro il muro e getta gambe e stivali sul tavolo.
Proprio accanto alla cassapanca sono ammonticchiate quattro borse da viaggio.
Guarda un po’, qualcuno si prepara a partire.
Squalo richiude la porta e va a sedersi su uno sgabello. Io mi arrampico sull’altro, aiutandomi con le braccia. Jack rimane in piedi a rivolgere occhiate incendiarie a tutti, compreso Squalo, colpevole di non averci sgozzati subito.
Lui si gratta la mascella spruzzata di barba. «Cosa vuoi, Dunk?»
«Non dovresti essere così diffidente nei confronti di un collega, sai? Sono qui per chiederti aiuto. Sto cercando Kaya e Sefu.»
«E io a che ti servo?»
Mi strofino la faccia. Dietro gli occhi sento arrivare un mal di testa di quelli bastardi.
«Te l’ho detto: ho bisogno di una mano. Ho già scoperto qualcosa, s’intende. So che sono coinvolti nella morte di Langolder e della sua cricca…»
Squalo abbaia una risata. «Per quel ne so io, Langolder l’ha scannato una puttana.»
Gahyda ride più forte di lui.
«Sappiamo che la tua squadra ha un contatto tra le Cappe Blu.» Indica Jack con lo sguardo e solleva le sopracciglia. «Secondo me, un assassino di maghi non ti ha lasciato indifferente.»
Restiamo tutti zitti per un lungo istante. Si sente solo un alito di vento che soffia attraverso gli scuri. Sembra quasi un rantolo.
Cerco di sistemarmi meglio sullo sgabello, ma i miei piedi non toccano terra. Mi giro verso Jack.
«Langolder, Greaves e il Conte di Fenstone avevano rilevato degli opifici nel Quartiere dei Filatori e licenziato tutti. Forse i loro incantatori avevano scoperto un modo di aumentare la produzione utilizzando la trama magica. Tu li conoscevi, Jackie?»
Lei si passa una mano sui capelli rasati. «No, sono tutti più vecchi di me. Carr e Laeddis lavoravano per Fenstone, la Deronnay e Autumn Gayle erano loro amici. Credo che avessero studiato insieme.»
La luce del Vespro le rende gli occhi ancora più verdi.
«Gli omicidi sembrano opera di rivoltosi, un gruppo di operai insoddisfatti o qualcosa del genere, ma ci sono degli incantatori tra loro», interviene Gahyda. «Quando hanno ammazzato Fenstone è stato avvistato uno strano animale volante…»
Jack scuote la testa. «Per questo pensate che sia Sefu? Che cazzo c’entrano i gemelli con quella gente? Sono agenti della Sezione… »
Allargo le braccia. «Non lo so. Volevo chiederlo al tuo uomo.»
Squalo sospira. «Il Lord Reggente in persona se ne sta occupando. Atelweyld non vuole una rivolta nella sua città e questo è il momento peggiore.» Lancia uno sguardo cupo in direzione della finestra. «C’è stato uno scontro a casa della Deronnay. I gemelli hanno ammazzato un paio di Giustizieri.»
Per poco Gahyda non cade dalla cassapanca. «Come sai che sono stati loro?»
«Il mio contatto me li ha descritti. C’è un’altra donna con loro, una maga potente, ma non so chi sia. Non è una dei nostri, credo.»
Jack mi lancia l’ennesima occhiataccia e incrocia le braccia sul petto. «Non sappiamo nient’altro, e adesso vattene.»
Squalo la fissa come se fosse Cordis in persona, poi si gira verso di me e annuisce. «Non possiamo aiutarti.»
Beh, questo lo vedremo, cazzo.
Balzo giù dallo sgabello e passo accanto alle borse da viaggio. «Ma certo, ma certo. Vedo bene che avete altri programmi.»
Mi dirigo verso porta, Gahyda mi segue ridacchiando.
«Non c’è nulla di male nel volersene andare da qui, s’intende, ma qualcuno potrebbe pensare che non abbiate intenzione di tornare. E cosa succederebbe se Cardinale avesse bisogno dei vostri servigi?»
Squalo spinge indietro lo sgabello, mi raggiunge accanto alla porta.
«Il Grigio e Slag sanno come rintracciarmi. Non siamo disertori.»
«Oh, io non l’ho mai pensato, ma altri potrebbero fraintendere. Se a me o a Gahyda scappasse per sbaglio qualche parola di troppo, perfino il vecchio Slag si troverebbe nei guai.»
Le zampacce di Squalo si chiudono a pugno. «Dimmi che cosa cazzo vuoi.»
«Voglio il nome del vostro contatto nelle Cappe Blu. Voglio informazioni di prima mano sulle indagini e trovare i miei uomini prima che il Reggente li colleghi alla Sezione.»
«Che farai quando li avrai trovati?» Jack ha una smorfia dispiaciuta. Kaya le è sempre stata simpatica.
«Si sono ficcati in un guaio troppo grande. Hanno messo in pericolo la nostra segretezza. Non esiste clemenza di fronte a questo, nemmeno per i compagni di squadra. Cosa credete che farebbe Slag al mio posto?»
Squalo fa sì con la testa, ma lo vedo rabbrividire. «Si chiama Icarus Crane. Non è una Cappa Blu, è un Paladino di Iustus.»
E bravo il nostro Squalo, addirittura un amico Giustiziere.
«Convincilo a parlare con me, e io e Gahyda terremo la bocca sigillata riguardo alla vostra piccola vacanza.»
Lui si piega verso di me. Mi afferra una spalla e me la serra come in una morsa.
«Sta’ attento, Dunk. Crane ha una figlia. È una brava persona. Se gli succede qualcosa di male per colpa tua, io lo saprò.»

