Zaira e Marta non si degnarono di un singolo sguardo e non proferirono neanche una parola. Il rumore del locale riempiva le orecchie a sufficienza con il chiacchiericcio, la musica soffusa e i saltuari scontrini battuti alla cassa. Marta apprezzava quel brusio di sottofondo.

Dopo meno di un minuto di attesa, Max tornò indietro con tre grossi bicchieri da mezzo litro pieni di birra chiara coperti da qualche centimetro di schiuma candida e li posò sul tavolo un attimo prima che gli scivolassero dalle mani. Tirò fuori dalla tasca della felpa una bottiglia di Coca Cola in vetro e la stappò.

«Allora…» Cominciò distribuendo i bicchieri e sedendosi. Michelle prese il suo con entusiasmo, Zaira si limitò ad avvolgere con le dita la sua bottiglietta lasciandola sul tavolo mentre Marta non toccò nemmeno il proprio. «Ai nuovi incontri, alla nuova arrivata e a un altro lunghissimo e monotono anno di scuola che ci costringe insieme.»

Michelle fece altrettanto. «A tutte queste cose.» Ridacchiò facendo scontrare i loro bicchieri. Entrambi toccarono la Coca Cola di Zaira con il fondo del proprio boccale, e poi bevvero. Marta si guardava intorno come se stesse studiando le opere d’arte di un museo, evitando lo sguardo di Zaira che la fissava.

«Perché sei qui?» Domandò allora Zaira a Marta con tono poco amichevole.

«Mi ha invitato Max.»

«Intendo qui a Roma.»

«Perché tanto interesse?»

«Rispondi.» Ordinò in poco più che un sussurro sibilato tra i denti.

«Hanno trasferito mio padre per lavoro, quindi eccomi qua.» Rispose seccata.

«Zai’…» Rimproverò Michelle sottovoce. Max alzò le sopracciglia, incuriosito, ma entrambe si ricomposero e sembrò avessero cancellato quello che era appena successo.

Un paio di fischi alle spalle attirarono la loro attenzione. Un gruppo di cinque ragazzi di età compresa tra i tredici e i sedici anni guardava le tre ragazze in maniera indiscreta e provocatoria. Al contrario dei nostri, loro bevevano quelle Coca Cola come se fossero i più potenti tra gli alcolici.

Max sogghignò. «Se volete chiamare i vostri genitori basta chiedere. Avete lasciato il ciuccio a casa?»

«Ma che cazzo v’oi?» Domandò il più alto tra loro, sfoggiando una corporatura ben piazzata e uno sguardo intimidatorio che sembrò solo farlo annoiare.

«Siete voi che cercate pompini dal lato sbagliato della tangenziale.» Rispose Max con naturalezza, prendendo un altro sorso dal bicchiere. Marta e Michelle fecero una smorfia di disgusto e Zaira stava per parlare, ma Max la interruppe indicando una macchina da pungiball. I tre allungarono un sorriso, lasciando Marta confusa. «Facciamo una sfida?» Domandò Max beffardo accennando di nuovo al macchinario.

I ragazzi si guardarono tra di loro, increduli, poi scoppiarono a ridere. Sempre il più alto riprese la parola. «Stai a scherzà?»

«Occhio che lui fa pugilato!» Esclamò un altro divertito.

«Che c’è? Avete paura di farvi fare un bocchino?» Domandò Michelle con tono provocante. Sembrava un’altra ragazza rispetto a quella che Marta aveva visto fino ad allora. Incrociò le braccia sul tavolo e le usò come piedistallo per mettere ancora più in vista il seno prosperoso. Il gruppo di ragazzini sgranò gli occhi e le guance di alcuni si colorarono, facendo sorridere sia Max che Zaira.

«Attenta, che questi un paio di tette dal vivo non le hanno mai viste.» Disse Zaira in un sussurro. Marta era ogni secondo sempre più confusa, con gli occhi che scattavano dai ragazzi a Max e Michelle.

