Il colonnello Volieri scese dalla macchina e guardò il palazzo fatiscente. A occhio e croce non era neanche arrivato a un quarto del completamento: mancavano tutte le pareti e i cinque piani erano tenuti in piedi da tante grosse colonne di cemento grige come tutta la struttura. Oltre il costruito c’era un prato non curato più simile a un estratto della savana, verde a chiazze giallastre, e di fronte via Tiburtina, la strada che avevano fatto per arrivare fin lì. Avevano preso uno stradone vicino casa sua e il Raccordo, dove erano rimasti imbottigliati nel traffico del primo pomeriggio. L’uomo che era con lui, un poliziotto con pochissima esperienza stimò, non aveva voluto accendere le sirene per il semplice fatto che non erano di fretta.
Il colonnello prese un respiro profondo: l’aria era quella di città a cui era abituato, identica a molte altre città in cui aveva lavorato in giro per l’Italia. Eppure c’era qualcosa di strano nell’aria di Roma che non riusciva a comprendere. L’auto era posteggiata male, ma non aveva voglia di chiedere, né tanto meno ordinare, di parcheggiarla meglio.
«Tu non vieni?» domandò al poliziotto. L’altro era in uniforme, le mani poggiate al cinturone, fermo al sedile del conducente.
«Mi è stato detto di portare qui lei, colonnello, e di aspettare che tornasse».
Volieri fu lieto che la conversazione poteva già dirsi conclusa: fece un cenno con la testa come avesse soppesato tutte le alternative e quella fosse una brillante strategia. Si voltò ed entrò tra quelle rovine mai realmente edificate e raggiunse le scale. Sicuro non fossero a norma, le salì comunque. I graffiti erano ovunque, tra le colonne, per terra… alcuni anche sui controsoffitti. Tra i rifiuti edili, mattoni abbandonati e materiali che non riuscì a identificare, c’erano anche materassi negli angoli, carrelli della spesa, bottiglie di birra vuote e varie cartacce di cibi.
Arrivò al terzo piano senza pensare, le mani nei tasconi della giacca imbottita e lo sguardo celato dagli occhiali da sole. Quello era abbagliante anche all’ombra e, non fosse stato per il vento, avrebbe fatto lo stesso caldo di giugno. Tirò fuori il telefono e lo accese: non c’era campo. Adesso la scelta del luogo non gli sembrava più molto strana. Chissà se hanno mandato via chi abita qui, pensò salendo un’altra rampa, senza corrimano e con i gradini usurati. La risposta non gli importava un granché.
Sul posto c’erano quattro persone: due donne, una sulla ventina e una che doveva avere almeno il doppio di quegli anni, e due uomini. Volieri fece un cenno con il capo e si avvicinò.
«Colonnello Volieri, le do il benvenuto» disse la più grande. Era immobile, stoica come una statua greca, la pelle che sembrava esser fatta di ebano levigato. «Spero perdonerà questo ritrovo informale, ma dovevo essere sicura che nessuno potesse in qualche modo venire a sapere su cosa dovrete lavorare».
«Dopo oggi, avrete degli uffici nella centrale della guardia di finanza, in Viale Ventuno Aprile» disse la ragazza più giovane. La più grande la guardò, lei abbassò lo sguardo e fece un passo indietro.
«Basta non mi diate in mano a un fattorino che debba scorrazzarmi in giro. Credo non lo gradiscano neanche i miei colleghi». Si guardò attorno, ma oltre le colonne portanti, i rifiuti e il cemento decadente non c’era molto da guardare.
«Sta… parlando di noi?» domandò uno dei due, un energumeno dalla testa calva con solo una maglietta a maniche corte addosso. Incrociò le braccia e ricevette dal colonnello lo sguardo più ovvio di cui egli fu capace.
«Certo. Ha le mani abbronzate ma solo fino al polso, non si lamenta per il freddo, quindi o è abituato o non è solito lamentarsi, forse entrambe le cose. Da come sta ben eretto, i piedi paralleli, i muscoli e lo sguardo deciso stimo che sia un militare con… quindici anni di servizio. Lui, invece», accennò all’altro, «è il vice questore della polizia di Roma, Paolo Ojetti».