 

TOMM

La luce verdastra del sole disegna sulla strada ombre traforate come pizzi, filtrando attraverso i merli del Tempio di Giustizia. È una luce sbagliata, malata.
Forse è davvero la fine del mondo.
Stringo il bocchino tra le labbra e aspiro una, due, tre volte, fino a scottarmi la lingua. Mi strappo la pipa di bocca.
Fanculo, devo calmarmi.
La bottega è molto diversa da quella dove ho iniziato io.
Il locale di vendita è proprio sulla Piazza di Giustizia, e c’è un grande laboratorio sul retro. Ai piani superiori, gli alloggi per gli aiuti e gli apprendisti.
Tutto questo poteva essere mio. Doveva essere mio.
Mentre mi avvicino all’entrata, stringo i pugni così forte che mi dolgono le nocche.
Sarebbe meglio che me ne andassi. Non ha senso ostinarsi ancora, sbattere la testa contro il muro.
No, voglio vederla. Soltanto per questa volta, l’ultima volta forse, ora che lui non c’è.
Spingo la porta, quasi trattenendo il fiato.
Trovo un ragazzo dryen seduto al bancone. Ha due corna appena spuntate e una corta barbetta bianca.
Scatta in piedi nel vedermi entrare. «Buongiorno, Messere. In cosa posso esservi utile?»
Dalla stanza alle sue spalle proviene una voce di donna che canta una canzonaccia da taverna. Ha un timbro da adolescente, aspro e incerto.
Mi asciugo le mani sudate sul davanti dei calzoni e intanto mi guardo intorno. «Vorrei vedere il tuo maestro.»
Alle pareti sono appesi soggetti comuni: navi, ritratti, alzate di frutta.
«Messer Howell non è in città, ma potete parlare con Charlotte, sua figlia.»
«Sua figlia?»
Lui fa sì con la testa. «È l’aiuto di Messer Howell, dirige la bottega in sua assenza.»
Senza darmi il tempo di aggiungere altro, apre con uno spintone la porta del laboratorio e lancia un urlo. «Lottie!»
La canzone si interrompe. Sento un paio di tonfi e uno scalpiccio di passi.
Il mio cuore manca un battito.
Charlotte fa capolino con la faccia sorridente, in uno scintillio di granelli di polvere. «Benvenuto, signore.»
La sua espressione cambia di colpo. «Che cosa fate con quella? Spegnetela subito, mi rovinate i quadri!»
Santi Quattro, ho ancora la pipa accesa. Per poco non mi cade di bocca. «C-certo, perdonatemi.»
Esco, la svuoto per terra e rientro in un attimo.
Lottie, la mia Lottie, ha ripreso a sorridere. «Scusate se sono stata così brusca.»
Ha un viso triangolare, delicato, circondato da una massa di boccoli castani. Assomiglia a me.
Cerco di calmare il tremito delle dita. «No, avete ragione. Avevo scordato di spegnerla. È proprio un brutto vizio, sapete?»
Lei si pulisce le mani tinte di colore sul davanti del vestito ancora più sporco. «Io ho quello del canto.»
«Aye, vi ho sentita. Una bella canzone allegra.»
Il ragazzo dryen ridacchia. Lottie lo guarda male.
«Mio padre dice che c’è già troppa tristezza intorno e non bisogna cantarne altra.»
Il modo in cui pronuncia quella frase mi svuota i polmoni, come se qualcuno mi si fosse seduto sul petto. «Vostro padre deve essere fiero di voi.»
Lei raddrizza le spalle e annuisce. «L’ho sempre aiutato nella bottega, fin da quando ero piccola. Macinavo i colori, costruivo i pennelli, pulivo, raschiavo persino le tavole di legno. Ogni giorno mia madre doveva togliermi le schegge dalle mani.»
Vorrei dire qualcosa, ma la voce mi resta piantata nel ventre come un artiglio.
Quel ricordo è anche mio. Era la mia vita, quella, prima che lui me la portasse via.
«Guardate, signore.» Il dryen mi indica un quadro nascosto in un angolo, tanto che prima non lo avevo notato. «Che ne dite di quello là?»
È Lottie ritratta di tre quarti, con un abbozzo di quel suo sorriso innocente e gli occhi grandi, vivi. La luce spiove da sinistra, il chiaroscuro è ottimo.
Mi avvicino alla tela. «Lo avete dipinto voi?»
Charlotte si attorciglia alle dita una ciocca di capelli. «Sì, davanti allo specchio.»
«Non ne siete soddisfatta?»
«Niente affatto», sbruffa «Gli manca qualcosa che attiri lo sguardo.»
«Aye, dovreste aggiungere qualcosa di brillante, che richiami la luce delle pupille. Un gioiello, magari un orecchino.»
Charlotte mi raggiunge di fronte al ritratto. Sembra quasi illuminarsi, mentre immagina il risultato finale. «Avete ragione. I-io… non so come ringraziarvi.»
«Per così poco?» Le faccio l’occhiolino.
Il suo sguardo mi studia, attento. Mi fa correre un brivido per tutto il corpo.
So che ha capito, mi ha riconosciuto. Cordis, ti prego, fa che succeda. Fa’ che si ricordi di me, deve farlo. Sono io, Thomas Howell, suo padre.
«Anche voi siete un pittore?»
«Oh, aye! Lo sono stato.» Mi scappa una risata che è quasi un pianto. «Tanto tempo fa.»

 

