Primavera, 1254 A.D.

 

Cale aprì e chiuse le dita due, tre, quattro volte. Il braccio gli formicolava ancora. Era pesante, faticava a tirarlo su, appena svegliato. Guardò la lunga cicatrice che gli solcava il bicipite, dalla spalla fino all’avambraccio. La falciata di suo padre doveva aver toccato il tendine. Ogni mattina era così, oramai.

Non mi riprendo più come quando ero giovane.

C’era un bel sole quella mattina. La valle di Krissvale era come un grande smeraldo, tutta abeti scuri e campi verde chiaro. La terrazza rialzata del suo giardino era il posto perfetto da cui guardare oltre le mura del castello. Si inginocchiò, e sfiorò la pietra della lapide. Era semplice, come lei aveva sempre voluto. Talia era stata una persona semplice, doveva averlo capito anche Samwhaine se l’aveva sepolta così. Sfiorò anche la sua tomba. Era giusto che rimanessero vicini. Era stato lui ad andarsene.

Se fossi tornato prima, forse sarei io qui al suo posto. Forse sarebbe stato più giusto.

Ma aveva scelto lui la posta. Era lui a doverne pagare il prezzo. Accarezzò i contorni delle lettere incise nella pietra. Le risa dei bambini che provenivano dal cortile inferiore addolcirono il suo volto. Si alzò da terra e la schiena scrocchiò, strappandogli un gemito. La brezza fredda delle montagne a nord-est di Krissvale gli scosse il petto, nonostante il sole caldo. Rabbrividì sotto la camicia, ma solo per un istante. Giù, nel cortile interno, Dayne e Keira si rincorrevano ridendo. La bambina inseguiva il fratello agitando un ramoscello come fosse uno stocco.

«Ti prendo! Ti prendo!»

La sua chioma bionda era la stessa di Talia. Gli occhi, invece, quelli verdi di suo padre. Alzò la testa e lo vide, agitò il bastoncino per salutarlo.

«Ciao, zio Cale!»

Lui rispose con un movimento lento della mano.

Qualcuno si schiarì la voce alle sue spalle.

«Ancora mi chiedo come mai tu non li abbia uccisi, sai?» gracidò Bazachel. «Conosco un sacco di gente che lo farebbe. O quantomeno, li esilierebbe.»

«Come potrei? Mi ricordano troppo Talia.»

«Hanno anche gli occhi di tuo padre.»

«Mi ricordano anche lui.»

Il klyn fece una risatina gorgogliante. Prese una pipa e un sacchetto dalla sua bisaccia. Versò il tabacco sminuzzato dal sacchetto nel fornello della pipa e si rimise a rovistare nella borsa.

«Devo proprio ammetterlo» borbottò con la pipa tra i denti. «In te non vedo davvero nulla di Samwhaine, lo sai?»

«Felice di sentirlo. Posso chiederti una cosa?»

Bazachel diede fuoco a un’esca con l’acciarino. Appoggiò la fiammella contro il tabacco e diede un paio di rapidi sbuffi. Agitò la miccia per spegnerla e la rimise nel suo astuccio.

«Prego.»

«Perché sei rimasto?»

Il klyn soffiò un po’ di fumo dalle narici.

«Ti dirò, volevo vedere come te la saresti cavata, ragazzo.»

Cale sorrise.

«Inizio a essere troppo avanti con gli anni per essere chiamato ragazzo. E poi ho Tfalminaaz con me.»

«Appunto. Volevo vedere quando ti saresti stufato e l’avresti lanciata da una torre.»

Il cassadoriano scoppiò a ridere, e Bazachel gli fece compagnia con la sua risata gorgogliante. Cale si strofinò un occhio col dito.

«Per essere un eretico, devo ammettere che sei stato anche troppo gentile con me.»

L’altro fece spallucce e tirò un’altra boccata dalla pipa.

«Possiamo dire che, in un certo senso, ero in debito con tuo padre…»

L’uomo annuì piano.

«La storia di quella cosa che doveva uccidere con Tfalminaaz?»

«Non uccidere. Far smettere di soffrire.» Il volto da rospo di Bazachel si incupì. «Ma comunque sì, quella storia.»

Cale aprì la bocca, ma un grido da sotto lo interruppe. Keira si sbracciava, saltellando sul posto.

«Zio Cale! C’è un tuo amico al cancello!»

 

***

 

I servi avevano portato due coppe di vino rosso al tavolo sotto il ciliegio. Cale si era preparato il discorso dieci volte da quando aveva mandato la lettera a Malekith. Ma vedere l’alfnar seduto lì, sulla seggiola con le lunghe gambe accavallate, con quel sorriso che non era mai davvero stato il suo che lo salutava, spazzò via tutto.