«Se invece vinco io, ci offrite da bere fino alla fine della serata.»

«Accetto.» Si affrettò a dire quello alto. Max si alzò e il suo metro e settanta fece ridacchiare il gruppo. Il ragazzo, più alto di almeno quindici centimetri, ricevette due monete da un suo compare basso e smilzo con un orribile codino biondo e inserì nella macchina la prima. La sfera morbida rivestita di pelle sintetica scese compiendo un arco di novanta gradi. Lui si mise in posizione e, dopo un paio di secondi di concentrazione con una buona guardia da pugile in bella mostra, diede il colpo. Il bersaglio schizzò verso la posizione originale e il suono della macchina riempì il locale. I tre numeri a led cominciarono a crescere, fino a quando non si fermarono a 158. Il suo gruppo scoppiò in un’ovazione e Marta sgranò gli occhi.

«Io non lo faccio un bocchino per colpa vostra.» Avvertì con tono fermo.

«Aspetta.» Disse Zaira indicando Max che aveva appena inserito l’altra moneta da cinquanta centesimi. Il bersaglio scese di nuovo, e Max fu inondato dalle risate di scherno del piccolo gruppetto che ora lo circondava.

«Vediamo che sai fare.» Continuava a ripetere quello alto.

Max gli mando un sorriso divertito, poi, con una velocità talmente estrema che per poco non riuscirono a vederlo, diede uno schiaffo alla sfera morbida che, di nuovo, schizzò verso l’alto, ma questa volta con un suono metallico sordo. Il punteggio, che arrivò almeno un paio di secondi dopo, era di 650. Tutti nelle vicinanze, eccezion fatta per Zaira e Michelle, sgranarono gli occhi mentre Max incrociava le braccia. «Credo tu debba dei soldi a me e delle scuse a qualcuno.»

Il ragazzo alto dovette mordersi la lingua per non rispondergli. A malincuore tirò fuori il portafoglio dalla tasca. Normalmente non lo avrebbe mai fatto, ma il numero 650 gli faceva pensare che non fosse bene andare contro di lui. Porse a Max una banconota da cinquanta euro. “Generoso…” pensò tra sé e sé.

«Me dispiasce…»

«Non credo ti sentano.» Affermò Max beffardo.

«Mi dispiace!» Ripeté allora con maggior voce.

«Siamo a posto, buona serata.» Salutò Max prendendo i soldi. Michelle e Zaira ridacchiarono mentre lui le raggiungeva al tavolo. «Hai il resto?»

«Mi pare di sì.» Disse Michelle andando a rovistare nella borsa.

«Cosa avete appena fatto?» Chiese Marta non avendo la minima idea di dove cominciare. Pensava che quella fosse la domanda migliore da porre per prima. Seguì con lo sguardo il gruppetto uscire dal locale masticando bestemmie e minacce.

«Mica è la prima volta che lo facciamo.» Disse Zaira con tono ovvio. «Sarà successo una decina di volte al massimo, ma è sempre molto divertente.»

«Questa volta le tette ce le ho messe io, quindi mi prendo la metà» spiegò Michelle. Diede venticinque euro a Max che le diede indietro il bottino appena ottenuto. «e il resto va a lui.»

«Soldi facili.»

«Ma… come hai fatto a…»

«Mi trattengo un pochino perché se rompo quel coso poi non si può più fare, ma mi limito a mettere in pratica quello che imparo con il mio maestro.»

«In teoria non è neanche una truffa.» Ragionò Michelle prima di bere un sorso dal suo boccale.

«Qualcosa non va? Troppe emozioni tutte insieme?» Le domandò Zaira con tono di sfida.

«Mi abituo in fretta, non temere.» Rispose lei a tono. Afferrò il suo bicchiere, mandò giù un gran bel sorso e si leccò la schiuma rimasta sopra il labbro. «Niente male.»

«Discreta.» Commentò Zaira guardandosi intorno. «Nulla di divertente da fare?»