ATELWEYLD

Le sorde martellate di pugni che pestano la carne riverberano nel vicolo.
Sospiro, alzo gli occhi al cielo. Scommetto il mio seggio al Concilio che è lei.
Attraverso le ombre dei quartieri poveri senza far rumore. La notte senza luna sarebbe perfetta, se non fosse per il baluginio verdastro del cielo.
Almeno quest’apocalisse non ha cambiato la notte, per quelli come me.
Petra ha sfondato la porta, con tutta probabilità addosso all’uomo riverso a terra, sulla soglia. Lo scavalco ed entro nel tugurio.
«Capitano Black.»
Petra mi guarda, il pugno sospeso in aria e l’altra mano che stringe il bavero di un figuro, la faccia ridotta a una maschera rossa.
La lampada a olio sul tavolo le disegna ombre profonde sul lato destro del viso.
«Lord Atelweyld.»
L’uomo, se è un uomo, gorgoglia qualcosa. Sulle sue labbra si formano bolle di sangue e saliva.
«Lo vuoi lasciare andare, Capitano?»
Petra serra i denti, deglutisce e apre la mano. Il poveraccio crolla all’indietro contro il tavolo e va a terra.
Le assi di legno cigolano sotto i miei stivali.
«Cosa stai facendo, per i Quattro?»
Per un momento colgo un baluginio rosso nei suoi occhi grigi.
Oh, cazzo, cazzo! Lo sapevo!
Scuote la testa.
«Stavo conducendo un’indagine.»
Se fosse un’altra persona la prenderei a frustate, ma il sospetto che tutto questo sia colpa mia mi sta divorando lo stomaco. Non posso.
«Se non lo hai notato, Capitano, siamo nel bel mezzo di un’apocalisse.» Mi sforzo di mantenere un tono piatto. «Lascio Landen per due settimane e tu ne approfitti per assaltare i bassifondi?»
«Dove altro potrebbe essersi nascosta, eh?» Petra sbuffa, cammina in tondo come un leone in gabbia. «Devo trovarla.»
Devi o vuoi?
Santi i Quattro, cosa ti ho fatto? Maledetto verme, avevi giurato di non convertire più nessuno…
«Io forse ho un nome.»
Petra spalanca gli occhi. Sono iniettati di sangue.
«La ragazza?»
Annuisco.
«Me lo ha dato l’Alto Arcanista.»
«Dimmelo!»
Potrebbe saltarmi alla gola, se non lo facessi, ne sono sicuro.
Non avrei dovuto salvarla. Non avrei dovuto permettere alla Straziante di prenderla.
Ma oramai il danno è fatto.

***

Un mese prima

La finestra al piano superiore della villetta di Sabine Deronnay esplode, un guizzo di luce illumina la notte.
Merda, è troppo tardi!
«Sono già dentro, muovetevi!»
Petra scatta alla porta e la spalanca, saliamo le scale di corsa. Il rumore dei soldati che ci seguono riesce quasi a coprire il cozzare di lame che viene da sopra.
Con una torsione del polso evoco la mia frusta tra le dita, le spine mi pungono la mano. L’arma avvampa di luce rossa.