«E questo come l’ha capito?» chiese il diretto interessato, stupefatto.
«All’inizio avevo solo dei sospetti, ma me li ha appena confermati. Senza barba ho avuto difficoltà a riconoscerla. Lei ha partecipato ai mondiali di scacchi, polizia e carabinieri dovevano presenziare come istituzione e io ero presente. Cosa disse il Generale? “Hai portato lustro al nostro corpo”?».
«Arrivando quarto» sbuffò un sorriso.
«Quindi abbiamo un militare, a giudicare dalle braccia esperto nel combattimento corpo a corpo, un poliziotto molto intelligente e me. A cosa le serviamo signora…».
«Oh, chiamatemi solo Mary. Ho richiesto voi perché ho bisogno di trovare una persona a Roma senza che si venga a sapere e, dovendo formare una squadra con meno membri possibili, ho chiesto il meglio del meglio. Di questa persona non abbiamo nome, aspetto o età. Stimiamo però che non sia più alta del metro e ottanta e siamo quasi sicuri si trovi a Roma».
«Quindi abbiamo ristretto il campo da sette miliardi di persone a due milioni e mezzo? Incoraggiante». Ojetti ridacchiò, non potendo che dargli ragione.
«Come mai trovare questa persona è tanto importante? Ha commesso qualche reato?» Disse il calvo.
«È connessa all’omicidio di uno spacciatore. Lavorava per i Casamonica, una delle più potenti famiglie mafiose della città» disse la ragazza. Un alito di vento le mosse la criniera riccia di capelli nocciola e lei si passò un tablet nella mano sinistra per poi usare quella libera per risistemarseli alla meno peggio.
«Un assassino?» Chiese il militare.
«No, non l’ha ucciso» continuò Mary.
«Un testimone?» Domandò Paolo.
«Nemmeno, anche se è ciò di più simile a un testimone che abbiamo. Comunque temo che non siate qui per investigare sull’omicidio in questione. Questa persona ci interessa per un video in cui compare».
«Impianto di sorveglianza privato?» Chiese Ojetti.
«No. Un progetto sperimentale dei servizi segreti» disse la ragazza con un sorrisetto malevolo. Si spinse gli occhiali sul naso evidenziando lo sguardo compiaciuto. «Telecamere di dimensioni minime con definizione eccellente. Vi sfido a trovarne una in tutta la città. Riusciamo a tenere d’occhio quasi il novanta percento delle strade».
«Non abbastanza a quanto pare» disse il militare sciogliendo le braccia e mettendo le mani sui fianchi. Mi ha tolto le parole di bocca, pensò Volieri.
«Alessia, spiega loro il tutto».
«Sì. Nel mio reparto stiamo lavorando a un algoritmo per riconoscere in automatico varie minacce da un video e avvisare le autorità competenti: una telecamera riprende un uomo con un’arma o una postura sospetta e gli agenti più vicini vengono informati, il tutto in meno di un secondo».
«Notevole», commentò Paolo, «come sta andando questo progetto? Darebbe un taglio netto alla criminalità».
«È stato sospeso. Il programma aveva cominciato a fare azioni illegali come violare le videocamere di enti privati ed effettuare segnalazioni in altre regioni. Prima che diventasse incontrollabile siamo stati costretti ad arrestare il software. Io e un mio collega stavamo esaminando i dati per migliorare il codice e abbiamo trovato un video di qualche anno fa, quando le telecamere di cui vi ho parlato erano appena state installate. È stato recuperato dai backup in automatico».
«È incredibile» disse di nuovo Ojetti.
«È spaventoso» corresse Alessia.
«Perché?».
«Perché non ci sono backup. Ha ripristinato le celle di memoria con funzioni parziali».
«Possiamo tornare sull’argomento? Cosa c’è in questo video da meritare tanta attenzione?» disse allora Volieri, sperando di evitare una conversazione su funzioni parziali e celle di memoria, qualsiasi cosa fossero.