«Ma buongiorno, milord Cale.»

Rispose al suo sorriso. Dopotutto era un vecchio amico. Si sedette davanti a lui.

«Ciao, Mal. Hai risposto al mio invito.»

L’alfnar si accarezzò il pizzetto bianco.

«Beh, è da quella sera al rifugio che non ti fai più vedere.» C’era appena un filo d’accusa nella sua voce. «Come potevo rifiutare? E poi, volevo vedere come te la passavi.»

La sua barbetta curata spiccava sulla pelle d’ebano. Le linee sul viso si erano fatte più nette attorno alla bocca e agli occhi. Questi guizzarono sui particolari del giardino, come se stessero facendo un conto sul suo valore.

«Niente male davvero, amico mio.»

«Già.» Cale si grattò la nuca. «Ne è passato di tempo, da quella sera…»

Malekith alzò la mano.

«Non preoccuparti, non dire altro. È tutta acqua passata.»

Il cassadoriano annuì.

«Lo speravo. Tu come te la passi, vecchio mio?»

«Non c’è male, tutto sommato. Mani in pasta un po’ dappertutto, come al solito, ma non mi lamento.»

Cale sorrise di rimando.

«Bene, bene. E con, sai… con lui? Lavori ancora per lui?»

L’alfnar socchiuse appena gli occhi e annuì.

«Quel gran bastardo è sempre una garanzia. Dopotutto è sfuggito anche alla morte.»

L’uomo fece una smorfia.

«Anche grazie a noi. Ho saputo che oramai il suo è praticamente un regno.»

Malekith fece spallucce.

«La morte di re Levon ha fatto bene a parecchie persone, a lungo andare.»

Fece girare il vino che aveva nella coppa.

«Vedo che hai tenuto il segreto per te, comunque. Immagino che tu non voglia che la gente venga a curiosare sul tuo amico eretico, eh?»

Restarono in silenzio per un po’. Il vento scuoteva appena i rami del ciliegio.

«E così questa era casa tua? Gran bel posto. Ho saputo…» Mal lasciò morire la frase e fece vagare lo sguardo lungo il profilo del mastio. «Non hai più la tua spada?»

«Non qui. Dopotutto, dovevo solo parlare con un amico.» Cale scosse la testa. «Tu, invece, quello lo porti ancora.»

Accennò all’elsa del pugnale nero che spuntava al fianco dell’alfnar.

«I tuoi uomini sono stati così gentili da farmelo tenere.» Il suo sorrisetto si allargò. «Comunque sì, è sempre un buon amico. Ogni tanto serve usarlo.»

«Forse… forse potresti non averne bisogno. Vorrei che tu rimanessi, sai? C’è una camera già pronta, e la tua compagnia mi farebbe piacere. E, per qualunque cosa tu abbia bisogno, qualunque aiuto, io sarei…»

Il sorriso di Mal si incrinò. Fu un istante, ma bastò a farlo fermare.

«Non c’è bisogno, grazie. Sto bene come sto, Cale.» Si alzò. «Beh, amico, è stato un piacere, ma non ti trattengo oltre. Non desidero restare, e tu avrai un gran daffare a portare avanti il tuo… piccolo angolo di paradiso.»

Una manciata di frasi di circostanza, e niente di più. Finisce così?

Forse si aspettava una confessione, alla fine. Un po’ di fiducia, che l’alfnar fosse sincero e si levasse il sorriso di Fern dal volto. Che tornasse il Malekith che era stato, e che Cale potesse aiutarlo come l’aveva aiutato lui, spronandolo ad andare da Bazachel, quella notte al circo. Forse a Mal era solo mancato qualcuno che lo aiutasse a trovare la sua strada. Allungò la mano, come per trattenerlo, e deglutì.

«Mal, io…»

«Davvero, Cale, grazie. Ma no.» L’alfnar sfoderò un nuovo sorriso, più smagliante di prima. «Ho affari da sbrigare, sai. Certe cose hanno un prezzo.»

Cale gli strinse la mano e lo guardò andar via, senza riuscire a dire altro.

Quanto dovrai pagare, tu, Malekith?

Lo seguì nelle stalle e poi fino al ponte levatoio. Rimase fermo, anche dopo che il suo vecchio amico era scomparso dalla vista, e ripensò a tutto quello che avevano fatto assieme. E, pian piano, i ricordi sbiadirono.

Oorron, madre del coraggio, portagli fortuna.

Si voltò e tornò dai bambini, da Bazachel e alla sua vita, un sorriso malinconico a increspargli le labbra.