Petra si lancia dentro al salone in cima alle scale, spada alla mano, ma si pianta di colpo.
Un uomo dagli occhi azzurri, a pochi passi da lei, sfila la lama dal ventre di un altro.
Petra lo fissa con gli occhi sbarrati.
«M-Morgan…»
Dietro all’uomo ci sono i cadaveri di altre guardie del corpo, Sabine è accasciata contro il muro, lo macchia di sangue.
Gli unici in piedi sono una ragazzina bionda, tutta ricci, e due, un maschio e una femmina, con la pelle scura.
La biondina fa un gesto e Petra vola in aria come un bambolotto, si schianta alla parete.
Cazzo, una maga!
Le prime guardie ci raggiungono.
«Carica!»
Faccio schioccare la frusta verso la maga, brucia l’aria da tanto è rovente, ma l’uomo chiamato Morgan mette la spada in mezzo.
La frusta torna indietro sfiorandogli al guancia, lui lancia un affondo al mio ventre.
Veloce, ma non abbastanza, lo devio con una frustata e indietreggio.
Morgan scivola di lato e para un colpo di lancia, i miei uomini lo costringono a indietreggiare.
La maga alza una mano e quelle prende a brillare.
«Kaya, Sefu, muoviamoci!»
I due con la pelle scura corrono verso la finestra spaccata.
L’aria vibra, al maga ci lancia addosso la luce.
Valka, mordi la mia carne!
La dea mi ascolta, le spine mi scavano nella pelle e il dolore si tramuta in fuoco. Allungo le mani.
La luce esplode, colpisce la mia barriera come una cannonata.
Barcollo indietro.
Maledizione, quanto è forte?
Petra è accanto a me, il suo petto si muove appena.
Mi serve un altro chierico, non posso farcela.
Un altro lampo, la barriera vacilla. Una delle guardie, troppo avanti perché riesca a proteggerla, viene colpita e vola in aria, si schianta sul marmo.
Agito la mano e Valka plasma un pugnale di puro calore rosso tra le mie dita.
Lo pianto nel petto di Petra, lei strabuzza gli occhi e grida.
La carne lo assorbe, le costole scrocchiano e tornano a posto.
«Petra, ascoltami. Usa il dolore, usalo!»
Mi fissa, non capisce.
Le indico la maga.
«Ti ha ferito lei, rialzati e prendila. Devi odiarla!»
Gli occhi le si iniettano di sangue.
«Morgan… Morgan!»
Altri scricchi, i muscoli del collo le si gonfiano.
Ruggisce e afferra la spada, scatta oltre la mia barriera. L’arma si illumina di cremisi, la maga indietreggia.
Le sue mani brillano, l’aria sembra addensarsi attorno a esse.
Petra abbatte a spada sullo scudo che la bionda sta creando, l’aria crepita, lei attacca ancora e ancora, urla come un’ossessa.
La spada si fa sempre più rossa, colpisce sempre più forte.
Dèi, cosa ho fatto?