«Là c’è il flipper, puoi provare a battere il mio record.» Ridacchiò Michelle. «O magari potremmo semplicemente parlare.» Propose osservando di nuovo Zaira con uno strano sguardo ammonitore.

«Vuoi lasciar parlare me?» Domandò Zaira con triste ironia, facendo forse riferimento a una barzelletta che capirono solo loro due.

«Perché non dovresti?» Le chiese Marta.

«Non puoi capire.»

«Se continui così mi sembra anche normale.»

Zaira sospirò, prese la felpa e si alzò. «Me ne torno a casa.»

«Zaira.exe ha smesso di funzionare?» Disse Max a Michelle per poi bere un altro sorso. «Da quando lei resta in silenzio?»

«Vado a parlarle.» Rispose lei, uscendo.

«Adesso ti raggiungo.»

«Ho detto qualcosa di così sbagliato?» Iniziò Marta alzandosi.

«Credo che tu sia quella che ci ha parlato di più dopo di noi.» Le rispose lui, sistemandosi la camicia. «Io vado a controllare.»

«Vengo anche io.»

Max prese il portafoglio e lasciò cinque euro sul tavolo. «Economico qui.» Bisbigliò.

«Te l’ho detto: c’è di meglio.» Ed entrambi si diressero a passo spedito verso l’uscita.

Arrivati sul marciapiede non dovettero guardarsi neanche attorno per poter inquadrare la situazione. «Ve sete pijati i sordi de mi’ fratello, ridatece sta mezza piotta e se dimenticamo tutto.»

Entrambi sospirarono all’unisono e, senza neanche scambiarsi una parola, si avviarono verso la fonte della voce che ora era molto più grande, forse era un loro coetaneo.

«Già, o magari potreste andarvene tutti e cinque a fare in culo.»

«Zai’…» Borbottò Michelle vedendo come i ragazzi avevano accolto il tono di sfida con risate e finto stupore.

Max e Marta raggiunsero le due svoltando in una stretta strada pedonale resa ancora più stretta dalle auto parcheggiate dove possibile, distante non più di una ventina di metri di marciapiede deserto che percorsero quasi di corsa. Poi, svoltato l’angolo, si affacciarono a un vicolo buio e sporco fin troppo simile a quelli che entrambi avevano visto in film e serie TV nelle scene dei pestaggi. Inutile dire che Marta sperò di non trovarsi in una di quelle scene. Zaira e Michelle davano loro le spalle avendo di fronte cinque ragazzi che, come sospettavano, avevano la loro stessa età. Tutti i cinque sembravano uguali, la stessa sagoma dello stesso ragazzo medio neo-maggiorenne.

«Sentite, non vogliamo guai.» Disse Marta con un tono stranamente autorevole. Si avvicinò insieme a Max al gruppo al centro della viuzza che non poteva essere più lunga di una quindicina di metri.

«Ridatece i sordi e nun je stanno problemi.» Rispose un ragazzo muscoloso, corti capelli e occhi marroni, con in mano un grande bicchiere di plastica trasparente pieno di birra da cui bevve un sorso.

«Quando perdi una scommessa è sott’inteso che tu perda anche i soldi puntati.» Max fece qualche passo in avanti fino a superare Zaira e Michelle. «Quindi, direi che noi ce ne andiamo.»

«E io dico de no.» Disse uno poco più alto di lui, identico all’altro ma dai capelli biondi, avanzando insieme a tutto il gruppo. «Nun te conviene facce arrabbià.»

«Max, credo abbiano ragione.» Aggiunse Marta. Per un attimo si chiese se non fosse la cosa giusta: scappare, lasciarli lì. Chiamare la polizia o qualcosa del genere, ma comunque andarsene, magari a casa con una doppia mandata. Le cose sembravano star per mettersi male, e lei di certo non era capace di fare a pugni.