Alessia accese il tablet e lo girò in avanti. I tre si avvicinarono per vedere meglio e Mary li fissò come opere d’arte in un museo. Il filmato non aveva audio ma la risoluzione non era niente male; l’inquadratura era dall’alto e dava su una piccola strada senza marciapiedi, auto parcheggiate da entrambi i lati che la rendevano ancora più stretta. Pochi secondi dopo l’inizio si vide una ragazza dai capelli biondi in parte coperti da un cappello di lana camminare a passo spedito. Un ragazzo già presente nell’inquadratura le disse qualcosa ma lei si strinse nel cappotto e provò ad andare più veloce. Lui allora l’afferrò per un polso e, dopo un suo grido e alcuni tentativi di liberarsi, tirò fuori da sotto il giacchetto una pistola e gliela puntò contro.
«Suppongo l’abbia violentata».
«Un minimo di decoro, colonnello» lo rimproverò il militare a denti stretti.
«Guardate» disse Ojetti richiamando l’attenzione di entrambi: era comparsa una seconda figura, poco più bassa della ragazza, e l’assalitore aveva lasciato la presa sulla bionda. Chiunque fosse indossava una felpa color mandorla, il cappuccio tirato su, ed era abbastanza grossa da ricoprire la figura fino al polpaccio. Non si riesce a evincere se sia un lui o una lei, figuriamoci l’età. E poi Dio solo sa quanto può essere cambiato nel corso degli anni, pensò Volieri sbuffando. Il maschio tirò fuori dalla tasca qualcosa di rossastro e lo mise in mano alla bionda. Alcuni secondi in cui, sia nel video che fuori, tutti rimasero immobili. Il suono del traffico sulla via di fianco a loro era ben udibile in quel poco spazio lasciato al silenzio. A smuovere quella immobilità fu un movimento effettuato dal ragazzo nell’inquadratura: guardò la mano con la pistola come se gli fosse comparsa in mano da un momento all’altro e, dopo alcuni secondi di esitazione, se la puntò sotto il mento, dritta alla testa.
«Cosa?».
«Non fa ridere» disse annoiato Volieri, rivolto a Mary. «Se questo è uno scherzo, gradirei lo dicesse subito e ci facesse risparmiare tempo».
«Crede sia uno scherzo, colonnello?» Gli chiese la donna. Lui annuì con espressione ovvia e i due colleghi tolsero gli occhi dallo schermo. Alessia spense il dispositivo e se lo rimise sotto braccio. «Che cosa ha visto?».
«Un teatrino, direi».
«Lo descriva».
Il colonnello sbuffò. «Un ragazzo si punta una pistola alla testa. Con ogni possibilità preme il grilletto. Se fosse vero sarebbe solo un caso di suicidio».
«La mano gli tremava» disse il militare, più per farglielo notare che per esprimere un’osservazione, e incrociò le braccia. «Riconosco la paura quando la vedo. Non voleva sparare».
«Signori, vi presento Claudio Nuvola, tenente colonnello dell’esercito italiano. È stato lui a vedere il video per primo e a permettermi di chiamare voi due».
«Un ragazzo quasi di certo minorenne ha paura di spararsi alla testa, non serviva scomodare un membro dell’esercito per venirlo a sapere».
«Ma allora perché si è puntato contro l’arma, colonnello?» gli chiese Paolo.
«Non ha alcuna importanza perché ciò che abbiamo visto non è successo. Si tratta solo di un giochetto per farci perdere tempo, uno scherzo di pessimo gusto. Non sarebbe la prima volta, ma quanto meno quelli che mi hanno giocato fin’ora non erano durante il mio orario di servizio» sentenziò lui, poi si voltò e verso la scala che l’aveva portato fino a quel piano.
«Mi dispiace deluderla, colonnello, ma è successo davvero. L’arma è stata ritrovata sotto un auto nelle vicinanze e il ragazzo è stato ucciso dalla mafia per essere tornato senza i soldi della droga venduta. Abbiamo stimato circa quattrocentocinquanta euro».
«Con un programma per aumentare la risoluzione siamo riusciti a definire che fossero i soldi che ha passato alla prima ragazza» si affrettò a dire Alessia, quasi timorosa di parlare. Il colonnello si fermò e trasse un respiro profondo, prima di voltarsi.
«Quindi non si è sparato. Omicidio, mafia, hanno leggi tutte loro, fine della storia. Non esistendo una sola spiegazione logica per credere che tutto quello che diciate sia successo, io me ne andrei».