***

«Dimmi quel nome!»
«Hai già sentito la sua voce?» Fisso Petra negli occhi. «Ti ha già parlato?»
«Di chi cazzo stai parlando?»
«Valka. La Straziante.»
Si paralizza, le piccole labbra arricciate a scoprire i denti.
«Cosa c’entra adesso…»
«Lo sai. Mi servivi in piedi e non sono un seguace di Cordis, che ti aspettavi che facessi?»
Ho alzato troppo la voce, me ne accorgo solo adesso.
«Perché vuoi la ragazza, Petra?»
«Quello che stava con lei era…» Si blocca, trema di rabbia. Serra i pugni e i guanti di pelle scricchiolano. «Era… io ero innamorata di lui.»
«Il suo nome è Brita Winton, era l’apprendista di un mago, Nalevh…»
I cardini di una porta cigolano, alla mia sinistra. Una voce completa la mia frase.
«Haynes.»
Un uomo emerge dall’altra stanza, abbassa il cappuccio e rivela un volto stanco, coperto da una barba sfatta.
«Nalevh Haynes. E sono io.»

 

NALEVH

Batto le nocche sulla porta, le bende che mi fasciano la mano attutiscono il toc toc.
Che io sia maledetto se la prossima volta non mi schermo le mani dal fuoco.
La voce di Lascan, oltre la porta, è sospettosa.
«Chi è?»
«Sono io, apri.»
Il battente si apre di qualche centimetro e l’occhio verde smorto di Lascan mi scruta da capo a piedi.
Lancio uno sguardo a destra e a sinistra. Il vicolo è deserto.
«Vieni, Nalevh.»
Olber è seduto al tavolo, il fumo della sua pipa è dolciastro e pesante, lo sento già insinuarsi nei vestiti.
Il mezz’orco mi fa un cenno di saluto.
«Non pensavo di dirlo, ma è un piacere averti qui, Nalevh.»
Lascan zampetta davanti a me e si appollaia sulla sua sedia. Si sfiora le orecchie appuntite con le mani.
«Sì, sì, un piacere, certo, ma si può sapere dove…»
Faccio un secco “no” con la testa.
«Non si può, Lascan. Avete scoperto qualcosa?»
«Sulla figlia del sergente Winton? Qualcosina forse sì.» Lascan si frega le mani. «Ma non è stato facile, e tu certamente capirai, Nalevh…»
Qualcosa si impossessa di me, il mio corpo si muove da solo. Guardo le mie mani afferrare il bavero del mio vecchio commilitone mezz’elfo.
«Se non mi dici subito quello che sai…»
Olber mi appoggia una mano sulla spalla.
«Piano, piano Nalevh, via. Lascan scherzava, non è così?»
Rivolge al suo compare un’occhiata di fuoco e Lascan ridacchia.
Lo lascio andare.
«L’avete trovata?»