Quando Michelle si avvicinò, quello col bicchiere di plastica in mano le versò il contenuto in testa poco prima che se ne potesse accorgere. La ragazza però, già dopo poche gocce, arretrò cercando di evitarne quanta più possibile. Un secondo, corpulento e coi capelli scuri e ricci, allungò una mano verso Zaira, ma non fu abbastanza veloce: Max gli afferrò il polso con decisione per poi rigirarlo nel verso sbagliato e costringerlo a tenere il braccio teso. Fece un passo in avanti e l’afferrato ne fece uno indietro, non riuscendo a liberarsi dalla presa, sbilanciato com’era. Quello muscoloso ora aveva tirato un gancio alle sue spalle ma il ragazzo lasciò la presa e si accovacciò, schivandolo. Allora un altro, basso e col sorrisetto da roditore, cominciò ad aiutare il compagno mentre i restanti tre si dirigevano verso le ragazze. Max, che combatteva con discreta facilità contro i due, si era spinto più in là nella via, distanziandosi insieme ai suoi avversari in direzione opposta a quella da cui era arrivato.

Zaira, che era più avanti rispetto alle altre, stava per dire qualcosa quando venne presa per la gola da quello grassoccio, per poi cominciare a dimenarsi e picchiare il braccio dell’assalitore con scarsi risultati. Il tipo grasso la portò contro una parete lì di fianco, al centro del vicolo, facendola stare sulla punta dei piedi.

Marta si pentì di non essere fuggita prima quando vide il quinto, uno alto e smilzo, venire verso di lei. Fece alcuni passi indietro, allontanandosi da Zaira al centro del vicolo e da Michelle; anche lei indietreggiava, ma non abbastanza veloce: quello coi capelli biondi l’aveva quasi raggiunta. Qualcosa però non quadrava: sebbene non si fosse mai ritrovata in una situazione simile, si aspettava quanto meno di preoccuparsi o di essere spaventata. Invece era solo seccata, ma pronta come se si fosse preparata da anni a quel momento. Dopo una breve rincorsa, facilitata dallo spazio ottenuto arretrando, saltò con il piede sinistro e con la gamba destra diede un vigoroso calcio con la pianta del piede colpendo quello alto sulla bocca dello stomaco, poco sotto lo sterno. Sfruttando l’assenza di fiato e la debolezza delle gambe lo afferrò per la testa e lo spinse contro quello biondo che stava andando contro Michelle, aumentando la forza tramite una stabile posizione e usando l’anca per aumentare la spinta. Il tipo alto cadde sulle gambe dell’altro che inciampò a terra imprecando. Neanche il tempo di realizzare cosa aveva appena fatto che scattò verso il centro del vicolo e, quasi senza pensarci, tirò un calcio sul viso del biondo mentre correva, con una disinvoltura innaturale.) Il ragazzo corpulento che teneva Zaira, avendo visto cosa Marta aveva fatto, la lasciò per essere pronto a difendersi, allontanandosi dallo stralcio di muro senza auto parchaggiate. Marta tirò un pugno sinistro contro di lui ma lo fermò subito dopo; il ragazzo cadde nella finta, sbilanciandosi per parare quel colpo che non sarebbe mai arrivato. Il pugno destro, come tutti i colpi precedenti, si mosse da solo e lo colpì alla base del setto nasale: Marta aveva fatto sporgere il medio di pochi millimetri e lo aveva colpito con la falange più esposta. Ne risultò una grave epistassi; lui provò a portarsi le mani al naso, ma in poco tempo barcollò fino a una parete, annaspando con la bocca alla ricerca di aria fino ad accasciarsi a terra dove perse i sensi. Anche gli altri due che aveva colpito non davano l’idea di potersi rialzare da soli in tempi brevi.