«Si avvicini» disse Mary con uno strano tono, a metà tra una richiesta e un comando. Il colonnello pensò a modi migliori in cui avrebbe potuto impegnare il proprio tempo, poi pensò non fosse una buona idea disobbedire a un ordine preciso di un suo superiore specie se l’ordine era un semplice “fatti accompagnare in questo luogo e ascolta quello che ti diranno”. Tanto valeva ottenere una vera e propria scusa per andare via. Ripercorse il breve tratto per cui si era allontanato e Mary sorrise. «È rimasto».
«Mi ha chiesto di avvicinarmi».
«E l’ha fatto. Non era costretto ma l’ha fatto comunque» sorrise. «Provi a immaginare adesso questo principio applicato a qualsiasi tipo di richiesta. Si allontani, torni a casa, si fermi, dia alla ragazza tutti i soldi che ha e si punti una pistola alla testa».
Volieri spostò lo sguardo confuso su Alessia e quando vide anche lei seria disse «crede davvero si possa fare?».
«Noi riteniamo, colonnello, che quella ragazza sia riuscita a farlo una volta volontariamente e questo è motivo per attirare l’attenzione di tutte le nostre agenzie per la difesa. Non siete obbligati a credere che questa persona possa farlo, dovete solo trovarla il prima possibile».
«Se fosse come dice lei» disse Ojetti, «starebbe suggerendo che qualcuno sia in grado di obbligare le persone a fare quello che vuole lei?».
«Terrificante, vero?» Disse Nuvola guardando in basso. Sembrò rabbrividire a quelle sue stesse parole sotto la sua enorme massa di muscoli.
«Avete detto che questo video è vecchio di anni, significa che potrebbe davvero essere ovunque in questo momento. Chi stiamo cercando potrebbe essere cresciuto, invecchiato. Potrebbe aver cambiato città, regione, paese, colore dei capelli e identità e più di una volta. Potrebbe anche essere morto».
«Signor Volieri, sia franco, la sua fama la precede dopotutto. Lei ha intercettato quel carico di droga a Messina, due anni fa, basandosi soltanto su un numero di telefono. Ojetti conosce la città come le sue tasche ed è un ottimo stratega, mentre Nuvola ha completato ogni addestramento che possiate immaginare. Dovevamo creare una squadra con il minor numero di membri possibili e abbiamo scelto voi tre. Se quella persona è in un luogo qualsiasi voglio scoprire dov’è» guardò Ojetti e Volieri «e vorrei che me la serviste su un piatto d’argento» voltò lo sguardo su Nuvola.
«Perché?».
«Perché se diamo per assodato che sia in grado di fare quello che crediamo, allora è meglio se sta tra le nostre fila che in quelle di qualcun altro. Questo è uno di quei progetti di sicurezza nazionale di cui non si parla molto ma che cambia la storia».
«Come il progetto Scampia» mormorò Nuvola. Le due annuirono.
«Cos’è il progetto Scampia?» chiese Ojetti e anche Volieri sembrava parecchio confuso.
«Nulla che vi riguardi se già non lo sapete» disse Mary.
Alessia porse a ciascuno di loro una piccola pennetta USB da centoventotto gigabyte e disse «qui ci sono tutte le informazioni che possono tornarvi utili. Una volta inserite il computer verrà messo online e tutti i programmi nocivi saranno cancellati».
«Devo avere paura per il mio account Netflix?» scherzò Volieri, ma quando vide che nessun altro stava ridendo tornò serio e se la mise in tasca. «È tutto?».
«Sì».
«Allora mi metto subito a lavoro, avrete il mio rapporto per domani».
«Niente rapporto, colonnello» disse Mary col tono più tagliente di una lama. «Non una sola parola del vostro lavoro deve trapelare all’esterno».
Tutti e tre annuirono senza dire nulla. Dopo alcuni secondi di silenzio Volieri salutò e uscì dal palazzo, con due pensieri contrapposti che gli occupavano mente: sperava con tutto il cuore che non fosse stato tutto uno scherzo, che quell’individuo esistesse davvero e che si preannunciasse un’indagine accattivante quanto in effetti sembrava. Dall’altro lato era terrorizzato dal solo pensiero che si potesse costringere una persona a togliersi la vita con tutta quella semplicità.
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