«Era in compagnia di un ex soldato, un certo Morgan Waker. È tornato a Landen da poco, era sotto Black nella sua unità…»
«Non m’interessa di dove serviva, Olber!»
Respiro nel silenzio che il mio urlo ha creato, una, due, tre volte.
«Mi dispiace. Ma lei è…»
«Lei è importante, lo so.» Olber si gratta i corti capelli brizzolati. «Altrimenti non avresti chiamato noi. Questo Waker e due altri tizi, i nomi non li so, sono stati visti l’ultima volta vicino all’accesso delle cripte di Coldridge, all’uscita sud del porto.»
Soffoco una bestemmia.
«Ma quello è un cazzo di labirinto di baracche, isole di merda e acque intossicate.»
Lascan alza gli occhi al cielo e annuisce, rapido.
«Sarà mica per quello che ci si sono rintanati?»
Scuoto la testa.
«No, è… è impossibile, Brita non farebbe mai… non…»
Gli occhi mi bruciano, sento un tremore che mi striscia fin dentro le ossa.
Crollo su una delle sedie e affondo la faccia nelle mani. Le bende assorbono le lacrime.
«Su, su, Nalevh, io scherzavo.» Lascan cerca di far riprendere un tono scherzoso alla voce. «Non è che sia un posto così brutto, anzi, è quasi pittoresco, e…»
«Sta’ zitto, Lascan.» Olber mi stringe il braccio. «Nalevh, è andata lì pochi giorni fa, e non è posto in cui si sta per fare villeggiatura. Si sta nascondendo, e se ci sbrighiamo possiamo ancora…»
Qualcosa di metallico pesta contro la porta. La voce, dall’altra parte, è quella di una donna.
«Tempio di Giustizia, aprite subito la porta!»
Lascan balza in piedi.
«Scappa, Nalevh. Non ti devono trovare, dopo tutto il casino che…»
La donna batte con più forza.
«Aprite!»
Olber mi tira in piedi e mi spinge verso la porta in fondo alla stanza.
«Sbrigati!»
«Ma se vi trovano qui, cosa vi inventate?»
Mi sorride.
«Qualche stronzata Lascan la sa tirar fuori. Vai, ci vediamo all’alba a Coldridge.»
Entro in un corridoio coi muri macchiati dall’umidità e solo una pietralucente mezza esaurita a illuminarlo col suo bagliore freddo.
Forza, forza Nalevh, ricomponiti, per i Quattro.
Mi asciugo gli occhi.
La serratura, nell’altra stanza, salta con uno schiocco.
«Oh, buonasera, noi…» Lascan tenta un tono mieloso.
Il rumore di un pugno lo zittisce.
«Taci!» La donna ruggisce. «Dove cazzo è? Voi lo sapete!»
Sto ancora decidendo se entrare e fermarla o darmela a gambe, quando la sua frase mi fa tremare anche il cuore.
«Dove cazzo è quella ragazzina?»

 