Marta sgranò gli occhi solo in quel momento: avrebbe voluto chiedersi come diavolo aveva fatto a mettere al tappeto tre persone, ma non aveva neanche idea di come le fosse venuto così spontaneo il primo calcio (che avrebbe chiamato calcio-volante-super-figo), figuriamoci tutti i colpi che aveva dato dopo. Zaira le rivolse uno sguardo stupito, anche se mai quanto quello di Marta stessa, e poi guardò Michelle, anche lei incredula. Un suono metallico attirò la loro attenzione con il riverbero che durò alcuni interminabili secondi. Max era a terra con la testa tra le mani davanti ai due rimasti e uno di loro afferrava un grosso tubo di ferro.

«Dajene n’arta.» Disse il biondo.

«A te l’onore.» Ridacchiò denti-da-topo passandogli il tubo. Max provò a strisciare verso le amiche, ma il ragazzo armato gli mise un piede sul polpaccio.

«Mo capirai che nun me devi più fa’ incazzà

«Fallo di nuovo.» Ordinò Zaira con occhi sgranati e il fiato corto a Marta, le cui gambe cominciarono a tremare.

«Non ci riesco!»

Era vero. Avrebbe voluto fare di nuovo tutto quello che aveva appena fatto, ma le mani erano all’improvviso meno salde, i muscoli meno potenti e le gambe meno sicure. Voleva combattere ma non ci riusciva e quello che aveva appena fatto le sembrò ancora più incredibile.

Max riuscì a mettersi in ginocchio poggiando a terra il piede della gamba lasciata libera, l’altra ancora costretta sotto il piede di quello muscoloso; del sangue gli aveva macchiato l’orecchio disegnando una linea rossa che proseguiva fino al collo. Con gli occhi chiusi si portò la mano destra stretta a pugno di fronte al viso e ci soffiò sopra, espirando così lentamente che anche il ritmo degli altri due sembrò perdere velocità.

Tutto dentro col naso, tutto fuori con la bocca.

Sbatté il piede libero a terra e riuscì a sfilare il polpaccio, strusciandolo contro l’asfalto, da sotto il piede dell’altro ragazzo che perse l’equilibrio. Si mise in piedi in una posizione salda, fece un passo così veloce che quasi non si riuscì a vedere, piegò di poco le ginocchia e diede un pugno in pieno petto al ragazzo armato piegando in avanti la schiena per aggiungere ulteriore forza. Entrambi i due avversari vennero spinti all’indietro mentre Max rimaneva fermo dov’era, immobile, in quella posizione dura come la pietra. I due, ancora intontiti e barcollanti, cercarono di rimettersi in piedi per poi scappare nella direzione opposta.

«Non fatevi rivedere!»

«Zai’!»

«Che c’è?!» Chiese la ragazza. «Avrei potuto dirgli di peggio»

Quando Max cadde in ginocchio sbuffando un rantolio e riprendendo il respiro affannato le tre gli corsero subito vicino, ricordandosi solo allora della tremenda botta che aveva ricevuto. Gli era sembrato, mentre sferrava quel pugno così potente, che non si fosse fatto nulla. Si dovevano essere sbagliate.

«Marta, chiama un’ambulanza!»

«Non ti azzardare.» Interruppe Max, gli occhi serrati verso un punto vuoto di fronte a sé. «Non mi va di andare in ospedale.»

«Max, ti sei preso un tubo in testa. Saresti potuto morire.»

«Mica siamo dentro Cluedo. Domani ho la lezione col mio maestro, non posso mancare.»

Si mise in piedi subito, poi barcollò all’indietro fino alla parete poggiandoci la schiena.

«Di certo non ci puoi andare da solo, datemi una mano.»

Marta ubbidì, in parte controvoglia perché significava eseguire quell’altro ordine di Zaira. La sua mente, almeno in parte, era altrove: credeva che i pugni in grado di sollevare una persona si vedessero solo nei film, eppure Max ne aveva spostati due con uno solo. Dalla sua visuale era certa di aver visto uno solo dei due a essere stato colpito ma, in ogni caso, per essersene mossi due, i colpi di Max non dovevano essere normali.