SPECCHIO

Lo Scultore è al centro della stanza, seduto a gambe incrociate su quello che un tempo era un altare.
Alla sua destra stanno in piedi due Sultharis, maschio e femmina, armati di tutto punto. Dall’altra parte ci sono un uomo con gli occhi chiari e una ragazzina bionda e bellissima, che sembra trovarsi lì per sbaglio. I suoi giocattoli preferiti.
Nel vedermi balza in piedi, allargando le braccia. «Benevenuto, amico mio, nella nostra umile dimora.»
Indossa una maschera d’avorio scolpita in un viso sorridente, che lascia libere soltanto le orecchie appuntite.
È un elfo tanto quanto io sono un uomo.
Mi muovo verso di lui e mi passo la mano sulla faccia, cancellando il mio volto umano.
La biondina mi fissa con gli occhi sbarrati, gli altri tre snudano i coltelli.
La maschera dello Scultore, invece, continua a ghignare, beffandosi di tutti noi.
«Dimmi, amico caro, sei qui per una di queste brave persone?»
«Sono qui per te, Scultore.»
«Oh, questo è piuttosto lusinghiero. Che cosa vuoi da me?»
«Non io, ma quello che tu chiami Feng e che qui nell’Occidente è Baruk, Padrone Di Tutti I Patti.»
Lesto come un giocoliere, sostituisce la maschera con una dall’espressione più grave.
«Il Lupo ti ha parlato?»
Annuisco. «Vuole che tu vada a Jaaset, per prendere il posto destinato a te.»
«No, no, non ancora.» geme lo Scultore.
Inizia a camminare frenetico avanti e indietro, pestando i piedi e stracciandosi il farsetto variopinto. Le maschere che porta appese alla cintura battono una contro l’altra con un gran baccano. Ne indossa una con le guance rubizze e paffute e la bocca all’ingiù.
«Non puoi obbligarci», frigna, come un bambino capriccioso «Il momento è arrivato troppo presto, qui ci stiamo ancora divertendo.»
«Non lo ordino io, ma Colui con cui hai stretto il tuo patto. Tu Gli appartieni.»
Lo Scultore cambia di nuovo maschera. Ora il suo volto è quello di una giovane donna.
Si rivolge al guerriero con gli occhi azzurri. «Tu lo faresti, Morgan? Te ne andresti senza vendicarmi?»
L’uomo di nome Morgan stringe i pugni e scuote la testa. Le lacrime tracciano due linee pallide sulle guance sporche. «N-no, Alice, no, mai…»
Lo Scultore ridacchia. «E tu, Brita?»
La biondina ha un sussulto.
«Tu vuoi che me ne vada via? Proprio ora che il tuo maestro ti sta cercando? Ora che si è accorto di te?»
«No, non voglio.»
Lo Scultore batte le mani, compiaciuto. «Sentito? A loro piace quello che facciamo… Abbiamo appena cominciato a giocare.»
La sua risata stridula echeggia nei cunicoli, provocando la fuga di un gruppo di ratti. «Io ho creato il caos.»
Ora sorrido anch’io. «L’apocalisse ha creato il caos. Tu hai creato solo qualche guaio al Reggente. Non è per questo che abbiamo ricevuto i nostri doni.»
Lui sbuffa, come uno scolaretto di fronte a un insegnante noioso.
La mia pazienza è esaurita. La Vera Voce sgorga dalla mia gola come un ululato.
«Ricorda Scultore, il Lupo può spezzare il tuo Patto in ogni momento, e banchettare con la tua carne. Va’ a Jaaset. Uccidi la Dea.»
Lo Scultore trema, sembra quasi essersi rimpicciolito. «Se il Padrone vuole questo, obbedirò.»
Addolcisco di nuovo la voce. «Colui Che Conosce Tutti I Nomi ha apprezzato il tuo lavoro. I tuoi giochi sono stati per Lui fonte di grande diletto. Fa’ in modo che continuino anche in tua assenza.»
Lo Scultore si affanna tutto in inchini e ringraziamenti, mentre gli giro le schiena e mi allontano.
Le sue risate mi inseguono lungo i corridoi bui, fino all’uscita delle Cripte.
Riassumo il mio solito aspetto. La luce verdastra del giorno ferisce gli occhi del pittore.
Mi lascio alle spalle Coldridge, dirigendomi verso il molo.
«Per i Quattro! Siete proprio voi!»
Mi giro di scatto verso il mezzelfo dai capelli rossi.
Lui fa un enorme sorriso. «Sono un vostro grande ammiratore. Non sapevo che foste in città»
«Oh, aye! Gli affari non aspettano nessuno! E poi un viaggetto a Landen è sempre un piacere, persino di questi tempi.»
Il mezzelfo annuisce, soddisfatto.
Faccio un rapido inchino e mi getto il mantello sulla schiena con uno svolazzo. «Vi auguro una buona giornata!»
«Una buona giornata a voi, Messer Howell!»

Racconto di Melissa Negri e Luca Vitali